Ala Parella: note descrittive generali del manufatto e qualche nota sulle scuole di San Giovanni d'Andorno

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Il ritratto di Carlo Emilio San Martino Parella litografato da Ferdinando Perrin per i Fratelli Doyen di Torino e inserito nel volume dedicato al marchese di Andorno da Alberto Ferrero della Marmora nel 1863.
Il ritratto di Carlo Emilio San Martino Parella litografato da Ferdinando Perrin per i Fratelli Doyen di Torino e inserito nel volume dedicato al marchese di Andorno da Alberto Ferrero della Marmora nel 1863.

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Ala Parella: note descrittive generale del manufatto e qualche nota sulle scuole di San Giovanni d'Andorno

L’ala Parella è il corpo di fabbrica edificato sul finire del XVII secolo per Carlo Emilio San Martino di Parella, terzo e penultimo marchese di Andorno. Una lapide posta sulla facciata interna ricorda il nobile committente, “celebre capitano dei Duchi di Savoia”, che “vi dimorò prima di recarsi a combattere contro i Turchi nella difesa di Vienna 1683”.

L’epigrafe tramanda il valore militare del Parella sotto le mura di Strigonia, oggi Esztergom (Ungheria), i suoi meriti riconosciuti dall’Imperatore e la sua fedeltà al Duca di Savoia. Omette, invece, il suo ruolo di protagonista nella difesa di Torino durante l’assedio francese del 1706 in cui si sacrificò il saglianese Pietro Micca. E tralascia anche i suoi trascorsi di “ribelle” nei confronti della stessa casa sabauda o, meglio, della duchessa Giovanna Maria Battista di Savoia Nemours, madre del minore Vittorio Amedeo II e “Reggente” in sua vece, che tramava contro gli interessi torinesi a favore di quelli parigini. Nel 1682, ricercato per alto tradimento, il Parella si rifugiò per tre mesi (gli unici, a dire il vero, in cui risiedette nella vallata) a San Giovanni d’Andorno dove poté contare sul sostegno dei “suoi” valìt. I valligiani si batterono per il loro marchese nello scontro “epico” avvenuto contro i soldati della Reggente in quella zona poco distante dal santuario e ancora oggi nota come il “burun d’la bataja”.

Nato nel 1639, Carlo Emilio era il figlio di Alessio San Martino, marchese di Parella e Brosso, nonché di Andorno, in successione al figlio naturale del duca Carlo Emanuele I, il celebre don Emanuel, il “bastardo” per cui era stato creato il marchesato. Alla dipartita di Alessio, nel 1674, il titolo sulla valle del Cervo era passato a Carlo Emilio, che lo mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1710. Nove anni dopo il marchesato di Andorno cessava di esistere. Il gentiluomo canavesano lasciò morendo tutti i suoi beni immobili valligiani al Santuario di San Giovanni d’Andorno (tranne un mulino, che andò alla Comunità di Piedicavallo).

o stabile, austero e possente, si protende dalla falda del monte verso valle in posizione ortogonale rispetto all’edificio dell’osteria e dell’alloggio dei sacerdoti sorto all’inizio del XVII secolo. L’ala Parella, che appare in forme diverse da quelle attuali nella veduta dell’ospizio inserita nella “Historia” di don Giovanni Battista Furno (1702), è l’elemento iniziale dell’ideale emiciclo via via costituitosi attorno alla piazza del santuario e al suo burnel (senza il padiglione marchionale il complesso avrebbe un andamento appena incurvato). Ancor prima che la chiesa fosse collegata al resto dei fabbricati (l’edificio degli esercizi spirituali e l’ultima struttura di congiunzione furono costruiti tra il 1718 e il 1768), il “palazzo” del marchese imponeva il suo volume ardito e sporgente verso il pendio scosceso al limite del piazzale di allora (ampliato solo nel Novecento con la costruzione della palestra sottostante) conferendo al manufatto l’aspetto di un’alta e inespugnabile fortezza.

Tale impressione è enfatizzata dall’avancorpo fronte valle realizzato con un ampliamento dell’ultimo quarto dell’Ottocento (ai tempi del disegno dal vero di Clemente Rovere, eseguito nel 1847, l’ala Parella era ancora allo stato primigenio), intervento che ne ha rafforzato i prospetti generando spazi più ampi.

Fin dalla sua prima edificazione, il fabbricato funge anche da porta principale del santuario. Una angusta e marziale carraia, sopra cui campeggia l’iscrizione “Fuit homo missus a Deo cui nomen erat Johannes” tratta dal Vangelo di Giovanni (1:6) permette di accedere allo spiazzo sterrato conchiuso.

L’ala Parella, deceduto il suo fondatore, trovò subito una filantropica destinazione d’uso. In essa fu collocata la “scuola per i fanciulli” voluta dal benefattore notaio Giovanni Battista Accati che per tale scopo chiamò erede la chiesa di San Giovanni Battista nel suo testamento dell’8 gennaio 1713. Per lungo tempo l’attività didattica e l’ospitalità per gli alunni che frequentavano la scuola dell’ospizio poterono svolgersi grazie alla capiente volumetria del corpo di fabbrica.

 

Qualche notizia sulla scuola di San Giovanni d’Andorno

Giovanni Battista Accati dispose, nel suo testamento dettato l’8 gennaio 1713 al notaio Mutiano o Muziano a Lodi (città in cui possedeva alcuni beni), di destinare una porzione considerevole della sua eredità all’istituzione di una scuola ad uso gratuito dei bambini poveri della valle. Una lapide all’interno della chiesa ricorda il benefattore che, all’inizio di quel lontano 1713, diede il primo e più consistente impulso all’insegnamento elementare nel santuario.

Le 10 mila lire del legato Accati furono investite nell’acquisto di un censo costituito e venduto dalla Città di Torino il 30 giugno 1713 (rogato notaio Giovanni Battista Boasso) all’annuo interesse del 4% (400 lire l’anno di rendita). Nel 1723 ci furono problemi per la riscossione degli interessi, perché la Città di Torino aveva intimato la retrovendita del censo (voleva restituire le 10 mila lire per non pagare ulteriori interessi). E detta Città di Torino aveva impiegato la stessa somma nell’acquisto di tanti “monti di S. Battista erretti dall’Ill.ma Città di Torino alla ragione di quatro per cento, per editto di S. M. delli 7 luglio 1723” (a quell’epoca gli esecutori testamentari dell’Accati erano già morti). Quindi il santuario chiedeva alla Curia di Vercelli di autorizzare e di confermare l’avvenuto cambiamento nel “fondo d’investimento”.

Nel 1735 la vedova, che godeva ancora dell’usufrutto dei beni del defunto marito, si appellò alla clausola testamentaria secondo cui, se l’usufrutto non fosse stato sufficiente per il suo mantenimento, si sarebbe dovuto “intaccare” il capitale disposto per San Giovanni d’Andorno o gli interessi derivanti per sostentarla. E fu accontentata.

Ma al di là dei rapporti con la vedova, che cosa stava accadendo alle ultime volontà del notaio Accati rispetto all’istituzione della scuola?

In primis va segnalato che, nel 1680-1682, era sorto il “palazzo” del marchese Parella. La sua funzione originaria fu quella dell’accoglienza dei pellegrini e solo nel Settecento gli fu data quella destinazione d’uso che rimase fino alla fine dell’esperienza didattica di San Giovanni d’Andorno. Fu l’obbligo di istituire la scuola a definire il destino dell’ala Parella? Probabilmente sì. Senza il legato Accati l’ala Parella sarebbe rimasta una parte del grande “albergo” di San Giovanni d’Andorno. Si deve altresì segnalare che non è nota la data di attivazione delle scuole nell’ala Parella. Non è chiaro se siano nate già lì o se la stanza adibita ad aula sia stata inizialmente ubicata altrove (magari nella galleria Accati sopra la rettoria?).

In ogni caso, il 25 marzo 1718, gli amministratori del santuario imposero al cappellano don Giovanni Battista Girodetti, uno dei tre che dovevano risiedere stabilmente a San Giovanni d’Andorno, di tenere lezioni regolari. Si tratta della prima notizia circa le scuole del santuario, appena cinque anni dopo il lascito testamentario dell’Accati. Don Girodetto doveva insegnare “con tutta diligenza et a suo debito tempo con procurare che la pija mente del benefatore [cioè la disposizione testamentaria dell’Accati, n.d.a.] sia adempiuta e massime di far la scola nella stanza a tal fine asegnata”. Dove fosse tale stanza non è chiaro, ma la testimonianza è rilevante. Lo stesso don Girodetto “s’obliga a quel avanzo di tempo che sarà compatibile con la scola ordinando altresì a tutti [i colleghi cappellani] niuno ecituato di dovere mantenerli con habiti decenti e di non comparire in piazza con crovatte e senza colari di modo [che] molte volte non si distinguono ne reconoscano per sacerdoti”. Curioso il riferimento al guardaroba e all’abbigliamento dei preti di San Giovanni d’Andorno, una questione che si avrà modo di ritrovare più oltre. Il maestro, come tutti gli altri cappellani, non doveva smettere i panni sacerdotali, quanto meno in pubblico. Forse in classe poteva indossare vesti più laiche, ma “in piazza”, ossia in pubblico, doveva essere riconoscibile come prete.

Il 25 marzo 1724 a don Girodetto subentrò don Giovanni Vella, sacerdote e avvocato che si assunse l’onere della scuola.

Esattamente due anni dopo, gli amministratori del santuario si lamentavano delle continue assenze di don Vella. Anche don Cucco e don Maciotta erano spesso assenti e non presenziavano adeguatamente alle funzioni, ma don Vella aveva anche l’incombenza della scuola. Il cappellano non aveva “prestata la dovuta assistenza non solo alla chiesa, stante la continua absenza, ma principalmente per la scola, di modo [che] restano i particolari male sodisfatti per tal mancanza, et la mente del benefatore transcurata”, tanto che si doveva correre ai ripari. Così si procedette a un richiamo ufficiale. Don Vella doveva “con la residenza atender alla scola due hore alla matina, et due alla sera, et di più quando ocorere si et come venirano li scolari”. La scuola era un servizio per gli alunni, non un vezzo del maestro, anzi bisognava assecondare la frequenza scolastica il più possibile considerando anche le oggettive difficoltà di molti nel raggiungere il santuario.

Il 30 marzo 1732 fu la volta di don Giovanni Maria Mazzucchetti. O, meglio, della possibilità offerta a don Mazzucchetti, il quale era in servizio al santuario, ma chiedeva licenza per allontanarsi. Gli amministratori concordarono nel concedergli quanto richiesto, anche perché il comportamento del sacerdote non era stato esemplare, ma gli fecero presente che avrebbe dovuto riprendere detto servizio e gli sarebbe corso l’obbligo “massime con fa la scola al luogo destinato, con asistenza di due hore alla matina, et due hore alla sera, e questo frà doi mesi prossimi, altrimenti habbi suo effetto il presente ordinato”, ossia sarebbe stato licenziato a tutti gli effetti.

L’11 maggio dello stesso anno, don Mazzucchetti e don Giovanni Rebuffa, un altro cappellano, furono ancora una volta ripresi per la questione della residenza stabile in santuario (probabilmente i cappellani tendevano ad allontanarsi con frequenza perché le condizioni di vita non dovevano essere comodissime) e fu loro rammentato l’obbligo della scuola, “con tutta diligenza, et carità, et atenzione verso li figlioli”, sempre per due ore al mattino e due alla sera, nella stanza a tal fine assegnata. Ovviamente in ottemperanza di quanto disposto dal benefattore Accati. Quando non erano impegnati a insegnare, i due cappellani (questa è la novità: non uno ma due maestri che potevano alternarsi) dovevano dedicarsi alle confessioni e agli altri uffici religiosi previsti, e sempre “mantenersi con habiti decenti secondo gli ordini de superiori, et di non camparir in chiesa ne meno in piazza con cravate con fasoletti al colo senza colare, ne con beretoni et veste da camera”. I cappellani, evidentemente, erano inclini a perdere facilmente il decoro cui erano tenuti, abbigliandosi come meglio credevano e potevano rispetto al luogo in cui si trovavano a vivere.

Una curiosità: nello stesso ordinato si fa menzione della “libraria” (cioè la biblioteca) del santuario e si cita un terzo cappellano, il più anziano, don Giovanni Maciotta, quale “contabile”, ovvero responsabile della chiave della stanza e dell’inventario della biblioteca stessa (che sarà nuovamente programmato nel giugno del 1733). I libri necessitavano di una “stagiera” che doveva essere prontamente realizzata. E se qualcuno dei residenti nel santuario avesse voluto uno dei volumi, “non gli sarà negato”, e se la lettura fosse avvenuta fuori dalla biblioteca, vigeva l’obbligo di annotare il prestito su un apposito foglio di carta “che sarà parechiato sul tavolino”.

Stranamente, per quanto fosse già attiva, nel regolamento del 1734 non è richiamata la scuola tra gli obblighi dei religiosi residenti a San Giovanni d’Andorno

L’11 dicembre 1735, morto don Maciotta e sostituito da don Bosazza quale cappellano decano, si scalava verso l’alto e si liberava un posto al fondo della gerarchia. Posto che fu occupato da don Paolo Cucco, che sarebbe entrato in servizio il 24 dicembre prossimo venturo. Don Cucco si era presentato agli amministratori con una dote di cento lire da impiegarsi per dotare di un quadro l’altare della Madonna nella chiesa del santuario. Tale donazione, unitamente ai suoi meriti (nell’ordinato si premurarono di segnalare che la nomina non era stata solo “comprata”), lo aveva fatto preferire ai molti altri pretendenti. Don Cucco diventava quindi il religioso confessore e, essendo l’ultimo arrivato, anche il maestro di scuola.

Ancora nel 1754, e più precisamente l’8 settembre, una nuova nomina. Don Pietro Antonio Boggio di Quittengo avrebbe assunto il ruolo di maestro e avrebbe fatto scuola per due ore ogni mattina in autunno, inverno e primavera, mentre per l’estate erano previste anche le due ore pomeridiane. Il tutto secondo il testamento Accati.

Dopo quella data, nella seconda metà del XVIII secolo, la scuola “scompare” dalle carte. Ecco perché, nel 1790, si innescò la lamentela degli eredi del suddetto Accati.

In quel contesto, gli oratori delle borgate, come era già avvenuto in precedenza si rivelarono fondamentali per dare una parvenza di continuità all’attività didattica nella valle. Nel capoluogo la scuola non funzionava da tempo e quella di San Giovanni d’Andorno si era interrotta: ecco che ognuno, se e quando poteva, cercava di fare da sé, come nel caso di Forgnengo nel 1775 (vedi il testamento di Giuseppe Allara del 30 aprile 1775 nel quale dispose di lasciare mille lire con la cui rendita si doveva impiegare per lo stipendio del cappellano dell'Oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano di Forgneno affinchè "faccia la scuola a favore di detto Cantone di Forgnengo, ed anche a quelli delli altri cantoni di questa comunità. che vi vorranno concorrere tanto di maschi, che di femine, intendendo, che detta scuola con detto provento segua dal principio dell'anno, e sino a quel tempo, e mesi, che loro riuscirà di convenire col maestro, il quale, non essendo il capellano ordinario, cioè in caso, che questo non volesse accettare il detto pese di scuola portà venire dalli ministri e coll'intervento delli capi di famiglia della casa Allara nominato un maestro per detta scuola nella persona di quel soggetto tanto [religioso] che secolare...". Seguono altre disposizioni particolari circa la figura e l'incarico del maestro che, in ogni caso, avrebbe dovuto assicurare l'insegnamento della "Dottrina Cristiana", ossia il catechismo).

Gli eredi Accati, ovvero i suoi nipoti o pronipoti, si appellarono al Re di Sardegna affinché il legato testamentario del loro generoso avo fosse nuovamente e definitivamente reso esecutivo. Probabilmente erano molti anni che la scuola era stata abbandonata e questo, di fatto, invalidava le disposizioni testamentarie.

Nel 1790 gli eredi Accati “impugnarono” il testamento e supplicarono di “spostare” il legato dal santuario San Giovanni d’Andorno, definito “alpestre e disastroso”, all’oratorio di San Paolo Cervo. Il 24 settembre 1790 da Moncalieri il Re di Sardegna, Vittorio Amedeo III, rispose alla supplica. Non poté accontentare gli eredi, cioè non acconsentì a trasferire il legato all’Oratorio di San Paolo Cervo, per quanto previsto nel testamento, perché l’apertura delle scuole in quell’area non era praticabile. Però propose di aprirle a Campiglia Cervo, nella casa comunale, essendo la località principale dell’alta valle. Per pagare il maestro con uno stipendio annuo di 250 lire, la regia patente stabiliva di ridurre il numero delle messe disposte per testamento presso la chiesa del santuario da una al giorno a cento l’anno (previo assenso del vescovo di Vercelli).

Non trascorsero che pochi mesi e i valligiani, guidati dal parroco di Campiglia Cervo e rettore del santuario di San Giovanni d’Andorno, e forti dell’appoggio del vescovo di Biella, mons. Viancini, e dell’intendente della Provincia di Biella, Rubatti, proposero invece di (ri)collocare al santuario le scuole (motivando la scelta con ragioni di tipo logistico e amministrativo) con un’articolata sottoscrizione. In una lettera di supplica, datata 12 febbraio 1791, è compreso un preciso regolamento di gestione e si specifica che la scuola nel santuario “si debba aprire per modo di esperimento”.

La scuola sarebbe stata sistemata “nelle camere dette della scuola, dove verrà pure assegnato un discreto alloggio agli scuolari mediante una tenue ricognizione”.

Considerando che le 250 lire non sarebbero state sufficienti, che la scuola nella casa comunale di Campiglia Cervo non avrebbe accolto tutti gli scolari visto che sarebbero stati tantissimi, che non sarebbe stato facile nominare un maestro per un impegno così gravoso, allora le quattro comunità dell’alta valle (Campiglia Cervo, Quittengo, Piedicavallo e San Paolo Cervo) e l’Amministrazione di San Giovanni d’Andorno si unirono e proposero di aprire la scuola a San Giovanni d’Andorno, come da testamento, con tanto di possibilità di alloggio non solo per il maestro, ma anche per i ragazzini, dietro tenue compenso per il vitto. I valligiani si impegnarono ad aggiungere altre cento lire all’anno (denaro che era destinato al predicatore quaresimale, del quale, forse, si poteva fare a meno…) in modo che ci fosse anche un aiutante sostituto, nel caso il maestro titolare non fosse presente. Il maestro sarebbe stato nominato dai sindaci delle quattro comunità e dagli amministratori del santuario e lui avrebbe scelto il suo aiutante sostituto.

Nel “tipo planimetrico” (cabreo dei beni del Santuario di San Giovanni d’Andorno) elaborato da Vittorio Mosca nel 1792 (conservato nella rettoria del santuario) l’ala Parella è indicata effettivamente come “Palazzo detto della Scuola”.

Sicuramente il tentativo riuscì e, il 22 luglio 1794, il medesimo Vittorio Amedeo III dalla Vigna Reale di Torino, riconobbe alle scuole di San Giovanni Battista d’Andorno la dignità che meritavano: con suo biglietto diretto all’Intendenza di Biella le stabilì lassù in modo definitivo e le dotò delle prerogative giuridico-economiche che ne garantissero il mantenimento.

Le scuole sarebbero state collocate “nel fabbricato del Santuario predetto di S. Giò. Battista, ed in quelle stesse camere, che già erano prima ad un tal uso destinate”. La scuola sarebbe stata gratuita per i poveri e per i discendenti dell’Accati, così come l’alloggio nel collegio-convitto. Chi era in condizioni economiche per farlo avrebbe pagato 15 soldi l’anno per il vitto.

Quest’ultimo documento d’Ancien Régime portò una novità economica rispetto a quello del 1791. I due maestri avrebbero percepito, oltre alle 350 di cui sopra, anche dello stipendio da sacerdoti collegiali in servizio al santuario. Con 24 soldi al giorno avrebbero raggiunto la considerevole cifra di 700 lire per il titolare e circa 530 per il sostituto.

Al gesto di Giovanni Battista Accati, al quale fu poi dedicata una galleria all’interno del complesso santuariale (quella sopra la rettoria che conduce alla biblioteca), erano seguite altre cospicue donazioni che incrementarono il capitale messo a frutto presso il Monte di San Giovanni Battista di Torino.

A quanto pare, però, l’idea del collegio-convitto annunciata nel 1794 non aveva avuto seguito concreto o, forse, se attuata si era spenta nel giro di poco. In effetti, nel 1827, l’Amministrazione del santuario e della scuola segnalava la necessità di istituire il collegio-convitto. Quindici anni dopo “l’architetto Giovanni Battista Rosazza presentava pure nel 1842 un progetto per ampliamento e riattazione del collegio convitto che non si è potuto tradurre in atto, ma che per le mutate circostanze e per il bisogno che si ha di provvedere l’istituto di quanto può avere interesse cogli studi, colla disciplina scolastica e coll’igiene si spera veder quanto prima ultimato sui disegni del giovane professore Marrone” (da “L’Eco dell’Industria – Gazzetta Biellese” del 13 maggio 1877). Il geometra Marrone era uno dei docenti delle Scuole Tecniche di Campiglia Cervo. L’intervento riguardava, ovviamente, l’ala Parella. Secondo Remo Valz Blin, il collegio-convitto entrò in funzione solo nel 1870 (Regio Decreto 27 novembre 1870 relativo allo statuto organico dell’ente). Sicuramente le traversie amministrative di San Giovanni d’Andorno del XIX secolo non avevano aiutato ad accelerare le pratiche.

Dal punto di vista didattico, inizialmente si trattava di due classi, in modo che gli alunni imparassero a “leggere, scrivere e conteggiare”. Non molto di più. La terza e la quarta classe furono aggiunte nel 1873. Tre anni prima era stato istituito il collegio-convitto, anche se il servizio, in realtà, era nato già ai tempi dell’attivazione della scuola, nel 1791.

L’Ottocento segnò il consolidamento dell’istituto scolastico. I controversi mutamenti legati alla rappresentatività delle autorità civili e religiose della vallata nella gestione del santuario della prima metà del secolo e la successiva laicizzazione dell’amministrazione di San Giovanni d’Andorno non crearono problemi alla scuola, che rimaneva, però, elementare ed esclusivamente maschile.

Dal 1° ottobre 1873 vennero aggiunte la classe 3° e 4°. Gli insegnanti erano maestri o preti assunti dall’Amministrazione provenienti da diverse località ed alloggiati presso la rettoria, veniva pure corrisposto un fondo pensione; i comuni contribuivano con un sussidio di cento lire cadauno. Alle scuole furono conferiti numerosi premi e riconoscimenti per la qualità dei programmi e dei lavori svolti.

Il 1° settembre 1875 si tenne a San Giovanni d’Andorno la tradizionale festa con la distribuzione dei premi per gli alunni meritevoli di tutte le scuole della vallata. La cronaca della giornata, firmata da Pietro Bullio, fu pubblicata su “L’Eco dell’Industria – Gazzetta Biellese” del 12 settembre. Ecco alcuni passaggi interessanti di quel pezzo. “Lo sviluppo dell’istruzione primaria va sempreppiù progredendo nella Valle d’Andorno, ed in maniera tale da emularne le più cospicue città. Domenica scorsa aveva luogo con solennità, nell’Ospizio di S. Giovanni, la festa della distribuzione dei premi agli alunni più meritevoli e più distinti. L'incremento dato a quest’istituto coll’aggiunta delle classi superiori elementari, la cui direzione fu affidata ad un valente insegnante, fa sperare che queste scuole, già floride in un tempo, ripiglieranno maggior lena dietro i savi provvedimenti introdottivi per mezzo dell’egregia Amministrazione dell’Ospizio […]. Il Presidente dell’Ospizio, sig. Guelpa, Sindaco di Quittengo, diede principio alla festa leggendo un ben elaborato discorso, dal quale fece risaltare in special modo il bene di una sacra e buona educazione, combattendo con maestria la ignoranza, sola fonte del pregiudizio, della superstizione e del fanatismo. Sotto la direzione del distinto insegnante signor Camìa Lorenzo si fecero poscia dagli alunni alcuni esercizii di evoluzioni militari, principii di ginnastica e di scherma. Anche qui gli spettatori ebbero campo di ammirare ciò che possono riescire i teneri fanciulli quando sono affidati alle cure di abile insegnante qual è il signor Camìa, e sotto la savia direzione dell’Amministrazione dell’Ospizio quale è l’attuale, la quale niente trascura onde pareggiare il Collegio-Convitto ai più accreditati Collegi in quanto concerne l’istruzione elementare. Ben forbito e ben elaborato fu il discorso del signor Camìa, il quale indirizzandosi più specialmente agli alunni, quali figli del popolo loro fece conoscere diversi dei nostri illustri antenati e contemporanei, i quali dal grembo del nulla e della miseria seppero raggiungere il più alto grado della scienza ed accumulare immense ricchezze. Li additò loro come modelli ed esemplari da imitarsi dai figli operai che aspirano a viemmeglio ingrandire e perfezionare il loro ingegno. Disse non potervi essere fanciullo cui manchi l’ingegno da non poter aspirare alla meta prefissa, poiché, secondo un antico adagio: volere è potere”. Lorenzo Camia aprì, l’anno seguente, un suo collegio-convitto a Campiglia Cervo che durò per qualche anno… Forse i rapporti con gli amministratori di San Giovanni d’Andorno non si erano poi mantenuti così buoni.

Tra il 1876 e il 1910 l’ala Parella, cioè questa, è stata ingrandita e sistemata. Questo salone, che era destinato all’alloggio degli insegnanti, non esisteva fino alla fine dell’Ottocento, quando fu costruita la parte più esterna ed ardita del fabbricato, dal quale è poi partita la “linea” della palestra (iniziata nell’Ottocento e completata tra il 1923 e il 1934).

Nel 1877, grazie ad una donazione di 300.000 lire disposta da Eugenio fu Antonio Mazzuchetti di San Paolo Cervo, su progetto e direzione dell’ing. Alessandro Mazzuchetti, furono affidati all’Impresa Gilardi Celestino e Giovanni di Forgnengo i lavori di completamento verso nord dando alla struttura il prospetto attuale. Va evidenziato che con lo stesso progetto furono allestite nel seminterrato le cucine nuove con i mobili costruiti dalla falegnameria Fratelli Golzio di Andorno e fu affidato alla ditta Zanna Bartolomeo di Torino la realizzazione dell’impianto di riscaldamento di cui si conservano ancora le caldaie, un pezzo di storia della termodinamica (in archivio sono conservati gli elaborati di progetto) all’avanguardia per quei tempi.

Dal 1911 al 1916 durante il periodo estivo vennero ospitati i ragazzi del Collegio Convitto “Cristoforo Colombo” di Genova e nel 1920 il direttore Don Antonio Miniggio con una allettante lettera alle famiglie e alle scuole biellesi di ogni ordine e grado proponeva una accoglienza villeggiatura – studio per il periodo estivo.

Nel 1923 Roberto Martinazzi di Quittengo destinava un lascito di 150.000 lire per la costruzione di una palestra sotto il piazzale al servizio delle scuole. Il progetto fu affidato allo studio Quinto Grupallo di Biella ed i lavori furono appaltati all’Impresa Salvatore Prario di Montesinaro, sotto la direzione lavori dell’ing. Mario Accati di San Paolo Cervo, furono completati ne 1934 e collaudati il 16 dicembre 1935 dall’ing. Amilcare Cucco, è un’opera strutturale ed architettonica di assoluto pregio che deve trovare un suo impiego per la quale si sta pensando ad un concorso di idee.

Una testimonianza interessante circa la situazione delle scuole di San Giovanni d’Andorno. Un ignoto cronista pubblicò sul “Corriere Biellese – Organo della Valle d’Andorno” (stampato a Piedicavallo) del 28 febbraio 1880 quanto segue: “Dopo l’ultima mia escursione fatta a S. Giovanni, trovai che quel Collegio-Convitto progredisce a meraviglia. Quelli che davvero amano l’istruzione ed augurano a questo antichissimo Istituto, ora riformato secondo le esigenze dei tempi, un prospero avvenire, possono rallegrarsi dei felici risultati che si cominciarono ad avere. Il numero degli alunni oltrepassa la cinquantina, per cui si dovette, aumentare il personale insegnante. Vi regnano lodevolmente l’ordine e la disciplina e l’Istituto diviene in breve modello nel suo genere, perché, mentre non si trascurano i mezzi pedagogici suggeriti dal progresso e dall’esperienza, non si dimentica per foga d’ innovare l’essenziale, la vera ed accurata educazione del cuore. Quindi gli allievi corrispondono abbastanza alle cure dei maestri, ed un profitto reale e sentito è premio agli uni ed agli altri. Il confronto fra gli Istituti in cui esiste una regionale divisione di classi col rispettivo insegnante, e certi altri in cui un solo avido e disonesto mestierante si arroga di abbracciare quattro o cinque classi in un miscuglio indigesto, e si finisce per dare un’istruzione incompleta e mancare alla debita sorveglianza; quindi il profitto che si consegue nei primi, l’insuccesso e il danno recato alla crescente generazione negli altri, giustificano l’operato dell’Amministrazione ed i sacrifizi fatti, gli sforzi e l’abnegazione della Direzione e del personale addetto al Collegio, e le cure intelligenti del benemerito sovraintendente di quelle scuole che è il signor Giovanni M. Prario”.

Nel 1889 fu ottenuto il pareggiamento con le scuole pubbliche del Regno d’Italia anche se il profilo amministrativo restava di carattere privato (in quell’anno fu redatto un regolamento per la scuola e il collegio-convitto). Tra il 1914 e il 1915 si richiesero a questo proposito i pareri legali degli avvocati Dante Barbisio di Biella ed Emilio Bonaudi di Torino in merito al migliore ordinamento da scegliersi per la scuola. Al personale docente di estrazione religiosa andavano affiancandosi maestri laici, ma nomi ben noti di sacerdoti dell’epoca si scoprono fra quelli degli insegnanti della scuola di San Giovanni d’Andorno. Ad esempio, don Agostino Mersi, il poeta, si trovava quassù durante la Grande Guerra.

Alle cinque classi ordinarie (la quinta divenne obbligatoria con la legge Orlando del 1904) fu aggiunta la “sesta” nel 1906. Poco prima si era chiuso un vibrante contenzioso tra gli amministratori del santuario e il direttore-maestro don Giacomo De Bernardi, conclusosi (tramite decreto ministeriale) con la reintegrazione parziale a ruolo del sacerdote precedentemente licenziato.

Le scuole di San Giovanni rischiavano, in base alla legge Daneo-Credaro del 4 giugno 1911, di essere dichiarate private e non a sgravio. Non più gestite in regime pubblico dai cinque comuni dell'alta valle (nel 1907 si era aggiunta Rosazza), le sei classi elementari maschili avrebbero perso i sussidi e gli insegnati non avrebbero potuto entrare nel novero degli iscritti al Monte Pensioni (i maestri erano don Ottavio Viola, don Agostino Mersi e don Antonio Miniggio direttore). Il ricorso promosso dal vicepresidente cav. Ettore Achille Boffa portò alla sottoscrizione di una convenzione (22 aprile 1921) col Regio Ufficio Scolastico Provinciale di Novara nella quale le scuole furono parificate, furono previsti i sussidi di legge, furono mantenute le quote parte a carico dei comuni interessati che però furono esclusi dalla gestione dell'istituto. Riferimenti all'avv. prof. Emilio Bonaudi, docente di Diritto Amministrativo alla Regia Università di Torino e, in quel frangente, consulente legale del santuario, che pubblicò un "Parere" (opuscolo allegato) sull'ordinamento delle scuole di San Giovanni in relazione alla seduta consigliare del 24 ottobre 1915

Nel 1919, il percorso didattico precorribile dagli alunni di San Giovanni (molti dei quali forestieri e quindi convittori nonché ospiti del collegio) si estese ad un corso tecnico che divenne triennale a partire dal 1923.

Secondo il Botto Steglia, che scriveva nel 1955, “fu questo il periodo di maggior splendore delle Scuole di S. Giovanni; periodo ancor vivo e nostalgico nel ricordo di tanti, nel quale oltre un centinaio di allievi ricevevano quassù una accurata formazione professionale sotto la guida di esperti educatori e maestri, primo fra tutti il can. Antonio Miniggio, di venerata memoria, per oltre 43 anni Rettore dell’Ospizio e Direttore delle Scuole di San Giovanni”.

La scuola tecnica (inferiore) serviva per collegare le sei classi elementari alle “superiori”, che in valle voleva dire Scuole Tecniche di Campiglia Cervo o Rosazza. La scuola tecnica di San Giovanni d’Andorno era una specie di scuola media o di scuola di avviamento professionale che portavano i ragazzini dagli 11 ai 14 anni, età che poi permetteva di entrare alle tecniche vere e proprie.

L’apertura della scuola tecnica indurrebbe a pensare che la scuola di San Giovanni stesse in quel momento per affrontare un nuovo periodo di prosperità didattica. Al contrario invece, sebbene non siano mancati gli sforzi economici e le offerte formative (la grande palestra ricavata sotto il piazzale realizzata ne è un esempio), la scuola del santuario si stava avviando verso la sua fine. Dapprima cessarono i corsi tecnici, quelli di più recente istituzione, infine anche le elementari chiusero i battenti. Nel giugno del 1935 le lezioni ebbero termine, anche se qualche ragazzino restò ospite del collegio pur andando a scuola altrove (nel 1934 ci fu anche un’epidemia di difterite a complicare le cose).

Il destino dei locali del collegio convitto fu quindi, in seguito, quello di ospitare ancora bambini, ma solo come colonia durante la stagione estiva. fu frequentato dal 1936 al 1940 dalla Colonia Alpina Vercellese settore femminile con il nome “Colonia Giovani Fasciste”. Dal 1953 al 1974 fu affittato alla Colonia Montana ENAL – ATM di Torino che alternava ragazzi per tutto il periodo estivo (4 – 5 turni da 100 ragazzi circa). Dal 1975 al 1986 il fabbricato venne messo a disposizione per il centro estivo delle scuole paritarie Santo Natale di Torino e dal 1986 al 2018 fu adibito a centro estivo della parrocchia San Lorenzo di Andorno Micca.

Quella del Santuario di San Giovanni Battista d’Andorno rimane un’esperienza scolastica indubbiamente speciale in un contesto “difficile” come quello, montano, dell’Alta Valle del Cervo. Di certo non si tratta di un caso isolato (si può accomunare per longevità, durata e modalità di attuazione alle realtà di Graglia e della Brughiera di Bulliana), ma per l’estensione territoriale e per l’omogeneità umana e sociale del bacino d’utenza si deve indicare come uno dei fulcri della formazione e del mantenimento di quella mentalità tecnica e di quella cultura peculiare che sono state alla base del successo imprenditoriale di diverse generazioni di valìt che hanno imparato a leggere, a scrivere e a far di conto sui banchi della scuola di San Giovanni d’Andorno.

La scuola elementare di San Giovanni d’Andorno chiuse i battenti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Durante il conflitto era ancora attiva e i documenti d’archivio raccontano di miglioramento del “rancio” per i pochi ospiti rimasti. Nel periodo 1969-1973 si tentò di riattivare una classe elementare sussidiata per i residenti del santuario e della zona, ma tale esperienza, ammesso che sia stata concretizzata, ebbe vita breve.

 

L’edificio denominato “ala Parella” rappresenta quindi un importante percorso storico – culturale e turistico del Santuario ma soprattutto un notevole pezzo di storia e filantropia dell’Alta Valle.

Preme all’Amministrazione recuperare la struttura ed a tal fine è stata fatta un’indagine proponendola sul sito “Case per vacanze in autogestione” dove sono arrivate numerose richieste (più di 50) da gruppi scout, associazioni culturali, centri estivi da tutto il Piemonte ed anche da altre zone.

Tale interesse ha convinto l’Amministrazione a predisporre un progetto preliminare in modo da poter accedere a fondi pubblici o bandi di fondazioni bancarie.

Nell’attesa di poter vedere assegnati dei contributi per realizzare gli interventi previsti, considerata la fatiscenza dei serramenti, viene lanciata l’iniziativa denominata “DONA UNA FINESTRA”.

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