«L’anno del Signore millesettecento e settantacinque ed alli cinque del mese di marzo dopo mezo giorno in Campiglia, Cantone di Forgnengo in casa e camera al secondo piano della casa di desso testatore…». A fare testamento, dettandolo al notaio Pietro Giorgio Vanni e alla presenza dei sette testimoni prescritti (tre di nome Pietro, tre Giovanni Battista e un Sebastiano, tutti forgnenghesi), era Giovanni fu Lorenzo Mosca. La sua testa funzionava ancora bene, «sebbene da corporale infermità a letto dettenuto». In quelle condizioni, proprio perché cosciente del suo stato, aveva deciso di far mettere nero su bianco le sue ultime volontà. Non era ricco, il Giovanni, ma nemmeno povero. Dispose per un funerale degno prima della sepoltura nella chiesa parrocchiale. Niente di nuovo, niente di speciale. Si usava così, se si poteva. E lui poteva. Stabilì l’usufrutto delle sue sostanze a favore della moglie, Antonia Mazzucchetti, sua vita natural durante. Non avevano avuto figli. Per questa assenza di prole, chiamò erede universale l’Oratorio dei SS. Fabiano e Sebastiano di Forgnengo. Alla morte della Antonia l’oratorio della borgata avrebbe ereditato tutto quanto.
Il Giovanni non si sbagliava. L’agonia durò due giorni.
«Die 7 martii Ioannes quondam Laurentii Mosca in comunione Sanctae Matris Ecclesiae animam Deo reddidit aetatis suae annorum 55 circiter Sanctissimis Sacramentis munitis cuius corpus die sequenti in hac ecclesia parochiali sepultum fuit». Questo scrisse nel libro dei morti il prete Giovanni Baruzzi al posto del parroco don Serra. Giovanni fu Lorenzo Mosca era nato il 25 agosto del 1717, quindi aveva cinquantasette anni e mezzo, figlio di Lorenzo del fu Pietro e di Caterina Iacazio. Niente di nuovo, niente di speciale. Un valèt come tanti.
Di un po’ insolito, però, c’è proprio quel suo morire a casa, nella sua Bürsch. In effetti, nell’Archivio Storico dell’Oratorio dei SS. Fabiano e Sebastiano di Forgnengo (in avanzato stato di riordinamento), oltre al citato ultimo testamento, del Giovanni ci sono altre e più interessanti tracce, che qui di seguito andiamo a scoprire. Tracce che indicano un’esistenza spesa, almeno in parte, altrove, lontano dall’Alta Valle Cervo.
Nello stesso archivio, infatti, si trovano alcune ricevute di pagamento per messe celebrate passate a favore di quel Mosca che conducono a Milano e riguardano un periodo di almeno tredici anni, dal 1757 al 1770. Il Giovanni sarebbe potuto morire, come tanti altri valìt, proprio a Milano, luogo di lavoro, ma anche di residenza e di vita.
I documenti in esame, peraltro molto curiosi anche dal punto di vista iconografico, definiscono una piccola geografia devozionale relativa al forgnenghese.
Otto di quelle ricevute, datate dal 1757 al 1768, si riferiscono alla «Sagristia di Santa Maria dellle [sic] Grazie di Milano» con la celebrazione da parte dei padri domenicani per concessione di Benedetto XIII. Sono tutte firmate da frate Paolo Riva. Sono tutte “anonime” tranne quella del 17 dicembre 1767 che riguarda esplicitamente Giovanni Mosca.
Quattro si riferiscono alla Canonica di Sant'Ambrogio Maggiore (con precisi riferimenti a Sigismondo re di Borgogna, santo protettore delle anime del Purgatorio) sottoscritte dai canonici rettori o deputati. La prima, datata primo maggio 1759, riguarda una Lucia Mosca (forse una sorella del Giovanni che viveva a Milano con lui?). Le altre tre, relative al periodo 1761-1765, non sono intestate.
Due richiamano l'altare privilegiato della chiesa dell'Apparizione di San Michele Arcangelo de' Nuovi Sepolcri del Venerabile Ospitale Maggiore sottoscritte dagli assistenti delegati. Entrambe recano il nome Giovanni Mosca e sono datate rispettivamente 1761 e 1770.
Una fa riferimento a Santa Liberata per un'offerta ricevuta da un "divoto" non identificato. Datata 6 dicembre 1765. È l’unica che riporta la “firma” dell’incisore, tale P. Bianchi.
Una si riferisce al banco della chiesa di San Giovanni Decollato «detto alle Case rotte». Datata 17 dicembre 1770.
In quei tredici anni il Giovanni ha frequentato un po’ tutta la città. Forse abitava dalle parti della Porta Vercellina, come tanti altri valìt impegnati a Milano nei vari cantieri nei quali erano abitualmente ingaggiati, ma non è certo. Tutte le ricevute sono illustrate da immagini ricavate da incisioni. Le proponiamo qui di seguito. Quelle della chiesa di Sant’Ambrogio si fanno apprezzare per il medaglione che ritrae il re dei Burgundi intento a perorare la causa delle anime purganti tra le fiamme (un Purgatorio molto simile all’Inferno, a dire il vero…). Lui, Sigismondo, primo re gallico e ariano a convertirsi al Cristianesimo, morì martire verso il 523 precipitato in un pozzo dopo aver espiato a lungo il crimine orrendo che aveva commesso dopo la conversione: aveva fatto uccidere suo figlio Sigerico convinto che tramasse contro di lui. Il suo percorso di espiazione, compiuto nell’abbazia di Saint-Maurice d’Agaune (sito meraviglioso nella valle del Rodano prima del lago Lemano) ha dato origine alla pratica della «laus perennis»: una preghiera ininterrotta recitata da un monaco dietro l’altro, senza soluzione di continuità. Nel Medioevo la figura tormentata e tragica di San Sigismondo era molto popolare e, in qualche modo, lo era ancora alla fine del Settecento se nelle stampe delle ricevute per le messe la sua effige compare ancora. Nelle incisioni si notano anche i due scheletri che reggono uno la falce e l’altro il badile, “attrezzi” espliciti della Nera Signora (le matrici di stampa dovevano essere almeno due, visto che in alcune carte la falce è a sinistra, in altre a destra). Gli stessi magrissimi rappresentanti di sorella nostra morte corporale trasmettono un duplice efficace messaggio esistenziale: a sinistra «Fuimus sicut vos», fummo come voi, a destra «Eritis sicut nos», sarete come noi. Ricordiamoci che dobbiamo morire…
La più bella raffigurazione tra quelle che il Giovanni ha voluto conservare e che finirono tra le carte dell’Oratorio dei SS. Fabiano e Sebastiano di Forgnengo è senz’altro quella del 17 dicembre 1770, la meno antica di tutte. È l’unica che proviene dalla chiesa di San Giovanni Decollato alle Case Rotte ed è sottoscritta da un non meglio identificato Galimberti.
Per un valèt come lui questa immagine doveva avere un significato particolare, perché illustrava il momento più cruento della storia di quel San Giovanni Battista venerato nella Bürsch. Il “Decollato”, cioè il “decapitato” è proprio il San Gioan Tajà del santuario dell’Alta Valle Cervo che lui, il Giovanni, vedeva sempre quando stava a Forgnengo. Le illustrazioni medievali e le stampe devozionali della prima età moderna restituiscono il dramma, anzi la scena truce della decollazione. La stessa che Caravaggio dipinse nel 1608, ma senza cedere al gusto del macabro che, invece, si nota nella “ricostruzione” stampata sulla ricevuta per la messa voluta da Giovanni Mosca. In questo caso l’episodio è trattato in chiave splatter: la cella squallida, il collo reciso del Precursore da cui escono ancora fiotti di sangue che bagna il pavimento, Salomè che riceve sul piatto d’argento la testa tagliata, la guardia mandata da Erode Antipa che voleva accontentare Erodiade. La guardia è il personaggio più interessante: sembra che danzi compiaciuto del compito svolto, sorridendo sotto i baffi e sotto il cappellaccio da bravo. La scimitarra, lama tipica dell’infedele, è ancora levata dopo aver fatto il suo tremendo dovere.
Grazie alla devozione del Giovanni, ecco una significativa testimonianza documentaria senz’altro inaspettata nella valle. Ma gli archivi della Bürsch hanno ancora mille sorprese come questa…