Nei giorni 14 e 15 agosto 2021 l’oratorio di San Mauro di Gliondini ha svelato due suoi segreti. Custoditi al suo interno, sono emersi due piccoli tesori che vale la pena di descrivere. La chiesetta del villaggio, costruita nella seconda metà del Seicento, conservava un ex voto del 1743 e due sculture in legno, raffiguranti due santi (?) vescovi, aventi la funzione di reliquiari. Il primo era celato nel vano sul retro dell’altare. È stata Renata Pedretti a scovarlo in quel particolare armadio a muro, avvolto in un panno. I reliquiari, invece, erano posizionati sulla cornice dell’abside, ad una certa altezza dal pavimento. Su mia richiesta (mi hanno incuriosito da quando li ho visti per la prima volta…), gentilmente sono stati recuperati da Samuel Grosso, Alessandro Pelacchi e ancora la predetta Renata. Quindi, grazie a tutti loro.
L’ex voto (una tavoletta di legno di 40x25 cm, in buono stato di conservazione, se si escludono un po’ di forellini dovuti ai tarli e una crepa), su cui si legge “E.V. 1743” rappresenta una scena tipica e piuttosto semplice dal punto di vista compositivo e pittorico. Sulla sinistra, in una camera spoglia, dove si può (forse) riconoscere la sagoma di un ampio camino spento, si nota un grande letto. Sotto le coltri rimboccate fin sotto il mento, un uomo o una donna, difficile stabilire il genere con sicurezza, giace in stato di malattia, affondando il capo fasciato su un guanciale. Con tutta evidenza, per ottenere una guarigione fuori dalla portata della scienza medica dell’epoca, il malato o la malata non poteva che chiedere una grazia. Ed ecco, sulla destra, una coppia di santi decisamente inedita, ma non per Gliondini: San Giovanni Battista e San Mauro Abate. Il Precursore non poteva mancare in un ex voto di un devoto valìt o di una devota valëtta che correva un serio pericolo di morte. Il Santo della Valle d’Andorno, qui raffigurato nella sua tenuta più tradizionale, con il bastone e l’Agnello in braccio, è però affiancato dal patrono di Gliondini, in abito scuro, da benedettino, con il libro e, probabilmente, il pastorale abbaziale (San Mauro fu abate di Montecassino appena dopo il fondatore dell’ordine, San Benedetto da Norcia, del quale fu il più fedele discepolo con San Placido), che lo distingue nella sua abituale iconografia (se all’estrema destra ci sia anche – altro suo elemento iconografico distintivo – la classica mitra da abate… mitrato, per l’appunto, è da verificare). La presenza di San Mauro attesta che l’origine dell’ex voto è tutta gliondinese. Di certo non si tratta di un’opera d’arte: la “mano” non è quella di un pittore, ma il valore più importante e profondo delle tavolette votive dipinte sta proprio nella genuinità della realizzazione.
Sciogliere un voto per una grazia ricevuta era un fatto intimo e privato, e tale era anche il testimoniarlo attraverso un’immagine che potesse tramandare quell’avvenimento in qualche modo straordinario. Non occorreva essere un Cucchi o un Galliari, bastava “raccontare” con il cuore, spontaneamente, anche con il tratto incerto e la pennellata spessa. Ed è questo senza dubbio il caso. La data, infine, è interessante: la scoperta del Ferragosto scorso riguarda uno degli ex voto più antichi in assoluto tra quelli conservatisi in relazione a San Giovanni Battista (presso il santuario) e senz’altro l’unico che ritrae anche San Mauro.
Per quanto riguarda i due reliquiari a foggia di busti di vescovi la (ri)scoperta è stata doppiamente curiosa. In primo luogo, perché dove erano posizionati non consentiva un’agevole valutazione dei manufatti in sé. In secondo luogo, perché al loro interno (e dal basso tutto risultava invisibile) erano conservate tracce del loro primitivo e specifico utilizzo.
I due busti sono leggermente diversi tra di loro nelle fattezze dei personaggi ritratti. Misurano entrambi circa 55x30 cm e si presentano piuttosto rovinati dai tarli, tanto che il legno appare in alcuni punti sbriciolato o del tutto mancante. Un’infausta tinteggiatura li ha privati completamente delle tinte originali o comunque più antiche, anche se è possibile che, in origine, fossero argentati o dorati. Non mostrano connotati tali per cui si possa attribuire loro una qualsivoglia identità. Sono due vescovi (copricapo, barba autorevole e abito appena accennato li indicano come tali) che, all’occorrenza potevano assumere un’identità specifica. Sul petto sono dotati di una cornice che poteva ospitare un cartiglio o un segnale che li poteva designare secondo le necessità. La fattura, molto artigianale e stereotipata, ma non così grezza, induce a credere che possano appartenere a una scuola minore, forse locale.
Di sicuro non assomigliano ai più pregevoli busti reliquiari (barocchi o successivi) reperibili nelle chiese e negli oratori dell’Alta Valle Cervo. Un’attribuzione alle sgorbie del saglianese Pietro Antonio Serpentiere (o di un suo allievo con la mano un po’ più greve) può arrivare attraverso il confronto con la coppia di busti episcopali reliquiari presente nella parrocchiale di Montesinaro che si presentano, però, di più raffinata esecuzione e totalmente dorati. Se tale attribuzione fosse confermata, allora si potrebbe collocare la loro realizzazione alla seconda metà del Settecento.
Ma non è detto che quei due reliquiari siano “nati” a Gliondini o per Gliondini. La loro genericità li pone al di fuori di qualsiasi contestualizzazione specifica. Considerando anche l’intitolazione dell’oratorio, i due busti raffiguranti vescovi o santi vescovi potrebbero essere stati acquistati in zona (o altrove, se l’ipotesi Serpentiere dovesse essere non corretta) in un’epoca imprecisabile al solo scopo di contenere delle reliquie pervenute o in procinto di pervenire all’oratorio gliondinese. Oppure soltanto per arredarne l’interno abbastanza spoglio tuttora. La documentazione (piuttosto esigua) che riguarda la gestione della chiesetta non offre appigli di sorta.
A proposito di reliquie, le nicchie ricavate nel piedistallo dei reliquiari non erano vuote. Non contenevano particole di santi, ma dietro i vetrini sporchi c’erano dei frammenti di carta. Erano quanto rimaneva di abbondanti libagioni di animaletti “cartofagi”. Nonostante non rimanesse molto, ho potuto identificare quei resti come immaginette di santi. Sebbene non molto coerenti coi reliquiari, le due figurine sono state collocate lì per qualche ragione. Forse soltanto per non lasciare orbi i due oculi. Oltre a quelle proprie di San Mauro Abate (peraltro sottratte pochi anni or sono e ripristinate solennemente nel 2019) non si ha notizia di altre reliquie, quindi è del tutto plausibile che i reliquiari, svolto il loro compito ornamentale, sarebbero rimasti vuoti. Invece, qualcuno pensò di mettere nelle due piccole teche altrettanti santini. Nel busto scolpito con i capelli più lunghi era ubicata l’immagine di San Pietro, mentre nell’altro c’era un San Luigi Gonzaga. Certo, San Pietro fu il primo vescovo di Roma (oltre che il primo papa), ma quasi mai lo si incontra in quella veste, quindi è poco credibile che il reliquiario si riferisca iconograficamente a San Pietro. Per San Luigi Gonzaga il discorso è ancora più valido, perché non fu mai vescovo.
Un’analisi superficiale dei due cartoncini mangiucchiati ha portato a un ulteriore sviluppo dell’indagine. Che conduce in Germania. Quelli ritrovati ormai quasi del tutto distrutti erano due santini stampati e colorati da un tipografo-editore di Augsburg (Augusta), tale G. Frehling, attivo nella seconda metà del XVIII secolo (perciò potenzialmente coevo con le statue lignee, ma la correlazione cronologica sembra essere solo una coincidenza). Internet fornisce qualche informazione sulla sua attività e anche qualche immagine di suoi altri santini similari. Ragion per cui, con tutta le accortezze filologiche del caso, scaricati due santi analoghi a quelli fatti a brandelli dai tarli, ho operato una sostituzione. Adesso un altro Sanctus Aloysius Gonzaga e un altro Sanctus Petrus (entrambi stampati dal suddetto Frehling) occhieggiano dal basamento dei busti. Tra tre secoli probabilmente saranno nelle stesse pessime condizioni in cui li abbiamo trovati a Ferragosto dell’anno scorso e magari qualcun altro li “aggiornerà” a sua volta.