La geografia della Grazia

Tipologia Documento
Data cronica
febbraio 2017
La geografia della Grazia
La geografia della Grazia

Contenuto

di Danilo Craveia
La Voce di San Giovanni, Bollettino di San Giovanni, febbraio 2017


La "Historia" di don Furno, soprattutto nella parte dedicata alle grazie e ai miracoli operati da San Giovanni Battista, si rivela una fonte pressoché inesauribile di notizie e di spunti di riflessione. In effetti molti sono ancora gli aspetti che vale la pena di indagare e di pubblicare, dopo i due precedenti relativi alla "statistica" e alla "qualità" della Grazia. Il potere apotropaico, salvifico e taumaturgico di San Giovanni Battista venerato tra i monti della Bürsch si mostrava efficace in un ampio contesto geografico. La devozione al Precursore di Cristo dell'Alta Valle Cervo trovava la propria ragion d'essere anche molto lontano da qui, in contesti e luoghi distanti in cui si manifestavano guarigioni e prodigi immediatamente e inequivocabilmente riconducibili al Santo della grotta. Abbiamo già fatto cenno alla dimensione geografica del fenomeno segnalando genericamente le provenienze dei devoti nel primo scritto, ma qui si tratta di affrontare la questione in termini diversi. Se è comprensibile e normale che San Giovanni Battista si prendesse cura dei valligiani, i suoi più affezionati devoti, è sorprendente che la sua protezione si propagasse ben oltre i confini della vallata. Dei 14 forestieri risanati o salvati siamo già al corrente, ma è importante sottolineare che erano gli stessi valìt a "esportare" il potere del santo lungo i loro cammini di emigranti e viaggiatori già in epoche lontane. L'attitudine (e la necessità) che gli uomini della valle avevano di cercare fortuna, o anche solo un modo per sbarcare il lunario, lontano da casa non è nata nell'Ottocento. Molto prima, infatti, devozione ed emigrazione si intrecciavano e l'una testimoniava l'altra.
Nel 1702 don Furno ha tramandato, forse anche involontariamente, un'interessante "geografia della Grazia" dalla quale non si può disgiungere un altro aspetto importante: il lavoro. I miracoli di San Giovanni della Valle d'Andorno riguardano infatti molte persone attive, intente a procurarsi il pane lavorando. Il suo intervento, in effetti, arrivava provvidenziale in occasione di potenziali infortuni o di rischi di disgrazie durante il quotidiano svolgersi delle attività lavorative. Naturalmente quelle manifestazioni di benevolenza si sono registrate più volte anche nella stessa Bürsch. Prima di allontanarci possiamo allora partire proprio da qui e, per la precisione, dal ponte Concresio.
Non è chiaro in quale momento avvenne il fatto, ma sicuramente prima del 1685. In quell'anno una certa Maria, vedova di Giovanni Rosazza Manuel dichiarò che, un giorno, il suo defunto marito stava lavorando con alcuni compagni alla sistemazione della strada che dal ponte conduce al santuario. L'uomo si trovava proprio nel punto più pericoloso quando una frana si staccò dalla montagna seppellendolo sotto "due milla rubbi" (poco meno di venti tonnellate) di sassi. I colleghi Bernardo e Pietro Mosca e Bernardo e Pietro Rosazza lo diedero per morto, ma lo estrassero vivo e senza gravi ferite. Tutti e quattro confermarono l'accaduto, ossia un miracolo per il quale si doveva rendere grazie a San Giovanni.
Anche le donne della vallata potevano raccontare più e più fatti straordinari. Nel 1676 Antonia Machetto fu colpita da un dolore fortissimo al braccio destro. Per sei anni non fu in grado di lavorare e per lei si prospettava l'incubo della mendicità. Si affidò al Santo e il suo problema fu risolto. Il 14 aprile 1685 Marta Maciotta stava facendo il fieno su un prato scosceso. Cadde malamente fino alla strada subendo un colpo al costato. Durante il ruzzolone si raccomandò al Precursore di Cristo e così non batté la testa. Dopo qualche giorno aveva potuto riprendere la falce in mano. Nello stesso anno, il 29 settembre, la moglie di Carlo Antonio Genta, Anna Caterina, salì su un "vascello" per raggiungere il nido delle galline per raccoglierne le uova. Il contenitore si rovesciò e la donna fece una brutta caduta colpendo con un fianco il supporto del tino. Una costola si ruppe, altre si incrinarono e Anna Caterina passò una nottata tremenda temendo di morire. Si salvò soltanto per intercessione di San Giovanni Battista dopo che le era stato consigliato di ricorrere alla sua generosità.
Il 2 gennaio 1688 la moglie di Giovanni Valz fu guarita miracolosamente dopo che l'illustre chirurgo andornese Giovanni Battista Bagnasacco si era arreso di fronte all'evidenza della sua impotenza. Una "mola" da canapa (1) era caduta sul piede della donna conciandoglielo piuttosto male: fratture multiple esposte, schiacciamenti e versamenti diffusi. Ben che le potesse andare la signora Valz sarebbe rimasta zoppa, ma bastarono "un Pater, et un'Ave ad honor di S. Gio. Battista acciò si degnasse d'esser in aiuto". E così fu.
Ancora più drammatico l'incidente occorso a Caterina Magnano, moglie di Francesco Violino. La descrizione proposta da don Furno nella sua opera restituisce tutta la durezza della vita di queste montagne e, soprattutto, della condizione femminile. Il 22 giugno la donna "era andata con molte altre persone nel luogo di Sessera a carigarsi di calcina per servitio della Chiesa di S. Giovanni in detta Valle". In Valsessera (non è specificato dove) era attiva una fornace da calce e "gionta che fù alla fornace mentre ogn'uno procurava di carigarsi presto, essa montò sopra la fornace, e perché la pietra era ancor calda, essendo scalze si pose sott'i piedi una pietra cruda, e cominciando  metter calcina nel suo cesto quello pieno lo portò fuori, essendo ritornata per empir il cesto d'una sua cognata cadete dentro la fornace sendo ancora calda, et restò tutta coperta di calcina da quale non poteva da se stessa sortire". Prima di lei era caduta nel forno anche Angela Magnano, ma era rimasta immersa solo con le gambe. Quest'ultima chiamò i "fornasari" e le estrassero entrambe vive e con poche bruciature, il che fece sorprendere tutti.
Uscendo dalla valle ecco che si incontrano gli emigranti e anche qualche "pendolare" o qualche valèt in trasferta per ragioni di servizio. Che fossero solo gli uomini a spostarsi emerge anche da queste testimonianze agiografiche: lontano dalla valle le donne non andavano, la migrazione stagionale o anche per periodi più lunghi era tutta maschile.
Abbiamo già appreso le vicende del cavallo miracolato del soldato Lorenzo Mazzocchetto, che aveva preso parte all'assedio di Pavia verso il 1654 (2). La cavalcatura, cioè uno dei "ferri del mestiere" del valligiano, si ammalò in quel di Solero presso Alessandria e non ci fu verso di farla guarire. Il cavalleggero pensò allora al Santo della sua terra e fece il voto di portare nella venerata balma un'immagine di cera con le fattezze equine. La bestia si riprese subito e visse ancora tre anni.
Il 30 gennaio 1686 Pietro Norza, fiaccato da più di tre anni di paralisi dolorosa, decise di ricorrere al Battista come ultima possibilità. La sua salute malferma gli impediva di curare i suoi affari che erano tutti a Lodi e i viaggi frequenti, tanto in sella quanto in carrozza, lo stavano uccidendo. Nemmeno i medici lodigiani avevano saputo offrirgli un po' di sollievo. Allora si allontanò dalle sue attività e mise la sua vita nelle mani del Santo stabilendosi in santuario per il tempo che sarebbe stato necessario. Fu sufficiente un mese di pratica devozionale e di passeggiate prima col bastone e poi senza. Del tutto ristabilito riuscì a riprendere il suo lavoro.
Il riferimento a Lodi è piuttosto significativo perché Pietro figlio di Giovanni Maria Norza (che per altro compare in un documento notarile del 1683 conservato presso l'Archivio Storico della Parrocchia di Campiglia Cervo redatto in relazione a questioni inerenti a Lodi) non era l'unico vallecervino a vivere o ad avere contatti frequenti con quella città lombarda. Buona parte di loro era composta da lavoratori edili, probabilmente impegnati nella costruzione o nella ricostruzione delle fortificazioni cittadine. Quella comunità doveva però essere numerosa e includere anche altre figure professionali, forse trasferitesi laggiù per offrire servizi e supporti ai tanti manovali. Non a caso il notaio Giovanni Battista Accati, munifico benefattore di San Giovanni d'Andorno, fece testamento proprio in quel di Lodi l'8 maggio 1713: da quell'atto nacquero le scuole del santuario. E c'è poi un'ultima notazione, forse una coincidenza o forse no: nei pressi di Merlino, a meno di 20 chilometri a nord di Lodi, esisteva ed esiste il santuario del Calandrone dedicato a San Giovanni Battista (XIII secolo), l'unico della Lombardia e uno dei pochissimi oltre al "nostro".
Lo stesso giorno fu la volta di Giovanni Baruzzo. Guarì da un'infermità grave che lo teneva a letto da tempo e che gli impediva di curare i propri interessi a Milano. Se la comunità lodigiana era cospicua quella milanese doveva essere ancora più consistente. I documenti storici del santuario e della parrocchia attestano presenze continue e numerose per tutto il XVII e il XVIII secolo. Lo stesso fratello di Giovanni abitava colà e così tanti altri valligiani che si guadagnavano da vivere con il mestiere che avevano appreso dai loro padri e dai loro nonni. Erano tutti "magistri cementarii", ossia mastri da muro, e in una città come Milano i cantieri pubblici e privati dovevano essere innumerevoli. Per artigiani in gamba il lavoro non mancava e chi poteva cercava di sopportare il sacrificio di lasciare la propria casa avita per cogliere quella occasione, anche se si trattava di espatriare (l'Italia odierna non esisteva ancora e il Ducato di Milano era uno stato estero).
Ma la Bürsch restava nei loro cuori e anche la loro speciale devozione. Ne parlavano ai conoscenti meneghini e a quelli in difficoltà o in pericolo indicavano il Battista come "il santo a cui votarsi". Un esempio è quello di tale Giacomo Bernascone colpito da "una flussione nel piede destro, che li Signori Chirurghi giudicavano fosse sortito un osso fuori da luogo". Lo avevano curato "trè settimane con unguenti, e ceroti, che maggiormente l'affligevano, et il male andava augmentando à segno, che il piede gonfiò molto". A quel punto la scienza si fermò e subentrò San Giovanni Battista. "Fu esortato da alcuni huomini della detta Valle d'Andorno, muratori, in detta Città, che si racomandasse all'intercessione del predetto Santo" e recuperò la salute in otto giorni e senza impiastri né bendaggi.
Un po' più vicino a noi, ed esattamente ad Agrate Conturbia, nel settembre del 1690 Bartolomeo Ottino si trovava da quelle parti, probabilmente per lavoro, quando fu colto da quello che sembra un ictus. Stava utilizzando un forno per cuocere il suo pane, quando stramazzò al suolo. Il fratello Giovanni lo soccorse, ma dopo qualche giorno l'evento si verificò di nuovo. I medici si dichiararono incapaci di fare alcunché e suggerirono di invocare la protezione divina. Ed ecco entrare in scena San Giovanni Battista. Con una preghiera profondamente sincera il valligiano ottenne la completa guarigione.
Un ultimo caso degno di nota è quello di Pietro Magnano e di suo fratello. Nell'estate del 1692 i due valìt erano impegnati ad Aosta nella ripassatura del tetto del palazzo del conte Roverio.
Era il 29 agosto, giorno in cui si ricorda la Decollazione del Battista, e i fratelli Magnano si erano appena posizionati "sopra il capitello della conversa", quando "quello subito si ruppe, et mancatogli improvisamente il coperchio, cioè il tetto cadettero ambedue à terra dall'altezza di quattro piani". Il fratello "restò tutto rotto, et infranto" (ovvero morto?), mentre Pietro, che nel volo si era rivolto alla Madonna d'Oropa e a San Giovanni, se la cavò molto meglio. Perse i sensi, ma niente di più. Cinque giorni dopo andò sulle sue gambe a sentire la messa tra la meraviglia di tutti.
Alla fine di questa breve analisi ancora una volta si scopre nel mondo di allora qualcosa del carattere della valle e dei suoi abitanti, della necessità di migrare per lavorare e per vivere e della vita disagevole che quei nostri antenati conducevano. Gli effetti di quell'esistenza scomoda e spesso spietata andavano ben oltre le facoltà di azione dei cerusici e dei dottori del tempo che, in questo spaccato rivestono spesso il ruolo degli inermi e degli sconfitti. Per contrasto si coglie dunque la forza della Fede, il valore della testimonianza di quei fatti memorabili capaci di alimentare continuamente il vincolo inscindibile tra i valligiani e il loro Protettore, anche quando la Valle Cervo era lontana.


(1) La "mola" era la pesante ruota di pietra che girando pestava la canapa per sfilacciarla.
(2) Probabilmente si tratta dell'assedio portato dal Principe Tommaso di Savoia nel 1655 con 20.000 soldati francesi. Pavia, controllata dagli imperiali, resse l'urto e dopo 52 giorni l'assedio fu tolto.
 

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