La Fede attraverso le montagne. San Giovanni Battista tra le valli del Cervo, del Lys e del Sesia [prima parte]

Tipologia Documento
Data cronica
febbraio 2018
La Fede attraverso le montagne. San Giovanni Battista tra le valli del Cervo, del Lys e del Sesia [prima parte]
La Fede attraverso le montagne. San Giovanni Battista tra le valli del Cervo, del Lys e del Sesia [prima parte]

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di Danilo Craveia
La Voce di San Giovanni, Bollettino di San Giovanni, febbraio 2018


Si sa che la Fede muove le montagne. Ma quando non vuole faticare troppo, le attraversa, le percorre, le trasforma in siti di incontro. La Fede si sposta sui passi degli uomini e delle donne che nascono, vivono e muoiono sui monti. La Fede mette radici tra le cime e le vallate e lì, se ha l'opportunità di crescere e di rafforzarsi, si declina nella devozione popolare secondo modi e tempi diversi in ogni luogo. Così è stato per San Giovanni Battista, che da almeno cinque secoli si venera nel santuario che i valìt gli hanno dedicato nella Bürsch. Ma l'affetto per il Precursore di Cristo, come si è detto e scritto più volte, ha valicato i confini della Valle Cervo e si è diffuso fin da quei tempi remoti in altre aree altrettanto montuose.
Non è quindi strano scoprire che alla barma del Santo giungessero pellegrini provenienti da lontano, attraverso le montagne. Quelli su cui si focalizza l'attenzione nelle pagine che seguono, sono i "divoti" valdostani e valsesiani che visitarono il santuario tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento. Più precisamente, facendo riferimento a uno specifico registro delle messe celebrate a San Giovanni d'Andorno, si concentrerà l'analisi sul periodo compreso tra il 9 febbraio 1694 il 28 aprile 1710. Tale disamina quantitativa e qualitativa rivelerà alcuni aspetti curiosi e anche alcune "coincidenze" relative al culto del Battista, svelando una sorta di "continuità geografica" tutta montana che, a uno sguardo superficiale, può facilmente sfuggire.
Il registro di cui sopra tramanda, su un'ottantina di pagine fittamente manoscritte, circa 3.000 messe celebrate nei diciassette anni presi in esame. Si tratta quindi di più o meno 160 celebrazioni all'anno. Le registrazioni riportano la data della messa, il riferimento al devoto che ne aveva disposto la celebrazione e la quota pagata per la funzione (una messa valeva 15 soldi, ovvero 3/4 di lira). Purtroppo le annotazioni non sono sempre esaustive e precise, soprattutto per quanto riguardava l'identità del committente e per il suo domicilio. Così capita spesso di leggere un nome senza la provenienza o viceversa, oppure di imbattersi in semplici e anonimi "forastieri" di cui nessuno scoprirà mai le generalità nè la località di partenza.
Attenzione, però, a interpretare non correttamente le cifre. Il registro restituisce non i pellegrini nella loro totalità, bensì soltanto quelli che fecero celebrare una messa. Difficile dire quale fosse il rapporto tra i fedeli che salivano a San Giovanni d'Andorno senza lasciare traccia e coloro che, invece, hanno permesso che i registri ne attestassero il passaggio. Se le 3.000 messe rappresentassero un verisimile 5% (cioè una persona ogni cinque faceva dire una messa, mentre le altre non ne sentivano la necessità o non se lo potevano permettere o che magari non erano in grado di farlo perché si trattava di bambini) rispetto al transito complessivo, si otterrebbe una cifra considerevole: 60.000 visitatori in diciassette anni, 3.200 all'anno.
Tanti? Pochi? Chi può dirlo, in effetti. L'unico elemento certo è il registro con le sue notazioni, il resto è una pura e semplice speculazione che, se anche fosse di parecchio sbagliata per difetto o per eccesso, non cambierebbe la realtà dei fatti: San Giovanni d'Andorno era un santuario molto frequentato (1). Di sicuro meno al confronto con Oropa, ma anche su questo punto sarebbe curioso sviluppare un raffronto quantitativo sulle messe celebrate nello stesso periodo. Forse i "numeri" non risulteranno così differenti (2).
Con questa premessa è possibile affrontare il tema di questo breve scritto, ovvero la devozione dei valdostani e dei valsesiani per il "nostro" San Giovanni Battista. In termini quantitativi si è rilevato che delle circa 3.000 messe poco meno di 115 (3) furono ordinate da fedeli originari della Valle d'Aosta, mentre quelli arrivati dalla Valsesia furono 35.
E' importante sottolineare che, a livello statistico, sono state sicuramente commesse, oltre alle possibili rilevazioni errate, senz'altro alcune consapevoli omissioni. Infatti alcuni nominativi che sembrano ricorrere fanno riferimento a luoghi d'origine diversi o, più spesso, sono inseriti senza memoria della terra natia. In questi casi, onde evitare di falsare il quadro in ragione di svianti omonimie, è stato ritenuto più opportuno non considerare il dato.
Un altro parametro rilevante riguarda il numero dei "forastieri" tout-court, quelli già prima citati che compaiono senza ulteriori specificazioni. Tra quei visitatori di cui ignoriamo la località di residenza c'erano, senza dubbio, sia valdostani, sia valsesiani. Non si avrà mai riscontro effettivo e l'accento va posto sulle quantità certe.
Se i devoti provenienti dalla Valle d'Aosta sono stati circa 115 (4) e quelli in arrivo dalla Valsesia ammontavano a 35, il totale ammonta a poco meno di 150 unità. Un numero piccolo in valore assoluto, ma al contrario assai rilevante in termini relativi in un contesto come quello di allora. Venire a San Giovanni d'Andorno da lontano non era impossibile, anzi, ma era comunque impegnativo e scomodo perché si trattava pur sempre di ore e ore di marcia, quando non di più giorni di cammino attraverso i monti (basta pensare a chi, come si vedrà a breve, partiva da Champorcher, da Saint-Pierre o da Carcoforo). Per i montanari e i valligiani del versante vallesano come di quello valsesiano non era di certo un problema, tanto più che abitualmente si spostavano in quota anche e soprattutto per affari (quindi la devozione poteva non essere sempre il motivo principale del viaggio), ma le difficoltà logistiche oggettive permanevano. Questo non solo esalta la potenza della Fede e della volontà di portarsi al cospetto del Santo della Valle Cervo per una preghiera che, qui, avrebbe avuto più forza, perchè offerta dopo un vero e proprio pellegrinaggio. Ma evidenzia ancor di più come la diffusione della devotio populi fosse efficace e vibrante su un'area vastissima, malgrado la difficile percorribilità, anche senza i mass e i social media di oggi.


(1) Tanto da giustificare la presenza di una "coronara", una certa Anna Caterina, segnalata come devota lei stessa fin dal 1704. La donna produceva o, più probabilmente, vendeva "corone" ai pellegrini accorrenti. Senza un certo "giro" non si sarebbe installata a San Giovanni d'Andorno.
(2) Lo storico canonico Angelo Stefano Bessone, nel suo volume sulla storia di Oropa pubblicato dal Centro Studi Biellesi (Storia di Oropa dal XIII al XIX secolo, Biella 1970), riporta un dato interessante: nel periodo 1755-1758 visitarono il santuario della Madonna Nera circa 60.000 persone, ovvero tra le 15 e le 20.000 ogni anno. Se il calcolo proposto dal sottoscritto non fosse troppo errato si avrebbe una proporzione di uno a cinque nei confronti di Oropa, il che appare abbastanza ragionevole. Ma, come detto, il computo potrebbe rivelarsi molto approssimativo. In ogni caso anche a Oropa esisteva una cappella dedicata a San Giovanni Battista. Si trovava sul "Prato della Madonna", attorno alla Basilica Antica, e fu demolita con altre sei all'inizio del Seicento per far posto allo sviluppo del chiostro del santuario.
(3) Il dato effettivo è "sporcato" da alcune incertezze dovute a imprecisioni nelle registrazioni.
(4) Sono inclusi nell'elenco anche due Falet (fratelli?) di Aosta e un Perrin di Fontainemore che si presentarono a San Giovanni d'Andorno il 24 giugno del 1711, ossia appena fuori dal range cronologico definito. A questi si potrebbero aggiungere altri venti individui provenienti dall'area compresa tra Borgofranco d'Ivrea e Settimo Vittone, tra Tavagnasco e Quincinetto, tra Carema e Andrate. Vero è che quelle comunità appartengono alla Diocesi di Ivrea e non sono parte della Regione Valle d'Aosta, ma dal punto di vista culturale sono più vicine all'ambito valdostano che a quello canavesano. In ogni caso, per rigore metodologico non sono stati considerati.