Il campanone di Don Emanuel

Tipologia Documento
Data cronica
giugno 2017
Il campanone di Don Emanuel
Il campanone di Don Emanuel

Contenuto

di Danilo Craveia
La Voce di San Giovanni, Bollettino di San Giovanni, giugno 2017


Tra i molti testimoni della storia della Valle Cervo, il campanone di San Giovanni d'Andorno è uno di quelli di cui si hanno meno notizie. Certo è noto che fu rifuso nel 1764 e che questa sua vetustà (attestata dalla iscrizione presente sulla stessa campana (1)) è già di per sé ragguardevole. Ma il fatto che quella del 1764 sia stata una rifusione implica che un altro campanone fosse già lì. L'Archivio Storico del Santuario di San Giovanni d'Andorno non aiuta molto perché non contiene documentazione specifica tanto antica da ragguagliare sull'argomento. Lo stesso don Delmo Lebole nella sua "Storia della Chiesa biellese", che pure menziona il campanile del santuario e la relativa campana, non è stato in grado di proporre informazioni complete per la suddetta scarsità di fonti dirette. L'Archivio Storico della Parrocchia di Campiglia Cervo conserva, invece, alcune carte interessanti in merito. Non c'è da stupirsi: il santuario dedicato al Precursore di Cristo apparteneva alla giurisdizione parrocchiale campigliese fin dalle origini e la gestione amministrativa era tenuta dal parroco di Campiglia Cervo coadiuvato da "priori" eletti annualmente tra i membri della comunità che si occupavano di San Giovanni d'Andorno (così come altri colleghi reggevano alcuni oratori della valle o le confraternite erette nella chiesa parrocchiale, come quella del Suffragio). Per farla breve, in alcuni registri e in alcuni fogli singoli si possono trovare riferimenti a San Giovanni d'Andorno e, ovviamente, anche al suo campanone a partire dal Seicento, ossia più di un secolo prima rispetto alla rifondita del 1764.
Il primo documento, storicamente il più rilevante, data al 7 giugno 1635 nella Valle d'Andorno (come a dire Campiglia Cervo) e reca la firma di Don Emanuel di Savoia. Don Emanuel, figura affascinante e complessa, è un personaggio romanzesco, infatti Gina Lagorio ha romanzato la sua biografia in un bel libro uscito nel 1998 e intitolato "Il bastardo ovvero gli amori, i travagli e le lacrime di don Emanuel di Savoia". Nato ad Annecy nel 1598 da una relazione illecita del duca Carlo Emanuele I con una savoiarda di nome Louise de Duyn, Don Emanuel era fratellastro della fondatrice delle Figlie di Maria di Oropa (2) e dei principi legittimi che perpetuarono la dinastia sabauda nel tumultuoso Seicento. Il Marchesato di Andorno fu creato nel 1621 proprio per Don Emanuel che per primo ne assunse il titolo e lo mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1652. Fu sepolto nella chiesa parrocchiale di Andorno Micca senza onori e senza pompa.
La sua vita, descritta in modo esemplare e profondo dalla Lagorio (il libro è da leggere assolutamente), non fu facile né felice, sempre più isolato dalla corte e dalla gente del suo rango, abbandonato a se stesso in una terra che non lo amava e che lo tollerava a stento. In ogni caso il "bastardo" non mancò di tentare di cattivarsi la simpatia dei suoi sudditi, almeno all'inizio, con gesti come quello riportato nella carta di cui sopra. In buona sostanza il marchese fece una donazione al Santuario di San Giovanni d'Andorno affinché fosse possibile rifondere il campanone. Tanto per cominciare anche nel 1635 si trattava di rifare la campana, cioè ne esisteva già una. Quanto fosse vecchia quella allora presente non è dato a sapersi, ma si può presumere che avesse l'età del campanile (seconda metà del XVI secolo?) su cui era stato collocato anche un orologio. Don Emanuel intendeva partecipare alle spese di modo che il campanone risultasse davvero tale, cioè in "acresimento del Campanone che novamente si rifabrica a detta chiesa col denaro per accomprar rubbi diecij di mettalo".
Non sapendo quanto sarebbe riuscito grande il nuovo campanone non è tuttavia possibile stabilire a quale percentuale corrispondessero i dieci rubbi pagati dal marchese. Il modo in cui il marchese voleva mettere in atto l'acquisto di quei 92 e rotti chilogrammi di metallo è piuttosto complicato. Non era infatti un semplice esborso, ma una parziale compensazione di crediti e di debiti. Alcuni uomini della valle (Eusebio Rosazza, Filippo Moscha, Antonio Iacazzo, Antonio Marochetto, Gualtiero Allara e Pietro Francesco Piato) erano debitori verso un certo Mocha (?), indicato come prevosto di Rivoli. A sua volta il Mocha era in debito verso Don Emanuel per la stessa somma. Ovvero, saltando un passaggio, i "particolari" della Valle Cervo dovevano dei soldi al loro marchese. Quest'ultimo, che non conosceva esattamente l'importo del suo credito, avrebbe tacitato il rivolese per conto dei vallecervini e quel risparmio sarebbe stato utilizzato per l'acquisto del metallo per il campanone. Se la somma non fosse stata sufficiente Don Emanuel avrebbe utilizzato parte di un suo credito personale verso l'Università degli Ebrei (probabilmente di Torino, ma poteva darsi che si riferisse a quella di Biella) per arrivare a comprare i dieci rubbi. Se al contrario la somma risparmiata fosse stata superiore alla bisogna allora il marchese avrebbe avuto diritto alla differenza, ma il denaro sarebbe comunque rimasto nella disponibilità immediata dei destinatari della donazione fino a nuovo ordine.
Non è chiaro se tale iniziativa abbia o meno portato all'immediata rifusione del campanone, ma è certo che la grande campana era in piena attività nel 1652 quando i "ministri" di San Giovanni d'Andorno si lamentarono con il resto dell'Amministrazione Parrocchiale del costo annuale cui dovevano far fronte perché il campanone fosse suonato regolarmente. Il santuario era povero e quella spesa fissa rappresentava un vero problema. Quello, però, era davvero un brutto momento per "battere cassa". Anche la chiesa parrocchiale era in difficoltà per una questione di campane, anzi di campanile.
L'attuale torre campanaria di Campiglia Cervo fu edificata tra il 1653 e il 1655 in sostituzione di quella già esistente e per un certo periodo la nuova che cresceva accanto alla facciata convisse con la vecchia che sorgeva più indietro presso il coro e che era a dir poco pericolante fin dal 1641. Fu abbattuta e i materiali recuperati permisero di concludere il novello campanile. Nel frattempo i lavori avevano prosciugato le già esigue finanze campigliesi con il parroco e i parrocchiani costantemente a corto di liquidi e sotto la minaccia di crolli tanto del cantiere in corso quanto dell'antico campanile.
E anche a San Giovanni d'Andorno non si stava vivendo un periodo tranquillo. Il burnel necessitava di cure tanto che nel 1657 non dava più acqua e non potendo garantire la adeguata manutenzione dei "canoni" (condotti) non si poteva far altro che ritornare alla primitiva fontana non senza incomodo e qualche spesa. Inoltre lassù si pativa l'assenza del cappellano. Don Antonio Gilardino, per non meglio chiarite questioni di stipendio, non poteva più svolgere il suo compito di confessore (sotto pena di scomunica) e andava rimpiazzato. Non fu così semplice trovare chi potesse ascoltare i peccati dei valligiani e dar loro penitenza e perdono. Nel 1659, si presentò don Giovanni Bussetti e fu accolto come l'uomo della Provvidenza.
Intanto, nel maggio del 1658, il campanone dava i primi grattacapi. Quasi sicuramente un deterioramento dei meccanismi che consentivano l'ondeggiamento della campana aveva reso difficile generare il possente suono che, a detta di don Giovanni Battista Furno (l'autore della "Historia" del santuario pubblicata nel 1702), si udiva a non meno di quattro miglia di distanza. L'azione dei campanari si era fatta troppo faticosa: "dificilmente si puol sonare la campana grossa di Santo Giovanni". La soluzione fu proposta da Giovanni Ostano che rese disponibile un suo lavorante, tale "mastro Milano", che avrebbe accomodato il tutto di modo che "un huomo solo facilmente soni la sudetta campana". Come a dire che prima di quell'intervento ne servivano almeno due! Comunque l'opera di ripristino non poteva essere rinviata e un sopralluogo, anche solo di un paio di delegati dell'Amministrazione Parrocchiale (furono designati Bernardino Mosca e Giuseppe Allara), avrebbe messo tutti d'accordo.
Allo stato dell'arte delle ricerche non si può dire se quel campanone di metà Seicento sia poi rimasto al suo posto per un altro secolo, fino alla rifondita del 1764 (3), ma al momento è importante sottolineare che una campana di grandi dimensioni era già in uso fin dall'inizio del Seicento e che fu molto probabilmente rifusa verso il 1635 anche grazie alla generosità di Don Emanuel di Savoia. Si avrà occasione di tornare sul tema e, forse, di aggiungere altri dettagli sul campanone di San Giovanni d'Andorno.


(1) Sul sito www.santuariosangiovanni.it si trova un prezioso cenno al campanone firmato dal diacono Claudio Pivani. Chi scrive si permette di precisare che il peso indicato per il manufatto bronzeo rifuso dall'alessandrino Giuseppe de Giorgi il 14 giugno 1764 è ancora maggiore di quello riportato dall'autore. Il rubbo piemontese, infatti, si converte nel Sistema Metrico Decimale in 9,2219 Kg, il che significa che il campanone da 200 rubbi pesa poco meno di 1.850 Kg e non "solo" 1.700.
(2) Oltre a Caterina anche la sorella Maria fu attiva a Oropa e nell'ordine francescano. Morì a Roma nel 1656, ma nel 1662 le sue spoglie furono traslate ad Assisi. La venerabile Francesca Caterina di Savoia morì al Piazzo il 20 ottobre 1640 e fu sepolta nella Basilica Antica di Oropa insieme al fratellastro Don Silvio di Savoia, altro figlio naturale di Carlo Emanuele I.
(3) Don Giovanni Battista Furno nella sua "Historia, gratie, e miracoli del sacro simolacro di S. Gio. Battista" del 1702 descrive il torrione campanario di San Giovanni d'Andorno segnalando la presenza della campana maggiore e di una più piccola, ovvero "ordinaria"
 

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