Il protestante di Campiglia Cervo e la “guerra” col clero [Eco di Biella, 15 novembre 2014]

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15 novembre 2014
Campiglia Cervo nel 1847 nel disegno di Clemente Rovere
Campiglia Cervo nel 1847 nel disegno di Clemente Rovere

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Il protestante di Campiglia e la "guerra" col clero

Carlo Maciotta Gianel diede più fastidio da morto che da vivo Lo scontro Comune-don Stupenengo

Il “Maffone” e i fatti del 1867

 
La morte sarà anche una livella, ed è certa quanto è incerta l'ora del suo arrivo, ma a volte capita alla persona sbagliata, nel luogo e nel momento meno opportuni. Così, un villaggio di montagna può impigliarsi negli ingranaggi della grande Storia senza che la sua gente possa rendersene conto. E' bastato che un "figlio perduto" di quelle terre si rendesse defunto in quel di San Paolo Cervo ai primi di agosto del 1867 per mettere in moto un meccanismo solo in apparenza locale, in un contesto storico in cui il mondo stava cambiando e non sarebbe più stato lo stesso. Che cosa aveva di speciale il singolare valligiano di cui sopra? Fisicamente nulla, tanto che nessuno avrebbe potuto percepire la sua innominabile "diversità". Anzi, il suo sembiante, in tutto e per tutto normale, rendeva quell'uomo ancora più infido e pericoloso. Stando al parroco di Campiglia Cervo, infatti, il deceduto era stato, in vita, un "professante il protestantesimo". Ma il suo stato di acattolico fu cagione di assai più nefaste conseguenze una volta che fu passato da questa a miglior vita, cioè diede più fastidio da morto che da vivo. Il Lebole, nel suo mai abbastanza apprezzato lavoro sulla Chiesa biellese, trattando di Campiglia Cervo non ha fatto menzione degli eventi che andiamo a narrare e, per la verità, non ci sono molte tracce di quel che avvenne in valle in quell'estate di un secolo e mezzo fa. Nemmeno i giornali si occuparono di una vicenda che, invece, avrebbe meritato un po' di attenzione. Furono accorti, i valit, a lavare i panni sporchi in casa e a non dar scandalo in un frangente di forte tensione tra Savoia e Vaticano, ossia tra Stato e Chiesa. Ecco i fatti per come li sintetizzò il prevosto di Campiglia Cervo, don Giovanni Battista Stupengo (nato a Valle San Nicolao nel 1822, entrò in possesso della parrocchia il 21 dicembre 1851 e la tenne fino alla morte, che lo colse nel 1900), che ne scrisse in due lettere, la prima inviata al vescovo Giovanni Pietro Losana il 7 agosto 1867 e l'altra spedita alla Sotto-Prefettura di Biella, il 22 maggio 1868. "Venne il 4 agosto 1867 nel Cimitero di proprietà della Chiesa parrocchiale dei SS. Bernardo e Giuseppe di Campiglia Cervo sepolto coll'uso della pubblica forza il cadavere di certo Macciotta Gianel Carlo" che "abbandonando la religione nostra Santissima si dava alla setta dei protestanti". Carlo Maciotta Gianel era originario di San Paolo, ma si era poi trasferito a Torino. Non è chiaro come e dove il valet avesse abiurato il cattolicesimo per farsi protestante, ma di tanto in tanto risaliva il Cervo e non mancava di tentare di far proseliti. Così aveva fatto anche il venerdì 2 agosto con sommo scorno di quello che avrebbe dovuto essere il suo parroco. Poi, improvviso e importuno, il decesso. Tanta fu la concitazione in quelle missive, che don Stupenengo confuse le date e, stante che il Maciotta Gianel venne a morte il 5 agosto, finì col darlo per tumulato il giorno prima del trapasso, come a dire che, a leggere le carte cavillando, risulterebbe che il riformato sia stato sepolto vivo... Ma tale trattamento non si riserverebbe neppure al peggiore degli infedeli e ci piace sperare che si tratti solo di un errore di scrittura... Ciò detto, è da segnalare che il pastore d'anime di Campiglia, sotto la cui giurisdizione in spiritualibus cadeva (e cade) anche il gregge di San Paolo, si era prodigato per offrire "un angolo di proprietà della Chiesa parrocchiale al di fuori del recinto del cimitero parrocchiale, e di attiguità a prescelta dei parenti, ed anche il materiale per un muretto di cinta, quando a loro sarebbe piaciuto". In fin dei conti il reprobo era pur sempre un cristiano, anche se di "setta" deviata ed esecranda. Il sacerdote lo avrebbe volentieri, con non poca simbologia funeraria, seppellito lì vicino, in sito attiguo, ma distinto e separato, dacché morire si muore tutti, prima o poi, ma c'è morto e morto. In quanti guai sono incorsi gli uomini a voler tirar su semplici muretti. E per tanti che se ne diroccano, altrettanti e, forse, di più se ne erigono. Comunque sia, don Stupenengo non aveva intenti che esorbitassero la difesa dei sepolcri dei suoi dal contagio calvinista o luterano o valdese che fosse. "Essendo ogni cosa accettata mi credeva il tutto composto, ed erasi allo scopo perfin scavata la fossa", così scrisse il sacerdote a mons. Losana, che ai protestanti aveva sempre voluto dare del filo da torcere. Ma, tanto per continuare coi fili, la matassa era ben lungi dall'essere dipanata. Malgrado la buona volontà dimostrata, don Stupenengo fu costretto a proseguire il suo resoconto in questi termini: "con non poca mia dolorosa sorpresa al mattino seguente mi vidi entrare nella casa parrocchiale li signori Mosca Mateo sindaco di Campiglia, e Amedeo Mazzucchetti vicesindaco di San Paolo che accompagnati dai Reali Carabinieri mi richiedevano per la sua sepoltura nel cimitero parrocchiale, con insulse pretese che Ella può facilmente immaginare e contestando perfino che il deceduto fosse protestante". Con i pennacchi e con le armi, i militi della Benemerita pretesero la consegna delle chiavi da parte del becchino, dichiarando il falso (parole del parroco), ovvero che l'ordine di seppellimento fosse giunto dalla Pretura di Andorno. Solo ai tempi di Napoleone si era visto tanto disprezzo per il clero e tanto abuso d'autorità. Eppure la baldanza dei due amministratori e della loro scorta in uniforme aveva salde radici nelle mutate condizioni della società. Il Regno d'Italia era, a dir poco, ai ferri corti con Pio IX e la laicità dello Stato si stava ormai perentoriamente imponendo con la sovversione di un millenario ordine costituito, con l'imminente entrata in vigore (15 agosto 1867) delle leggi per la liquidazione dell'asse ecclesiastico e con l'Urbe pronta a insorgere per "far crollare la baracca pontificia", come ebbe a dire Garibaldi.  Ogni scusa era buona per mettere in difficoltà gli uomini di chiesa, senza mostrare più rispetto per l'abito che portavano. Anche a costo di far leva sulla fortuita circostanza di cui sopra. Ma se lo zelo anticlericale era al culmine, la cocciutaggine del don non fu da meno. Il ricorso al Sotto-Prefetto fu dunque inevitabile. Il parroco rammentò al rappresentante del Governo che la sepoltura di un non cattolico in terra consacrata era interdetta dai canoni di Santa Romana Chiesa e che quella indesiderata, malsana "presenza" rendeva impraticabile il camposanto. D'altro canto il cimitero del Maffone, consacrato il 4 luglio 1856, era pur sempre della Parrocchia di Campiglia Cervo e non comunale. Don Stupenengo non arretrò di un centimetro e, dopo nove mesi, rilanciò l'idea del muricciolo, del fazzoletto di terra da destinare anche a gente come il Maciotta Gianel. L'Amministrazione parrocchiale, "mossa qual sempre da spirito di conciliazione, per porre fine al già di troppo sentito malcontento dei parrocchiani", aveva effettivamente ricavato l'area dedicata e si trattava solo di ottenere il consenso previsto per traslare la salma di circa tre metri. Facile giudicare adesso, comodo affermare oggi che la pietà per i morti supera la diversità religiosa. Bisognava vivere allora a Campiglia (o altrove) per capire che una distanza di tre metri segnava un solco dell'anima profondo e da rimarcare a ogni costo. Per dar corso allo spostamento fu rilasciato anche un certificato sanitario che escludeva che la morte di Carlo Maciotta Gianel fosse stata provocata da malattia contagiosa "o da morbo asiatico" (cioè il colera, che in quel periodo minacciava tutta l'Europa e colpì anche il Biellese). Era stato portato alla tomba dalla tisi, perciò gli si poteva far percorrere quegli ultimi tre metri senza rischio per la popolazione. Di quel sepolcro non è rimasta traccia, ma don Stupenengo alla fine l'ebbe vinta. Effimera vittoria di un combattente di epoche passate. Ad ogni buon conto lo stesso prevosto fu il primo parroco di Campiglia Cervo a farsi seppellire al Maffone, caso mai ci fosse da difendere il cimitero dall'al di là contro nuove invasioni di miscredenti.
 

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