Ridateci il ponte sul Wresk in Persia. Il Delleani negato [Eco di Biella, 4 ottobre 2014]
Tipologia Documento
Data cronica
- 4 ottobre 2014
Tipologia
- articolo di giornale
Contenuto
- Ridateci il ponte sul Wresk
"Ci trovavamo al fondo di una valle stretta, aspra e inospitale, dove la vegetazione era ridotta a qualche rachitico arbusto... davanti ai nostri occhi si ergeva il tenebroso orrido della gola del torrente Wresk, alla sommità del quale avremmo dovuto costruire un grandioso ponte". Le memorie dell'impresario giramondo Cesare Delleani si leggono d'un fiato. Il libro che le tramanda, "Dall'Africa Equatoriale al Medio Oriente" (1995), è davvero pregevole: prosa asciutta, da esploratore (soprattutto per le avventure africane), eppure avvincente e densa. Il racconto della costruzione di quel ponte occupa alcune pagine drammatiche, a tratti epiche, ma mai enfatiche, in un rapido e continuo cambio di punti di vista: le sensazioni del narratore e le "panoramiche" su quel grande cantiere della ferrovia Transiranica. Ma il motivo che induce a citare l'autobiografia avventurosa del p. i. Delleani riguarda un duplice "furto": per due volte abbiamo perso il ponte sul Wresk (che concretamente è ancora al suo posto, ma non è questo il punto), rubato dalla Storia e dall'ignoranza preconcetta degli uomini. Si tratta, in questo senso, di un caso emblematico, di una specie di esempio di come un manufatto può diventare simbolo e, in quanto tale, essere oggetto di avversione o di appropriazione indebita. Per chiarire la questione, però, è necessario condividere un po' della storia del suddetto "grandioso ponte". Dopo sette giorni di viaggio, ai primi di novembre del 1933, un gruppo di costruttori associati nella "Impresa G. R. Pizzagalli & C.", tra i quali il Delleani, i suoi fratelli Battista e Guido, nonché il geom. Celestino Ottino di Campiglia Cervo, raggiungeva la capitale dell'antica Persia. Partiti da Milano sul Simplon-Orient Express, avevano passato il Bosforo ed erano arrivati in Siria. Avevano percorso le terre oggi contese all'ISIS e, poi, in automobile via Mosul e Kirkuk, erano entrati nell'Iran su cui regnava lo shah Reza Khan Pahlavi. Quegli uomini dovevano avviare i lavori del lotto più difficoltoso del tracciato ferroviario in progetto, quello delle montagne della "dantesca" (così è definita nel volume) valle del Talàr. I tempi erano stretti e assai notevoli le problematiche ambientali, geologiche e logistiche. Sette chilometri e mezzo di lunghezza, duecento metri di dislivello da superare con dieci gallerie, due viadotti a più arcate, la stazione di Abassabad da allestire ai piedi dell'erta e, soprattutto, l'ardito ponte sul Wresk: lungo 112 metri (campata centrale da 66 metri, più dieci piccole arcate laterali) e alto sul torrente ben 110 metri. Tremila operai furono impiegati su quel segmento. I 260 specializzati erano per lo più italiani, il resto della manovalanza era locale o comunque asiatica. Quella sfida all'audacia e alla competenza tecnica dei valit si trovava a 175 km a est della capitale, lungo il percorso della Transiranica, che si sviluppa per mille chilometri e collega il Mar Caspio al Golfo Persico, dove le rotaie si sarebbero dovute inerpicare fino a 1.500 metri di quota. Appena dopo il Natale del 1933 il cantiere fu aperto e il ritmo delle opere fu subito piuttosto sostenuto, ma non mancarono imprevisti, gravi incidenti ed eventi catastrofici. I Delleani e i loro operai si dovettero misurare con il tifo, con un'inondazione improvvisa che provocò non poche vittime, con i 25° sottozero degli inverni, con l'afa spossante delle estati e con un terremoto fortissimo (che sorprese Cesare all'interno di una galleria) che, per fortuna, non causò danni ingenti. Come da capitolato d'appalto, nel gennaio del 1936 avvenne la consegna. Un grande successo, uno dei tanti ottenuti dagli abili impresari biellesi in ogni dove nel mondo, che fu celebrato dagli iraniani con un attestato di grande stima: l'immagine del ponte effigiava una faccia delle banconote da 200 rials. Ancora oggi quell'arco di muratura e di cemento è una delle "cartoline" più note dell'Iran. Il primo oltraggio relativo al ponte sul Wresk (o Vresk o Veresk o Varisk) riguarda proprio la cartamoneta. All'inizio del 1979, l'ayatollah Khomeini rovesciò il regno senza tempo degli scià. Mohammed Reza Pahlevi fu costretto alla fuga e il suo ricordo fu cancellato, progressivamente e letteralmente, anche dai soldi. Con il volto del sovrano sparì anche il ponte riprodotto sull'altra faccia. Non era conveniente rimuoverlo fisicamente, ma quell'emblema della grandezza imperiale non poteva sfuggire a una campagna iconoclasta tra le più rabbiose e talebane che il mondo ricordi. Per fortuna c'è Internet che, con un click, ci rassicura sulla presenza in vita del ponte sul Wresk. Migliaia di fotografie ne esaltano il gesto tecnico superbo e la solidità testata dai decenni. Ma è proprio dal web che arriva la seconda tegola, quella che merita una rettifica immediata, uno scatto di orgoglio nazionale (e biellese). Si legge, infatti, su una pagina in inglese di Wikipedia, ma anche su altri siti più o meno affidabili e/o autorevoli, una storia diversa da quella rievocata da Cesare Delleani, sulla cui buonafede, va da sé, non sussiste dubbio alcuno. Certo, il progetto non fu elaborato dall'impresario valligiano, ma che del suo lavoro non emerga né menzione né traccia alcuna puzza di quella atavica idiosincrasia (fatta di ipocrisia a di invidia) che il mondo anglosassone nutriva e, forse, ancora adesso, nutre nei confronti degli italiani. E' come quando, nell'ultima guerra, una nave del Regia Marina affondava una qualche battleship della Royal Navy. E' capitato di rado, bisogna essere sinceri, ma quelle rare volte gli inglesi preferivano assegnare la colpa ai crucchi piuttosto che ai mangiaspaghetti: colare a picco per mano italiana era troppo umiliante. I tedeschi erano nemici temibili e credibili, i maccaroni no, quindi meglio glissare. Con lo stesso piglio ecco che, sul web, si afferma che "the bridge was constructed mostly by Germans". Roba da matti! Ma come!? E i Delleani? E tutti gli altri italiani che portarono braccia, cervelli e nervi saldi in quella landa lontana dal mondo per posare i binari della civiltà anche sul vuoto? Nel 1933, l'Iran aveva stretto un accordo generale con la Kampsax, una superagenzia di progettisti danesi e tedeschi che aveva il know how e i mezzi per "pensare" mille chilometri di ferrovia in mezzo alle montagne. La stessa Kampsax, soprattutto per la porzione di percorso della valle del Talàr, aveva individuato due ingegneri austriaci per progettare le opere e dirigere i lavori, Walter Inger e Ladislao di Rabcewicz. Fu soprattutto quest'ultimo, nato nella slovena Maribor nel 1893 (morì nel 1975), a seguire il cantiere di Abassabad grazie alla sua preparazione specifica per i tunnel ferroviari. Cesare Delleani lo cita nel suo libro e ne pubblica anche un biglietto d'auguri manoscritto in francese come usava allora. Ma da lì a dire che furono perlopiù i tedeschi a sfidare la natura tra quelle alture e a costruire il ponte sul Wresk, ce ne passa! Sarebbe come dire, se fosse una storia vera, che non furono i figli di Albione, ma i giapponesi stessi ad aver tirato su, tutto da soli, il ponte sul fiume Kwai... A Londra non la prenderebbero bene, quindi, chiunque ne abbia causa o titolo, ci "restituisca" il ponte sul Wresk.
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