La strada della Mologna la via prescelta dal Cai per entrare nella Vallée + Il 9 agosto 1880 fu aperta la strada della Mologna [Eco di Biella, 5 e 12 agosto 2019]
Tipologia Documento
Data cronica
- 5 agosto 2019 - 12 agosto 2019
Tipologia
- articolo di giornale
Contenuto
- La strada della Mologna: la via del CAI per la Vallée
L'idea nel 1873 sotto la presidenza di Tomaso La Marmora
La disputa tra le due Mologne e il colle della Vecchia
Domenico Vallino contro Federico Rosazza, e alla fine la spunta la Piccola
Tutte le volte che si nomina la Mologna, a molti un brivido corre lungo la schiena... Sarà mica, di nuovo, la solita storia del traforo...? No, questa volta, no, niente perforazioni. In questa occasione il tema è quello della strada della Mologna, ma non si tratta della via di transito ancora da scavare sotto la montagna (meglio evitare, altrimenti gli attivisti NO TAM, Traforo Attraverso la Mologna, metterebbero a ferro e fuoco la quieta Bürsch...), bensì quella effettivamente realizzata sopra la montagna. Chiamarla strada (considerando che è appena poco più di un comodo sentiero), a ben vedere, è un po' sviante, ma tant'è. La curiosità circa la strada della Mologna è nata in chi scrive dando un'occhiata al prezioso sito www.piedicavalloinfo.it. In una delle pagine, firmata da Corrado Martiner Testa, si legge: "Colle della Mologna Piccola – 2205 m. Il colle della Mologna Piccola è un importante valico di collegamento tra il Biellese e la Valle d’Aosta e, più precisamente, tra Piedicavallo e Niel, frazione di Gaby. La salita dalla Valle Cervo è comoda e piacevole, svolgendosi interamente sulla antica mulattiera edificata verso la fine dell'Ottocento". Quel generico "verso la fine dell'Ottocento" è un invito a nozze: chi, come, quando di preciso, e perché? Le strade di montagna si danno per parte del paesaggio, quasi nate con esso, segnate dai passi senza tempo di remoti alpigiani. Questa, invece, sembra avere avuto un destino differente, con tanto di "edificazione" e di data di nascita, per quanto approssimata (ma onore al merito del redattore di "Pidcainfo": approssimare è già molto meglio di niente). Nella medesima pagina si può osservare la fotografia della lapide posta a perenne memoria del fatto. L'epigrafe tramanda il ruolo del Club Alpino Italiano e, più ancora della Sezione di Biella del CAI, nella costruzione della strada, circoscrivendo il periodo di riferimento al quinquennio 1877-1881 e consegnando ai posteri tre nomi di rilievo, ossia i gressonari cavalier Squindo e Menabrea, nonché il cavalier Giovanni Magnani da San Paolo Cervo (è il già noto "Magnanin" che di tanto in tanto vien fuori raccontando dell'Alta Valle del Cervo). A dire il vero il testo della lapide non è molto chiaro, ma ci sono comunque alcune informazioni storiche interessanti. Ma chi l'ha posta e quando? Ecco altra curiosità che si somma a quella di cui sopra. Tanta curiosità val bene una rapida indagine, e quindi, a seguire, un po' di notizie circa la strada della Mologna. I tanti escursionisti che la stanno percorrendo in queste belle giornate avranno forse piacere di leggere qualche nota sul cammino che stanno facendo. Correva l'anno 1874 (ottobre) quando nella più che attiva Sezione di Biella del CAI si iniziò a discutere dell'opportunità di costruire una strada mulattiera che mettesse in comunicazione la Valle d'Andorno con la Valle d'Aosta (o, meglio, quella del Lys). I primi ragionamenti in merito datavano addirittura al 1873, ma fu l'anno seguente che il discorso fu portato al tavolo in via ufficiale. Dieci anni prima, nel 1864, più o meno nello stesso ambiente (cioè sotto l'egida, per quanto defilata, di Quintino Sella), si era formato il progetto del tunnel, ma non aveva avuto seguito. Al contrario, l'idea della strada si presentava di non semplice concretizzazione, ma comunque più praticabile, "ove appena si consideri quanta prosperità sia per apportare al commercio delle due valli indipendentemente dall’Alpinismo, il quale pure favorirà uno straordinario passaggio, non mai dannoso a villaggi stretti fra monti, basterà per farne comprendere l’importanza" ("Eco dell'Industria", 1° novembre 1874). Gli alpinisti biellesi non si nascondevano le difficoltà tecniche e, soprattutto, quelle economiche, ma il principio dell'investimento proficuo non avrebbe potuto lasciare insensibili gli imprenditori autoctoni più avveduti, nè le pubbliche amministrazioni locali. Nell'adunanza generale autunnale in programma per il 5 novembre, i soci del CAI di Biella affrontarono sul serio la questione. Questione che, fin dall'inizio, appariva di tanto grande rilevanza da valicare i confini dello stesso CAI. Durante la citata riunione, dopo che il presidente, l'avvocato Ubertalli, ebbe modo di illustrare la situazione all'avvio delle pratiche, "furono lette due lettere, una del generale Piacenza, l’altra del socio della Sezione di Torino sig. avv. Federico Rosazza. Con questa l'Assemblea era chiamata a scegliere piuttosto il passo della Veggia che quello della Mologna grande". L'intervento di Federico Rosazza Pistolet aveva posto un problema non certo secondario: quale tracciato avrebbe seguito la strada? Per quale colle sarebbe passata? Quello della Vecchia o quello della Mologna Grande? E la Piccola? Ovviamente non sarebbe stato possibile venirne a capo senza rifletterci per bene. Ragion per cui "fu nominata allora una Commissione composta dei signori: March. Tomaso Della-Marmora, presidente, cav. Pietro Magnani, avv. Federico Rosazza, geom. Giovachino Amosso, Giuseppe Squindo, Carlo Menabrea, Giovanni Prario, Vallino, segretario, con ampio potere di rappresentare il Club nello studio della scelta pel lato economico e tecnico del passaggio più conveniente tra Piedicavallo e Gressoney". La commissione aveva un mese per presentare i risultati delle sue valutazioni. Su "L'Eco dell'Industria" del 6 dicembre 1874 si può leggere la relazione sottoscritta dal suddetto Domenico Vallino. È un testo articolato, sintetico, ma esaustivo. I passaggi più rilevanti compaiono qui di seguito, anche se una disamina approfondita di quello scritto merita ben altra ampiezza di analisi. L'ipotesi iniziale, è bene premetterlo, riguardava la Mologna Grande. "Nell’intento di avvicinare Gressoney a Piedicavallo, la Direzione del Club Alpino - Sezione di Biella - si è occupata sin dal settembre 1873 (Presidente Marchese Lamarmora), della costruzione di una strada mulattiera attraverso la Mologna grande". Come detto, l'avvocato Rosazza aveva puntato sul colle della Vecchia, mentre fu il "Magnanin" a suggerire di prendere in considerazione la Mologna Piccola, "quale passaggio attualmente più frequentato degli altri". Secondo l'esito del lavoro della commissione, la Grande era la più appetibile dalla comunità di Gressoney, la più ricca della vallata e quella che avrebbe potuto contribuire di più alla riuscita del progetto. In effetti, "le popolazioni maggiormente favorite dagli altri due passaggi appartengono a Glair, Gaby, Niel, frazioni di Issime. Questo Comune non vanta abitanti così numerosi, nè dotati di censo come Gressoney e d’altronde non avrebbe alcun vantaggio a riversarsi nella Valle del Cervo stante la attuale maggior facilità di comunicazione con Pont S. Martin. Gli abitanti di Niel, i quali specialmente profittano del sentiero sulla Mologna piccola, non sono altro che pastori dediti al caseificio od allevatori di bestiame, i quali non troverebbero un vantaggio veramente apprezzabile da una strada mulattiera. È loro interesse di portare nel minor tempo possibile i loro prodotti al mercato di Andorno e Campiglia. In questo senso non raggiungerebbero nessun miglioramento per un sentiero più comodo, si, ma più lungo assai per lo sviluppo richiesto da una strada mulattiera di difficile costruzione e di costosa manutenzione. Di più le trenta famiglie di Niel sono poverissime e non possiedono tutte assieme nè un mulo nè un asino". Per questi motivi non si sarebbe potuto contare sul Comune di Issime. Era opportuno sviscerare anche e specialmente gli aspetti pratici che avrebbero condizionato l'uso della strada stessa per deliberare con la migliore saviezza possibile. Bisogna tener conto, per esempio, che "il trasporto del legname da opera dal versante nord a Piedicavallo, quale si effettua ora per la Mologna piccola e per l’angusto colle della Veggia, è sicuramente ragguardevole, e sarebbe cosa conveniente l’agevolarlo per considerazioni morali e commerciali. Quest’agevolezza sarebbe raggiunta colla strada mulattiera della Mologna grande, perchè i degradanti carichi ora confidati alle schiene delle nostre forti alpigiane, salirebbero allora da tutto il vallone di Niel agevolmente agli alpi di Bodo (tra il bocchetto di M. G. e il colle di Lozonei), ove già salgono attualmente gli asini ed i muli colle provviste degli alpigiani, raggiungerebbero ivi la strada mulattiera e scenderebbero a Piedicavallo per la Mologna grande". Ma non potevano essere dimenticati i valori alpinistici della scelta da compiere. "Dal lato alpinistico dovrebbesi notare il vantaggio di un valico variatissimo per la successione di due colli, pel passaggio in tre valli differenti del Cervo, del Niel o del Loo, dell’accesso dai piani di Loo al colle di Loo ed al colle del Macagno. Da questo collo diramasi ora un sentiero, che passando pel vallone di Vogna, scende a Riva-Valdobbia e unisce così Piedicavallo ad una stazione alpinistica di prima importanza, Alagna". L'apertura verso la Valsesia era un punto di forza della preferenza per la Mologna Grande, perché "qualora la strada costruenda passasse per la Mologna grande, una Sezione consorella del Club Alpino costruirebbe quella in Valle di Vogna, e non occorre dimostrare quale beneficio e quale comodità quale diramazione apporterebbe a noi tutti. Un altro vantaggio offerto dalla Mologna grande all’alpinista sarebbe quello di evitargli la noia di percorrere un bel tratto di marcia nella bassa valle, cioè da Gaby a Gressoney". Una semplice tabella esplicitava poi le significative variazioni altimetriche circa i rispettivi tracciati. Considerate le due località da congiungere, ossia Gressoney-Saint-Jean e Piedicavallo, Piccola e Vecchia comportavano 2.600 metri complessivi di dislivello, contro i 2.200 della Grande. L'altro parametro da includere era infine quello della distanza. "È noto che, allo stato attuale dei sentieri, il tragitto fra Piedicavallo e Gressoney può compiersi in sei ore di marcia per la Mologna Piccola, in poco più per la Veggia, ed in otto per la Mologna Grande". Però il tragitto più lungo era quello che avrebbe richiesto meno pendenza, rendendo cioè la sua percorrenza meno faticosa e al netto di una minor spesa per opere di sbancamento o di adattamento del suolo, necessarie invece per le altre due opzioni (ovviamente per realizzare la stessa strada sotto il profilo della larghezza, cioè 1,5 metri). In ogni caso, il costo al metro lineare, esclusi manufatti accessori, era da stimarsi tra le 2 e le 3 lire. Il Natale del 1874 trascorse con il configurarsi di tre "partiti" in seno al CAI di Biella. A gennaio le "fazioni" degli alpinisti gentiluomini diedero prova di reciproco omaggio dichiarando che il bene supremo (la strada) fosse l'unica cosa a contare, e non il percorso che avrebbe avuto. Tanto più che, come scrisse il solito Vallino su "L'Eco dell'Industria" del 10 di quel mese, "nel giorno 3 di questo mese alcuni pastori di Niel scendevano a Piedicavallo carichi di cacio, scansando qualunque sentiero e calandosi pelle falde di neve con una facilità sorprendente e nel ritorno ricalcavano le stesse orme. Una strada mulattiera non sarà dunque mai per essere utile altrimenti che nella bella stagione e, come si è detto altrove, il povero montanaro non ne trarrà mai grande profitto". Perciò perché tanto agitarsi se la nuova via sarebbe stata di scarsa utilità commerciale? Perchè, fatto già evidente fin da subito, il senso dell'opera stava tutto nella sua valenza alpinistica o turistica. Il CAI non si occupava di fontine gressonare o di transumanze (per i traffici mercantili si sarebbe usato il tunnel, no?) "Questa strada sarà invece molto usufruita pel transito a Gressoney e ad Alagna, epperciò conviene sia scelto il passaggio della Mologna Grande. Questo sia detto affinchè la questione non venga trattata troppo esclusivamente dal punto di vista tecnico, come pare accenni la conclusione dell’articolo, pubblicato dall’onorevole propugnatore del Colle della Veggia". Vallino (leggi La Marmora) contro Rosazza... Vecchia contro Grande. Bella sfida! Gentleman sì, ma fino a un certo punto... Nel giugno del 1875, durante la festa sociale del CAI tenutasi in Piedicavallo si brindava alla prossima apertura della "stazione alpina" di Gressoney e si pronosticava buon successo per la strada che, in quel mentre, era ancora solo un abbozzo privo, per di più, di un tracciato stabilito. Il "duello" tra Mologna Grande e colle della Vecchia era in pieno svolgimento. La disputa si concluse solo nell'autunno del 1875. E furono i tecnici a far pendere la bilancia a favore della meno gettonata (fino ad allora) delle soluzioni. Il 21 novembre si era "adunata la Commissione pella strada mulattiera fra Piedicavallo e Gressoney, per udire lettura della relazione sugli studi di massima, praticati quest’estate, allo scopo di scegliere uno fra i tre valichi proposti. Malgrado le simpatie delle persone tecniche (che gratuitamente hanno prestato la loro opera) pel transito della Mologna Grande, la relazione conchiude favorevolmente invece per la Mologna Piccola. Le ragioni edotte sono tali da convincere chiunque della scelta fatta, e chi ha sempre propugnato il passaggio della Mologna Grande si arrende tanto più volentieri al verdetto degli ingegneri, quanto minore è la spesa da essi proposta". Ecco fatto, tutti d'accordo. Quando si parla di soldi... Febbraio 1876: il CAI di Biella plaudeva alla elezione a presidente nazionale il nostrano Quintino Sella (che della Sezione biellese era presidente onorario). E mirava a portare a Biella, per il 1877, il 10° Congresso Nazionale di quei tremila e più soci che componevano il CAI. A dar lustro alla kermesse ci sarebbe stata "un’opera grandiosa da inaugurare: la strada della Mologna". Quindi le prospettive c'erano ed erano ottime, ma restavano per l'appunto prospettive. Nessun colpo di piccone era stato inferto ai graniti della montagna, nessuna losa era stata posata sui suoi fianchi erbosi per renderli percorribili. Sempre in quel febbraio l'infaticabile Vallino tornò a dire la sua (o quella di altri che ne guidavano la penna). Tanto per cominciare comunicò l'importo di alcune offerte "pesanti": "per la Strada della Mologna Piccola. Ferrua Virginio L. 25, Rosazza Lodovico 25, R. H. Budden, Firenze 20, Comm. Quintino Sella 30, Alessandro Sella 10, Corradino Sella 10, Cav. Giuseppe Sella 30, Carlo Sella 10". Da che parte stavano i Sella era assodato e anche il Vallino si era allineato. Ormai si doveva solo aspettare l'avvio del cantiere, tanto più che "se non si fa quest’anno la Strada della Mologna non si farà mai più. I sottoscrittori non vorranno mantenere in perpetuo la loro offerta, il Club Alpino si occuperà di altre imprese e i consiglieri [comunali di Piedicavallo, n.d.a.] attuali, se non appoggiano con tutte le loro forze quest’opera, invece della gratitudine dei figli, sentiranno i lagni di quelle povere ragazze, delle loro figlie, che si sformano e si logorano, facendo le veci di bestie da soma, su e giù per la Mologna". Alla prossima settimana per il prosieguo del racconto.
La strada della Mologna fu aperta il 9 agosto 1880
Nel 1877 il tratto vallesano fino a Niel era già percorribile
Sul percorso il belvedere Squindo e la comba Menabrea
L’opera costò più di 10 mila lire e quattro estati di lavoro
Riprendiamo il cammino sulla strada della Mologna. Chi non ha perso la puntata precedente sa già che Mologna sta per Mologna Piccola, dopo che una accesa competizione si era accesa tra il 1874 e il 1875 in seno al CAI di Biella su quale fosse la migliore delle due Mologne e se non fosse ancor meglio preferire loro il Colle della Vecchia. L’idea di realizzare quel “comodo” sentiero alpestre, in grado di collegare “agevolmente” Piedicavallo e la vallata del Lys, aveva suscitato molto entusiasmo ovunque. Tranne che nella Bürsch. Strano. Già alla metà di febbraio del 1876 la Sezione di Varallo del CAI aveva stabilito di versare 300 lire di contributo per sostenere l’iniziativa. Anche Sebastiano Linty, proprietario dell’Hotel Mont Rose di Gressoney-Saint-Jean aveva inviato 250 lire. A fronte di tanta pronta disponibilità forestiera, gli alpinisti biellesi si domandavano (vedi “L’Eco dell’Industria” del 27 febbraio 1876): “Quando si sveglieranno i Comuni interessati della Valle di Andorno?”. Domenico Vallino, segretario del CAI di Biella, era un ottimo pungolatore, anche perché poteva contare su un bilancio della sezione in ottima salute. L’attivo approvato in quel frangente sfiorava le mille lire, al netto dello stanziamento di ben 500 lire a favore della strada da costruire. La “spinta” del Vallino sortì l’effetto desiderato, almeno a livello privato. Una nutrita schiera di privati piedicavallesi, riuniti in “fratellevole banchetto” presso il locale Albergo Mologna, brindarono all’iniziativa del CAI e, su suggerimento di Carlo Jon Scotta, raccolsero quasi cento lire da offrire agli amici del Club Alpino Italiano. Nulla ancora si era mosso, ma le premesse si stavano facendo via via più concrete e rassicuranti. Alla metà di giugno un altro “grosso nome” firmò in calce al progetto. L’ing. Alessandro Mazzucchetti, che nei vent’anni precedenti aveva ideato le due stazioni ferroviarie di Piazza Principe in Genova e Porta Nuova in Torino, fece pervenire altre cento lire per dare alla sua valle una chance in più di viabilità e di uscita dall’isolamento. E si attendeva solo l’estate di quel 1876 per dare inizio ai lavori. Il cantiere fu effettivamente aperto e già alla fine di agosto la stampa locale aggiornava i suoi lettori: “La strada della Mologna procede alacremente e riesce magnifica. Il Club non poteva scegliere migliore persona del Giuanin Peraldo per la direzione dei lavori, i quali hanno presentato seria difficoltà, nella parte superiore del colle. Oltre due chilometri sono ultimati e si procederà più alacremente e più economicamente nella parte inferiore del colle ove il tracciato ha più larga base”. Prima che l’inverno arrivasse a far sospendere le opere in corso, molti altri generosi oblatori si aggiunsero alla già lunga lista aggiornata di continuo dal CAI di Biella. Tra i più attivi nel fundraising fu Carlo Menabrea, titolare del birririficio. Gressonaro di nascita, fu nel villaggio avito che si spese maggiormente per raccogliere fondi a sostegno dell’operazione. Non dovette faticare molto, a dire il vero, perché i vallesani avevano colto senza difficoltà e accolto senza diffidenza le finalità del CAI di Biella. I nomi di Lisco, Welf e altri compaesani (e soci) dell’imprenditore birraio furono inclusi nel novero dei sottoscrittori. Intanto l’albergatore del Mologna, Pietro Jon Scotta, non stava con le mani in mano e faceva la sua parte sul lato biellese del tracciato. Il 30 novembre era giunta l’ora di fare i conti e il CAI di Biella approvò un consuntivo diviso in due parti: quella della gestione ordinaria e quella tutta dedicata al cantiere che si era arrestato in vista del freddo. “Le sottoscrizioni per la strada della Mologna ci fecero entrare l’egregia somma di L. 5553. Le spese salirono a L. 5857,85 eccedendo le prime di L. 304,85 che vennero anticipate dal fondo sociale sul quale è del resto già stanziata la somma di L. 500 quale contributo della sezione a quest’impresa. Quantunque non sia delle nostre attribuzioni di revisori ci piace dire una parola di lode e di ringraziamento a quei benemeriti soci che ci furono larghi del loro danaro all’esecuzione di questa via nonché alle due consorelle di Varallo e di Milano che a quest’uopo ci fecero pervenire L. 300 caduna”. Si stava mettendo bene. E per Natale altri regali dalla valle del Lys. “Dal socio Carlo Menabrea furono versate al tesoriere del Club L. 50 per conto del sig. Thedy — Trinità. Mille grazie al sig. Thedy e al sig. Menabrea, che contribuisce di borsa e di persona per promuovere l’impresa della Mologna”. Nelle prime settimane del 1877 il vento non cambiò. Riunione generale CAI Biella d’inizio febbraio: “L’assemblea si sciolse verso le cinque, ma, prima di allontanarsi, alcuni soci lasciarono nelle mani del segretario una testimonianza del loro interesse all’opera intrapresa dal Club, alla strada della Mologna. Il socio signor G. Squindo versava L. 100 da lui raccolte a Gressoney la Trinità cioè: F.lli Tedé fonditori in ghisa L. 50, F.lli S q u in o b a l 30, Vedova Squinobal nata Reale Cresenzi 20. Totale L. 100 Il socio cav. Ambrogio Mantellero sottoscrisse per L. 40, G. B. Amosso, Crolle cav. Vincenzo, Agostinetti Carlo, Zina Carlo, Canepa Giovanni, Cablè Luigi, Bona Basilio, tutti L. 10. Cioè altre L. 100 e in tutto 200 lire raccolte per la Mologna. Se la sottoscrizione si sostiene a questo modo si potrà inaugurare la strada nell’occasione del prossimo convegno internazionale. E sarebbe una gran bella cosa!”. In effetti le previsioni non erano affatto azzardate. Poco dopo, infatti, “in seguito ai buoni uffici del nostro Presidente onorario Q. Sella, la deputazione della provincia di Torino, ha accordato un sussidio di L. 500 per la costruzione della strada della Mologna”. Il 3 di giugno 1877 il solito Vallino si premurò di informare tutti quanti (a mezzo stampa) circa lo stato avanzamento lavori. Ecco il testo breve, ma brioso ed esauriente, come di norma ne uscivano dalla penna del futuro sindaco di Biella. Con la scusa di informare un alpinista distratto, scrisse: “Tant va la cruche à l’eau jusqu'à ce qu’elle se casse. Io aveva paura di casser qualche cosa al pubblico epperciò non ho fatto di pubblica ragione quanto si è operato in questi ultimi giorni a prò della strada di Mologna. Richiesto da uno degli ultimi sottoscrittori, il quale si lamenta di non aver mai letto verbo di Mologna sull’Eco, al quale egli è abbonato, ritorno sull’argomento: riporto la cruche à l’eau e prego i lettori assidui di voltare il foglio addirittura. Come diamine un abbonato all’Eco non abbia le orecchie già intronate dall’antifona Mologna non so spiegarlo, altro che colla fascia verginale cioè colla verginità della fascia... del giornale e la verginità è cosa, cui... Ma non mi vo’ confondere e tiro avanti. Ab ovo. Si è cominciato a costrurre la strada dal culmine del giogo di Mologna. Mediante 21 svoltate si è sceso di 150 metri, facendone più di mille di strada. A mezzo di questo zig, zag a 18% di pendenza un pianerottolo adorno di sedili costituisce il belvedere Squindo, dal nome del principale oblatore, sig. Giuseppe, fonditore di ghisa in Biella. Il tracciamento di questo tratto fu scabroso, come fu la costruzione del susseguente, che traversa il dosso delle Pietre rosse. Si figuri, signor abbonato oblatore, un enorme mucchio di noci (che sarebbe la montagna) e a metà della china dovervi intagliare una strada. Non posso paragonarlo al lavoro di Sisifo, perchè qui si tratta di detriti minuscoli, mentre quel povero diavolo aveva per le mani un sassolino non demosteniano e doveva spingerlo a monte, mentre i lavoranti qui si limitavano di gettarle a valle, le pietre rosse; ma la rassomiglianza sta pur tuttavia, in quanto che il lavoro fatto pareva sempre fosse a rifarsi. Si sgombrava un metro Cubo e ne venivan giù due di materia. Dopo il passo del Mar Rosso, cioè delle pietre rosse si è scavalcato il torrente, senza ponte, e questo è un miracolo che ha che fare con quello del Mar Rosso; ma non mi vi fermo, per farle osservare invece il burrone Menabrea, che le guide nomineranno Comba Menabrea per conservar nel linguaggio nostro la memoria di un secondo generoso oblatore la ditta Menabrea, fabbrica di birra in Biella. In questo burrone sono scesi i soci periti che tracciarono gratis di massima la strada. Io scesi con loro facilmente, ma sortirne fu un affare arrischiato, e non dico questo per far loro un complimento sorbettino, (non mi scriva Sor Bettino, signor Proto), ma per far osservare che questi cinque passi, coi quali Ella ora attraversa il burrone, ci costano 100 lire ciascuno. Sicuro; guardi questo muro inclinato. Non ha la simmetria del bugnato di palazzo Pitti, ma ne ha la solidità. E le roccie biancastre che vede strapiombare sulle nostre teste, attestano quanta parte di esse fu inghiottita dall’ingordigia di questa voragine. E ora, scendendo sempre, siamo alla Schiena del mulo. Vede quella traccia di sentiero, laggiù in fondo, accanto al torrentuccio ora a secco? Quello era il passaggio antico, e quel bel nastro bianco che spiegasi tortuosamente fra pascolo e roccia, è la nostra strada nuova, la strada del Club Alpino. Bello, bello! mi dice Lei — Certamente, dico io. Questo serpeggiare su questo dosso, per scendere adagino sino a quel livello inferiore, è detto la salita Magnani dal cav. Giovanni Pietro, terzo generoso oblatore. Traversiamo ora il torrente che scende da Mologna Grande e guardi quel sasso. Km. III. Ella quasi non crede di aver percorso 3000 metri, ci si cammina tanto bene, sulla strada nuova. Questi casolari sono dell’Alp Invalle . In questo tugurio nacque il fondatore dell’asilo infantile a Piedicavallo, lon Tonel. Salutiamo. Da quel lasso (dirò chilometrico?) si contano 2184 metri sino ai ponte di Saarbruck. Il costo della strada a monte è stato di oltre L. 2 per metro lineare e di 89 centesimi a valle. Dunque si è già speso più di otto mila lire per questo versante. Sino al ponticello che ricorda la battaglia di Saarbruck, (essendo stato chiuso in quel giorno) si potrebbe andar con una carrozzella e vicino al paese invece cominciano le dolenti note. Che buggerìo di gente e di roba: non ci si passa più! — E che monte di quattrini vi si spendono, sapesse signor abbonato oblatore! Non è più una lira, due lire o cinquanta soldi, ma son tre lire e tre e mezza per metro lineare che la strada qui ci costa e qua e là più ancora; ma sarà tutta selciata, incordonata, banchinata… — Per carità, ma, e i ghelli? Eccole il nostro bilancio. Auguriamoci che il nostro presidente Sella ne possa un giorno presentare un simile a Montecitorio, perchè ritornerà...”. Seguono quindi le cifre. Il Comune di Piedicavallo aveva “messo” 4.000 lire e un consorzio tra i potenziali utenti della strada ne aveva conferite altre 1.500. I citati Menabrea e Squindo si erano esposti per complessive 1.200 lire, ragion per cui i loro nomi erano finiti a buon diritto nella lapide incisa lungo la strada. Idem per il vallecervino “Magnanin” che, forse, era il destinatario (prodigo finanziatore, socio CAI e abbonato a “L’Eco dell’Industria”) neppure troppo occulto del bonario (e di certo concordato) sfottò del Vallino. A quell’epoca il tratto vallesano del percorso, tra Gressoney e Niel era già praticabile. Anche sul versante biellese il cantiere proseguì speditamente ma, come sempre avviene nel Belpaese, non mancando il lavoro, mancarono i soldi… Nel marzo del 1878, a opere finite e dichiarate a regola d’arte, si dovette registrare una piccola sofferenza di cassa, tipicamente italiana, che rischiò di guastare la festa a tutti. Ancora il puntuale e pungente Vallino: “Il Comune di Piedicavallo votava nel 1876 un sussidio per la strada mulattiera di Mologna. Nel 1877 ne iscriveva una parte sul suo bilancio. I lavori della strada vennero eseguiti, e debitamente collaudati dall’ingegnere Maglioli. Il Club Alpino, esauriti i fondi proprii destinati alla strada e quelli raccolti per sottoscrizione, richiedeva la spedizione del mandato di pagamento. Questo […] non venne rilasciato. Tanto si pubblica in risposta alle ripetute domande dei lavoranti di Piedicavallo, i quali assunsero quella costruzione nella speranza che il loro Comune adempisse a’ suoi obblighi, e ad edificazione loro nella scelta dei propri amministratori”. La mulattiera del Lago della Vecchia, voluta da Federico Rosazza in “alternativa” (per non dire in competizione) a quella della Mologna Piccola era già pronta e nell’estate del 1878 si poteva percorrere in pieno agio. La via del CAI, invece, aspettava di essere inaugurata con l’amaro in bocca che si sente quando si arriva a questionare per il vile denaro. Nel 1879 e nel 1880 la Deputazione Amministratrice Provinciale di Novara e di Torino deliberarono un sussidio specifico per la strada della Mologna che, sebbene conclusa, non era ancora stata del tutto pagata. Ma nell’estate del 1880 i lavori ripresero. Ai primi di luglio “pel riadattamento e la continuazione della strada mulattiera sino alla strada di Gressoney sopra Gaby, si tenne domenica a Piedicavallo pubblica gara per aggiudicazione dell’impresa; rimasero deliberatari i signori Jon Toniòn Bernardo e Valz-Giauinèt Battista. Così sin da quest’anno la comunicazione fra Piedicavallo e Gressoney sarà resa molto più comoda alle cavalcature, essendosi disposto che nei luoghi pericolosi, sotto Niel specialmente, vengano collocati solidissimi ripari in legno. Le gradinale irregolari e incomode sono pure modificate dappertutto e tolte ove è possibile. Oramai l’impresa è a tal punto che se continuerà, come speriamo, il favore dei soci, le poche opere che rimangono a farsi potranno essere compiute ancora entro l’anno corrente. Sollecitiamo dunque vivamente questo concorso definitivo, questo ultimo sforzo per completare questa strada, che, se torna ad onore della nostra sezione del Club Alpino, torna pure a grande vantaggio delle popolazioni valligiane e dei viaggiatori che traversano Biella, diretti verso il Monte Rosa”. Mancava davvero poco. Il 9 agosto 1880 la strada della Mologna fu solennemente inaugurata con una sobria cerimonia organizzata dai gressonari e partecipata anche da rappresentanti del CAI di Biella. Sul colle fu stappato vino del Reno e i brindisi celebrarono il Comune di Piedicavallo, la gente della Valle Cervo, e quella della Valle del Lys unite ancor di più da quella nuova via di comunicazione. Nel novembre seguente il CAI di Biella pose fine ufficialmente alla lunga marcia che aveva condotto, in cinque anni, alla realizzazione della strada. La soddisfazione per il risultato raggiunto nell’estate appena trascorsa era tuttavia listata a lutto. Giuseppe Squindo era da poco deceduto (12 ottobre) e anche Alberto Menabrea aveva scalato l’ultima vetta da non molto (5 agosto). Con il fratello Carlo era stato uno dei grandi finanziatori dell’opera. Squindo e Menabrea, come già indicato da Domenico Vallino nel 1877, ebbero intitolati il belvedere e la comba (o burrone) di cui sopra. Entrambi furono immortalati anche nella lapide voluta dai soci del CAI di Biella, insieme all’immancabile Giovanni Magnani. Stranamente l’epigrafe reca la data del 1881, quando invece la strada era stata inaugurata l’anno prima.
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