Giovanni Antonio Cucchi: il pittore di Gliondini che affrescò i più bei palazzi lombardi. Al Museo del Territorio Biellese le tele dell'Oratorio di San Mauro - Jondini

Tipologia Documento
Data cronica
2015-2016
Giovanni Antonio Cucchi: il pittore di Gliondini che affrescò i più bei palazzi lombardi. Al Museo del Territorio Biellese le tele dell'Oratorio di San Mauro - Jondini
Giovanni Antonio Cucchi: il pittore di Gliondini che affrescò i più bei palazzi lombardi. Al Museo del Territorio Biellese le tele dell'Oratorio di San Mauro - Jondini

Contenuto

di Anna Bosazza
Comunità Parrocchiale dei Ss. Bernardo e Giuseppe, Bollettino parrocchiale di Campiglia Cervo, 2015-2016


Correva il 1990 quando alcuni frazionisti decisero di rendere onore al più illustre degli abitanti di Gliondini, Giovanni Antonio Cucchi, che il 17 ottobre del 1690 lì nasceva dall’omonimo Giovanni Antonio e da Maria Savoia.
La frazione festeggiò il trecentenario della nascita con iniziative volte alla valorizzazione del pittore e delle sue opere. La storica dell’arte Rossana Bossaglia, una delle maggiori conoscitrici dell’artista, tenne una conferenza al Circolo Sociale di Biella e grazie al contributo del DocBi-Centro Studi Biellesi, della Cassa di Risparmio di Biella e della Banca Sella la notevole pala d’altare raffigurante la Madonna con San Mauro e San Giovanni Battista venne restaurata e con essa, grazie al concorso di privati, anche le altre tele custodite nella piccola chiesa, che sorge nella piazzetta omonima. Fu la restauratrice Viviana Cavallo ad occuparsi dei lavori necessari per riportare i quadri all’originaria bellezza.
Da allora però, per motivi di sicurezza, i frazionisti, in accordo con Don Pierino Romano prima e con Don Paolo Santacaterina poi, hanno rinunciato ad ammirare i quadri scegliendo di depositarli in banca. La dolorosa scelta fu dettata dalla consapevolezza del loro valore. Grazie però alla disponibilità e alla buona volontà di alcuni di loro per un certo tempo le tele erano esposte in estate e ricoverate soltanto nella stagione invernale, quando la frazione è pressoché disabitata. Questa soluzione però, oltre ad essere gravosa, comportava anche notevoli rischi per il trasporto delle opere e per le troppo frequenti variazioni delle condizioni di conservazione e così la comunità locale negli ultimi vent’anni ha rinunciato ad ammirarle, lasciandole permanentemente presso il caveau della Banca Sella.
Nel frattempo nuovi abitanti fortunatamente sono arrivati a Gliondini e coloro che all’epoca della decisione erano poco più che ragazzini sono divenuti adulti e nessuna o poche di queste persone avevano mai potuto ammirare le tele di cui vi era solo una testimonianza fotografica realizzata dal compianto ing. Gianfranco Cucco. Durante l’assemblea annuale della frazione in questi ultimi anni si è spesso affrontata la questione, chiedendosi perché tenere nascosti questi quadri visto che si tratta di opere meritevoli.
Per questa ragione è stato interpellato il Museo del Territorio di Biella che ha accolto la richiesta di deposito in comodato avanzata da Don Paolo Santacaterina. Le tele verranno dunque trasferite nella primavera del 2016 e lì conservate ed esposte, se non tutte permanentemente, almeno le due che in modo concorde tutti i critici attribuiscono al pittore Cucchi. Questa decisione, che speriamo possa incontrare il favore di tutta la comunità dell’Alta Valle del Cervo, ci auspichiamo possa spingere molti valligiani al Chiostro di San Sebastiano per ammirare non solo questi quadri, ma anche il sipario del Teatro Regina Margherita di Piedicavallo lì esposto da tempo e il ricco patrimonio, non solo iconografico, custodito nelle sale espositive di via Quintino Sella.
Le opere che verranno trasferite al Museo del Territorio sono in tutto otto. Di Giovanni Antonio Cucchi sono secondo la gran parte dei critici l’Apoteosi di San Giuseppe e Rebecca al pozzo; seguono poi un San Mauro a lui attribuito da Lebole e un ovato con Gesù Bambino attribuitogli dalla Manuello Pugno. Vengono anche trasferiti un ritratto della Vergine, un San Giovannino, e due ritratti di Sant’Antonio con Gesù Bambino tutti di autore ignoto. Resta nell’Oratorio la pala d’altare, ma in previsione dei futuri lavori di rifacimento del tetto sarà necessario valutare se spostarla temporaneamente in luogo più idoneo e sicuro.
Come illustra esaustivamente Lebole, pur avendo origini antecedenti, il primo riferimento all’Oratorio di Gliondini è contenuto nella Visita Pastorale del 1733. Nel 1734 al Cucchi fu commissionata la tela dello Sposalizio mistico di Santa Caterina per la chiesa del Santuario di San Giovanni d’Andorno. In quegli stessi anni probabilmente eseguì anche la pala di San Mauro che nel 1750 venne dotata della larga cornice tuttora presente. Non sono stati rintracciati riferimenti agli altri quadri collocati nell’Oratorio. Sicuramente però nel 1882 l’Apoteosi di San Giuseppe e la Rebecca al pozzo fecero parte della sezione “Arte antica” all’Esposizione generale dei prodotti del circondario di Biella, come risulta dal catalogo pubblicato da Amosso e dall’etichetta applicata sul retro delle piccole tele. Più precisamente sul volumetto si può leggere che i due “abbozzi dell’Antonio Cucchi degli Ondini (Campiglia, Valle di Andorno)” erano stati presentati dal comm. Federico Rosazza. Forse questi due quadri erano di proprietà del Senatore che poi li donò all’Oratorio o forse lui si era reso garante e aveva presentato le opere pur non essendo sue. Nell’archivio parrocchiale purtroppo non sono state reperite informazioni a riguardo e quindi non resta per ora che formulare le due ipotesi.
Del Cucchi il catalogo dell’Esposizione dà anche sommarie informazioni: “insegnò la pittura nell’Ambrosiana di Milano nella prima metà del secolo scorso” ed è questa la notizia che di lui quasi tutti gli storici sempre riportarono. D’altro canto il suo ritratto è lì conservato con quello degli altri accademici a dimostrazione del fatto che dell’Accademia fece parte.
Secondo alcuni storici e studiosi locali, egli però non fu solo pittore, ma anche architetto (Remo Valz Blin, Lebole).  Di questa opinione anche Lorenzo Feraud che nel suo “Da Biella a S. Francisco di California ossia storia di tre valligiani andornini in America preceduta da una guida della Valle superiore d’Andorno” pubblicato da Paravia nel 1882 oltre a fornire una divertente descrizione della borgata e dei suoi abitanti (1) scrive: “Gliondini diede i natali al Cucchi il quale passò quasi tutta la sua vita a Milano. Era di animo dolce e pio; lo splendore della capitale lombarda non gli fece dimenticare il suo caro e povero villaggio dove egli fece su di una rupe sporgente, vicino ad un precipizio, costrurre un oratorio alla Vergine Immacolata. Si dice che questo venisse poi ornato di un suo quadro maestrevolmente dipinto; però quello che ora c’è non è quel desso. Chissà che fine avrà fatto! Una lapide in marmo posta sopra la finestra che lascia scorgere l'interno dell'oratorio così dice: ANTONIO CUCCHI PITTORE VALENTE INSEGNAVA l'ARTE SUA NELL'AMBROSIANA DI MILANO EDIFICAVA QUEST’ORATORIO NEL MDCCXXXV”. La lapide c’è ancora, ma non la certezza che il Cucchi sia stato anche architetto, per lo meno secondo il Caprara che di lui scrive sul Dizionario biografico degli italiani:  “Non esiste prova, come sostengono alcuni studiosi piemontesi, di una attività del Cucchi come progettista di architettura. Il "Sig. Cucho" che presenta nel 1742 un disegno per il rinnovamento del santuario di S. Giovanni di Andorno molto più probabilmente è un parente”. 
Quella che è certa è la sua attività di pittore, ma anche in questo caso per lungo tempo a livello locale gli venne solo riconosciuta la produzione sacra biellese e valsesiana. Fu invece in Lombardia che svolse la più parte della sua attività, soprattutto come frescante.  Studi degli anni Novanta gli hanno poi riconosciuto altre attività in ambito piemontese e più precisamente ad Alessandria. Tutti gli storici dell’arte oggi concordano nell’attribuirgli notevoli doti artistiche anche se non una geniale inventiva personale. Secondo Rossana Bossaglia “ai tempi suoi gli arrise una spropositata fortuna” a lungo compensata in seguito da un ingiustificato oblio. Dai suoi contemporanei era infatti molto apprezzato (Latuada nella Descrizione di Milano del 1751 lo definisce “celebre” chiamandolo Gianantonio Cucco, nome con cui era anche conosciuto e che spesso contribuì a creare confusioni) e tenuto in gran conto soprattutto per i soggetti mitologici e le figure allegoriche con cui abbellì moltissimi palazzi lombardi. Il più importante fu forse il palazzo Casati Dugnani a Milano nel quale lavorò con Tiepolo, ma anche altri come villa Alari Visconti a Cernusco sul Naviglio, palazzo nuovo Visconti Citterio di Brignano (Bergamo), palazzo Orsini Falcò a Milano e palazzo Ghilini ad Alessandria (i cui affreschi furono forse realizzati in occasione del matrimonio di Vittorio Amedeo Ghilini con Gabriella Dal Pozzo della Cisterna sul motivo dell’Omnia vincit Amor). Fu la Bossaglia negli anni ’60 ad attribuirgli per via documentaria la produzione lombarda, mentre il riconoscimento della sua mano in palazzo Ghilini ad Alessandria si deve ad Agata Ferraris. Nel Biellese, come detto, gli storici locali (Roccavilla, Torrione e Crovella) conoscevano solo la produzione artistica in campo religioso e cioè la già citata pala d’altare degli Ondini, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina giudicato da molti il suo capolavoro in ambito sacro, la Crocifissione di Campiglia e le decorazioni del coro della Chiesa dell’Assunta di Varallo (L’Angelo custode di Forgnengo richiama il suo stile ma secondo Lebole non è da attribuirsi a lui). Lebole, già consapevole che il Cucchi aveva lasciato la gran parte della sua produzione artistica lontano dalla Bürsch, senza approfondire lo studio nel campo non religioso, gli riconobbe però il merito di essere nel Biellese “con i Galliari la figura più eminente in campo pittorico del sec. XVIII”.
L’archivio parrocchiale di Campiglia racconta di lui non molto, proprio per la sua scarsa presenza sul territorio dal quale se ne andò giovanissimo seguendo parenti che operavano in campo edile. Nel 1741 lo stato delle anime lo dichiara cinquantenne, sposato con la quarantunenne Lucia e abitante in Milano. Fu l’affresco profano come detto quello che il Cucchi trovò più congeniale a sé, secondo i critici, e, pur risentendo la sua produzione degli influssi dei pittori della sua epoca (in particolare il Legnanino) e risultando talvolta ripetitivo nei soggetti e nelle forme (ad esempio il tipo del guerriero di spalle sempre collocato in primo piano a sinistra, le ali di farfalla dei putti sempre uguali nell’espressione e nell’atto di appoggiarsi allo scudo di Marte, o infine i volti un po’ bamboleggianti come ebbe a definirli la Bossaglia), “seppe elaborare tutto sommato un linguaggio gradevole e serenamente decorativo mediante una buona padronanza del disegno e l’acquisizione di una raffinata armonia cromatica” (Ferraris).
Il nostro gliondinese morì a Milano il 24 settembre del 1741 nel quartiere di San Babila dove si era trasferito. Di lui sono rimaste queste tele e sul mercato delle aste antiquarie vengono talvolta battuti alcuni studi per la realizzazione degli affreschi profani di cui si è parlato. Nella sua casa natale sono state trovate alcune tele probabilmente non sue, forse di suoi allievi o di pittori che lui aveva modo di frequentare nel suo girovagare nel nord Italia mentre andava vendendo la sua arte. Forse anche le altre tele che si trovavano nell’Oratorio furono portate da lui, ma notizie precise non ce ne sono.
La sua fortuna artistica è leggibile, come è ovvio attraverso le sue opere, ma la sua storia d’uomo probabilmente non si potrà mai conoscere fino in fondo dal momento che ad oggi non sono stati reperiti documenti che ci possano raccontare la sua anima, come potrebbero fare per esempio ipotetici carteggi. Possiamo quindi solo immaginarlo bambino in quel di Gliondini mentre, seduto sul muricciolo della piazzetta, fissa il Camp o le Mologne e sogna di poter tenere in mano un pennello invece di uno scalpello come era tradizione. Chissà se ebbe vita dura con suo padre nel convincerlo che anche quell’attività gli avrebbe permesso di campare e mantenere una famiglia? Noi oggi sappiamo che glielo consentì, dato che ebbe addirittura dieci figli e nel 1735 poté concedere un prestito di addirittura 3000 lire all’Ospedale Maggiore di Milano. Lui come tanti altri vallecervini, grazie al proprio ingegno, fuggì la sorte di miseria che gli sarebbe toccata restando in patria e se ne andò all’avventura.
Di lui restano i dipinti in tanti importanti palazzi del nord Italia, le opere di soggetto sacro non solo in Valle Cervo e questi bozzetti finalmente di nuovo esposti grazie alla disponibilità del Museo del Territorio Biellese.
A Gliondini resta e resterà di lui speriamo la memoria, oltre a quella grande e bella pala d’altare che, conducendomi altrove con la mente, mi perdoni dall’aldilà l’anima buona di don Pierino Romano, tante e tante volte mi distrasse dalle prediche durante le messe!

Bibliografia:
Per una esaustiva bibliografia su Giovanni Antonio Cucchi si rimanda alla voce a cura di Vittorio Caprara, DBI, v. 31, 1985. Delle opere successive si segnalano i contributi di Rossana Bossaglia, di Agata Barberis (Bollettino SPABA 1989), Maria Luisa Barberis su La Provincia di Alessandria 1987 e la tesi di laurea di Minù Azizian, Un pittore per il Barocchetto lombardo: Giovanni Antonio Cucchi (1690-1771), Università degli Studi di Milano 1995-1996, che contiene un esauriente catalogo delle opere del pittore.
 
(1) Spassosa la descrizione di bimbi del paese: “Bella è la chiesuola, piccolo il campanile che le sta accanto. I ragazzi passando per la strada di sopra pigliavano a sassate con grande loro gusto la campana compiacendosi ad ogni dan! dan! che faceva. Impensieriti di questo e temendo di vedersela rotta, quei del villaggio fecero murare l’arcata che dava sulla strada con grande dolore dei fanciulli. Il campanile da quella parte porta i segni dei proiettili lanciati dai piccoli monelli”.

Oggetto

Persona

frazione