L’estate in Bürsch con Ismail Pascià e Edmondo De Amicis [Eco di Biella, 10 agosto 2013]

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Data cronica
10 agosto 2013
Campiglia Cervo all'inizio del Novecento (Biblioteca Civica di Biella)
Campiglia Cervo all'inizio del Novecento (Biblioteca Civica di Biella)

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articolo di giornale

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L’estate in Bürsch con Ismail Pascià e Edmondo De Amicis

Gli alberghi “Mologna”, “Gragliasca”, “Monte Bo” lindi e schiettamente accoglienti

La quotidianità è spesso il limite della ricostruzione storiografica. Il succedersi dei grandi eventi, le biografie più importanti, l’analisi dei flussi e dei riflussi che hanno condizionato le epoche: quasi tutti obiettivi alla portata. Ma quando si vuole tentare di scandire il quotidiano l’esercizio diventa difficile, per alcuni periodi pressoché impossibile, e la scientificità storica spesso deve cedere il passo al romanzo e alla finzione. Scelto a caso un luogo, l’Alta Valle del Cervo, e scelto altrettanto a caso un momento storico, la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ecco il contesto in cui misurarsi con le difficoltà di rendere “visibili” le azioni banali, le attività semplici, gli accadimenti minimi, ovvero la vita di tutti i giorni di una vasta comunità suddivisa in più piccoli comuni a loro volta ripartiti in borgate.  Non si saprà mai che cosa pensavano i valligiani di allora, che cosa sognavano, che cosa temevano e in che cosa speravano. Gli umili lasciano poche tracce. Ma si può rievocare il loro mondo con parole e immagini. Il resto, la parte mancante, quella che sta oltre il limite invalicabile, è la quota parte di capacità di astrazione di immedesimazione da mettere in conto per chi vuole affrontare l’impresa. A Campiglia, questa sera, il programma è proprio questo: l’attualità di più di un secolo fa diventa ricordo tramandato e da tramandare, le fotografie della vallata scattate a quei tempi diventano lo sfondo su cui ambientare vicende liete e meno liete che ebbero per protagonisti i valit. Il tutto per cogliere il segno e il senso del cambiamento e, in qualche caso, della immutabilità. Per la riscoperta della cadenza breve del trascorrere de tempo, ossia del giorno dopo giorno, non esiste miglior supporto di quello offerto dai giornali. Raccontavano i fatti spesso insignificanti dei giorni della valle e quei fatti richiamati oggi quantomeno suggeriscono pensieri, sogni, timori e speranze. L’uomo comune abitante a Bariola, a Forgnengo, a Montesinaro o a Piaro avrebbe letto quelle pagine, quelle notizie che lo interessavano da vicino perché avvenute nella Bürsch o nella sua stessa borgata. Vivendo nella Bürsch avrebbe visto le stesse cose che qualcuno ebbe la buona idea di fotografare. E avrebbe forse notato, senza soffermasi troppo (perché si tratta pur sempre di uno qualunque, di un valligiano-tipo impegnato a cercar di campare e non a fantasticare), quegli aspetti che alcune penne più o meno felici e altrettante menti più o meno aperte hanno invece voluto fissare nella prosa o nei versi. A Campiglia, questa sera, ci sarà un po’ di tutto questo: cronaca, narrazione e poesia, belle foto, per lo più inedite e/o mai viste (conservate alla Biblioteca Civica di Biella e al DocBi Centro Studi Biellesi). Dal bianco e nero delle immagini e dal chiaroscuro delle letture emergerà la valle coi suoi “mostri sacri”, vedi il filantropo avvocato Federico Rosazza citato in morte (quando per i suoi “funebri” nel settembre del 1899 “circa un'ora durò lo sfilare del corteo per il paese alla chiesa”) e quanto mai in vita o l’illustre Edmondo De Amicis habitué villeggiante a Roreto, ma anche coi suoi più dimenticati  personaggi, come il geometra Giovanni Battista Zorio di Piedicavallo, a sua volta generoso quanto introspettivo e disilluso, che dopo un decennio di pubblico disprezzo aveva creduto bene di ritirarsi nella sua villa di Chiavazza “a meditare sulle miserie di questa vita e sull'ingratitudine umana” per poi tornare al mondo da munifico benefattore del suo paese natio. La Gazzetta Biellese, L’Eco dell’Industria, Biella Cattolica e il Biellese, bisettimanali tra i più diffusi nel circondario e nella Valle di Andorno, aprono una visuale straordinaria alternando, come una superba ottica fotografica intercambiabile, tanto la veduta panoramica quanto il dettaglio del supermacro. La Bürsch si mostra quindi ai nostri occhi come la piccola patria di tanti lavoratori andati a conquistare terre lontane, emigranti in Francia, in Algeria (come il causidico Luigi Bosazza morto laggiù, a Philippeville nell’aprile del 1867 a soli 32 anni), nelle Americhe, partiti con la valigia povera di chi poteva contare solo sulla buona volontà e sulla tenacia, e sull’abilità di costruttore appresa sui banchi di quella straordinaria scuola professionale che a Campiglia formò il fior fiore dei tecnici edili del giovane Regno d’Italia. Gli articoli “riletti” narrano di San Giovanni, del suo collegio-convitto “internazionale” (nell’estate del 1883 vi alloggiarono anche “un principe figlio di S.A.R. Ismail Pascià, ex kedivè d'Egitto” e suoi compagni di studi “d'ogni nazione: caucasici, semitici, mongolli, americani...”) e di come, nel 1899, fosse in progetto di aprirvi un nuovo stabilimento idroterapico che avrebbe attratto in valle altri numerosi forestieri. Già, i forestieri, turisti in cerca di aria pura e di sentieri da percorrere su montagne “vere”, ma agibili. Gli alberghi “Mologna”, “Gragliasca”, “Monte Bo” erano descritti come lindi e schiettamente accoglienti e la stagione estiva ripopolava la Bürsch che diventò ancor più ricettiva con quel trenino che dal gennaio del 1892 collegava Biella con “La Balma”. E quelli furono gli anni del telegrafo a Piedicavallo e a Rosazza, e della luce elettrica a Campiglia. Il progresso risaliva il Cervo e con esso nuove idee che, a detta dei conservatori, andavano a turbare la quiete della brava gente. La “rivoluzione” anarchica e, soprattutto, socialista ebbe nel “capoluogo” che era Campiglia Cervo il suo centro nevralgico con tanto di sezione attiva, vigilati speciali e, udite udite, sepolture civili. D’altro canto i cattolici insistevano nel celebrare la preminenza della “retta via” non mancando di segnalare e raccontare ad adbundantiam feste patronali, ingressi di parroci, come quello di Montesinaro nel 1902 (curioso che il nuovo prevosto, don Stefano Mosca, prima di darsi al sacerdozio fosse un allievo dell’orefice Ottavio Cucco), e cerimonie sacramentali assortite, per esempio quella dell’8 marzo 1903 di Piedicavallo dove furono cresimati qualcosa come 183 ragazzi. Ma il popolo della vallata viveva anche di episodi più crudi che rendono il quadro assai meno roseo e dipingono esistenze misere: l’infanticidio del 1879, i tanti suicidi, come quello del pescatore Valz Blin nel 1901, i morsi mortali delle vipere alle siunere, gli infortuni altrettanto mortali occorsi a chi doveva lavorare duramente per vivere. Eppure l’Alta Valle del Cervo è stata ed è anche “luogo dell’anima” e di ispirazione per poeti e scrittori, viaggiatori attenti, residenti sensibili, amatori senza condizioni di una terra senza uguali. Don Agostino Mersi, che a cavallo tra Otto e Novecento insegnava a San Giovanni, e Caterina Raimondo Vanni negli anni Venti dedicarono odi al torrente, alle vette, ai boschi, alle mulattiere, ai paesi. Poesie non sempre riuscite, tributi leopardiani o carducciani a volte incerti e di non facile lettura, ma senza dubbio onesti e sinceri. A quelle si aggiungono le parole di un’inglese di passaggio nel 1905, Edith Warton, colpita dal buon senso dei valligiani dalle parti di San Giovanni (“…si rimane stupiti dal fatto che, in una località così remota il senso civico abbia avuto la delicatezza di collocare delle panchine sotto gli alberi…”). E ancora quelle tratte dai bollettini del CAI dove la letteratura di genere ha avuto agio di coniugare il taglio scientifico al gusto per le note di colore che tratteggiano la gente della valle a tinte vive, tra albergatori sui generis, improbabili guide alpine e gagliarde fanciulle in alpeggio, festose ma niente affatto “facili”. E non possono mancare il citato De Amicis e il cantore più discreto, ma più rimarchevole della Bürsch, Massimo Sella.

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