Appunti sulle antiche scuole della Bürsch: uno sguardo d'insieme
- 2023
Tipologia
- saggio
Contenuto
di Danilo Craveia
Le origini delle scuole nella Alta Valle del Cervo sono remote. Uno sguardo d’insieme a tutto il territorio consente di scoprire una storia che ha radici lontane e, per molti aspetti, insospettabili.Già Remo Valz Blin si era occupato, per quanto sommariamente, di questo interessante argomento e, nelle sue Memorie sull’Alta Valle d’Andorno (1959), si trovano pagine fondamentali per approcciarlo adeguatamente. Prevedibilmente il grande esperto della Bürsch richiama il passaggio della Guerra d’Andorno scritta da Iacopo Orsi nel 1488 che tratta, peraltro in maniera sprezzante, del tema della scolarità degli andornesi e dei valligiani, all’epoca acerrimi nemici di Biella e della sua sete di potere.
Vale la pena di (ri)citare quel brano. Riferendosi a quelli di Andorno e della vallata, l’Orsi scrisse che, finchè vivevano di povera pastorizia e scarsa agricoltura senza pretese, “ogni cosa andava a meraviglia”. Allora erano “ignari di lettere”, cioè non troppo acculturati, non avevano volontà di migliorare la loro condizione e se fossero rimasti ignoranti non si sarebbero verificati problemi. Ma a un certo punto, essendosi arricchiti con i loro sforzi e i loro talenti, vollero anche studiare, “non discernendo che la natura ha prodotto alcuni a comandare [cioè quelli di Biella] gli altri a servire [cioè quelli di Andorno e della valle]”. Così “incominciarono a stipendiare dei maestri di scuola, mediante i quali i loro figli salissero ad un più alto livello”. L’Orsi, che era un maestro di scuola a sua volta, criticava il desiderio degli andornesi e dei valìt del suo tempo di migliorare la loro istruzione. Non solo: più in profondità si legge, tra le righe, che nel caso della gente della Valle Cervo, la scuola aveva portato ignoranza e non saggezza o sapienza. La parzialità ideologica confonde sempre la mente, anche quella dei dotti. Un maestro avrebbe dovuto plaudire all’iniziativa degli avversari del suo signore, il grande Sebastiano Ferrero, ma c’erano ordini di scuderia cui obbedire, e questi gli tolsero capacità di giudizio e obiettività. Quelli di Andorno e della valle, rei, secondo l’Orsi, di arroganza, di superbia, quasi di lesa maestà nei confronti della magnifica città di Biella, non si fermarono alle elementari di paese, ma grazie a quelle poterono poi andare all’università a Torino e frequentare i tribunali. Così divennero avvocati e professionisti in grado di competere alla pari con quelli di Biella e questo, in tempo di pace, rappresentava un ostacolo difficile da superare. Tant’è che Biella arrivò alla guerra per stabilire il suo controllo su Andorno, anche se fu un controllo molto effimero.
Quindi già nel XV secolo almeno ad Andorno c’era una scuola e non certo una scuoletta di paese pretese, ma un centro di formazione efficace e funzionale.
Non abbiamo altri riferimenti per il periodo immediatamente successivo. Ma all’inizio del Seicento, epoca di costituzione del Marchesato d’Andorno, ecco che la scuola ricompare nei documenti e questa volta non si tratta di quella andornese in generale, ma della scuola della vallata.
Nel 1613 furono approvati gli statuti della Comunità di Andorno (composta dai quattro cantoni di Cacciorna, Sagliano, Tavigliano e Valle). L’approvazione del duca di Savoia, Carlo Emanuele I, non toglie nulla a una iniziativa tutta locale. Servivano nuove norme per la convivenza civile e gli andornesi e i valligiani se le diedero in autonomia. Due statuti, il 49° e il 50° riguardano il maestro di scuola. Il primo riguardava il maestro dei tre cantoni “bassi”. Tale insegnante doveva essere “ben litterato et intelligente […] per insegnare la grammatica et buoni costumi alli figlioli” dietro compenso di 1350 fiorini l’anno. Il secondo, invece, si occupava della Bürsch: “atteso che li homini della Valle non hanno comodità di partecipare ad esso comodo, la Comunità gli stabilisce fiorini duecento l’anno più o meno, secondo la disposizione del Consiglio acciò possino mantenere una persona per insegnare leggere et scrivere alli figli della Valle”. Sembra che tra le due figure ci sia una certa disparità e che per la vallata potesse andar bene anche un maestro meno preparato, ma non è affatto detto. La differenza di stipendio, invece, può spiegarsi con il numero di alunni cui fare lezione: nell’alta valle erano senz’altro di meno. Quello che va rimarcato, infine, è il carattere laico del dispositivo. Non era obbligatorio che i maestri fossero appartenenti al clero. Naturalmente, da quelle scuole erano escluse le bambine.
Malgrado la legislazione statutaria vigente non fu la comunità locale ad attivare la prima scuola della Bürsch, e nemmeno l’autorità costituita del neonato marchesato (1621), bensì la parrocchia di Campiglia Cervo.
La prima notizia circa l’attività didattica in Alta Valle Cervo risale al 1628. Si legge nell’ordinato del 1° agosto 1628 della Congregazione amministratrice della Parrocchia di Campiglia Cervo che il reverendo padre Giovanni Antonio Ramasco, maestro di scuola probabilmente originario di Sagliano, era stipendiato "a tener scola nella Valle". Avrebbe ricevuto 300 fiorini l’anno, pagati per metà ogni sei mesi (che gli sarebbero serviti per vivere). Non essendoci un’amministrazione comunale nell’Alta Valle Cervo, era l’Amministrazione parrocchiale a dover gestire quell’incombenza. Le lezioni sarebbero cominciate il primo di settembre.
La scuola non era gratuita. La carta era un extra (sei grossi al mese per caduno degli alunni). Per quegli allievi che si cimentavano nel disegno (“ornato”), la carta sarebbe costata ancora di più (nove grossi al mese). Per quelli che cominciavano ad apprendere i rudimenti della scrittura l’impegno del maestro sarebbe stato ancora maggiore, quindi un fiorino al mese per ciascuno. Per quelli che avrebbero imparato la grammatica (perciò a un livello didattico più alto) il costo sarebbe stato di un fiorino e mezzo. L’impegno del maestro andava dal lunedì al sabato a mezzo giorno, e per le feste comandate era previsto l’insegnamento della “dottrina” (catechismo). Don Ramasco accettò con due condizioni: ferie per le “vendemie” e per il carnevale (otto giorni in entrambe le occasioni) e una casa ove risiedere.
Già in quel remoto 1628 si profila un tratto che rimarrà costante nei due secoli successivi. Fu la Chiesa e non lo Stato o la comunità locale a occuparsi della scolarizzazione nella vallata. Questa prerogativa o condizione obbligata dalle contingenze è un dato di fatto. Discutibile quanto si vuole, ma innegabile. La società civile-laica non aveva modo e/o volontà di occuparsi della scuola. Le scuole civili-laiche nasceranno solo alla metà dell’Ottocento in funzione della progressiva laicizzazione dello Stato.
Nel 1649 i due cappellani di Campiglia Cervo, don Gilardi e don Zanazza, avevano anche l’incombenza della scuola. Litigarono proprio per chi doveva fare il maestro. Nell’ordinato della Congregazione amministratrice della Parrocchia di Campiglia Cervo del 10 novembre 1652 si stabiliva che avrebbe continuato il loro lavoro comune e che a Natale, tornati a casa per l’inverno i “cappelletti” (cioè i valìt muratori impegnati nei cantieri lombardi) si sarebbe deciso come affrontare la questione.
Problemi per l’anno scolastico 1653-1654. Nell’ordinato del 24 febbraio 1654 si legge che i cappellani maestri avevano “tralasiato di fare la scola” perché in altre faccende occupati. La Congregazione amministratrice prese atto della situazione e incaricò il parroco don Giovanni Battista Furno di “solicitare la sudetta scola da farsi nel logo dove si facea per il passato” fino a quando non sarebbe stato disposto in merito con opportuni “capitoli” redatti da un incaricato.
Problemi, quelli del 1654, che non erano ancora stati risolti nel 1657. Dall’ordinato del 15 aprile si apprende che “stante le lamentelle che grandemente si sentono dalli particolari della presente valle per non esser alcun religioso che tengha socola [scuola] et atendere alla confessione et administratione d’altri sacramenti per cio per le grande fatiche che curano alla giornata per servitio dil popolo esser necessario che si proveda d’altro religioso confessore che agiuti alla Cura con far la scola”. I cappellani non ce la facevano e il personale andava integrato. Così fu stabilito di incaricare il parroco priore e uno degli amministratori, tale Antonio Mazzucchetti, “a cercare un sacerdote confessore et che facia scola”. I due deputati avevano autorità di arrivare a offrire fino a centocinquanta lire di stipendio per il sacerdote maestro. Per reperire quella somma annua avrebbero “limato” gli stipendi del cappellano della Compagnia del Suffragio (fondata nel 1620) e da quello che officiava a San Giovanni d’Andorno (riducendo loro il carico delle messe ebdomadari).
Il 17 marzo 1658 non si era ancora superata la difficoltà dell’assenza del maestro. Probabilmente non era stato trovato nessuno per aumentare il numero dei religiosi al fine di dare finalmente un insegnante alla scuola. Così era stato assegnato tale compito al cappellano della Compagnia del Suffragio, ma tale compito era svolto male e quell’impegno lo distraeva da quelli abituali. La gente, e specialmente i membri della suddetta compagnia, si lamentavano ed era necessario quantomeno verificare se fosse o meno vero tale stato di cose e, nel caso, provvedere.
Dopo poco tempo, il cappellano della Compagnia del Suffragio lasciò libero il posto. Nell’ordinato del 6 marzo 1662 si legge che si presentò il teologo don Giovanni Antonio Burzano. Oltre alle messe e agli altri servizi per la compagnia, avrebbe dovuto “tener scola”. Non sono note le condizioni economiche specifiche, ma era esplicitato che “i padri delli figlioli scolari” erano tenuti a sostenere le spese didattiche stabilite. A patto che, se il cappellano maestro se avesse voluto andarsene, avrebbe dovuto avvisare i suoi datori di lavoro con almeno due mesi d’anticipo.
Per quanto riguarda la Bürsch, nel XVII secolo, la scuola si teneva solo a Campiglia Cervo e addossandone il carico al cappellano della Compagnia del Suffragio (nel 1666, ordinato dell’8 agosto, si ribadiva l’impegno per il cappellano della Compagnia del Suffragio, del quale non è indicato il nome, ed ecco un ulteriore nesso tra la morte e la vita, tra il suffragio dei defunti e la formazione dei bambini…) si andò a liberare un po’ quelli di San Giovani d’Andorno. In effetti, la grande devozione per San Giovanni Battista manifestatasi nella seconda metà del Seicento occupava e stremava i cappellani addetti al santuario.
Il 16 febbraio 1669 i due cappellani, don Mazzucchetti e don Rosazza, erano nuovamente sollecitati a “fare la scuola”. La stessa cosa, pur senza indicare nomi, avviene il 25 marzo 1670.
Questa è l’ultima notizia relativa alla scuola della Compagnia del Suffragio (cioè della Parrocchia di Campiglia Cervo). A quella data, a San Giovanni d’Andorno, non c’era la scuola e neppure ancora lo stabile (ala Parella, edificata a partire dal 1680) che l’avrebbe ospitata nel XVIII secolo.
Difficile pensare che la scuola parrocchiale sia continuata senza problemi, considerando i precedenti. Molto probabilmente fu “accantonata”, anche perché, a quanto pare, per l’ultima parte del Seicento don Furno fu più interessato a sviluppare il santuario e il sacro monte.
In quel contesto, gli oratori delle borgate, come era già avvenuto in precedenza si rivelarono fondamentali per dare una parvenza di continuità all’attività didattica nella valle. Nel capoluogo la scuola non funzionava da tempo e quella di San Giovanni d’Andorno si era interrotta: ecco che ognuno, se e quando poteva, cercava di fare da sé, come nel caso di Forgnengo nel 1768-1775 (vedi la donazione di Filippo Gilardi che nel 1768 mise a disposizione dell'Oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano la sua casa - o una sua casa - per il cappellano maestro e il testamento di Giuseppe Allara del 30 aprile 1775, nel quale dispose di lasciare mille lire con la cui rendita si doveva impiegare per lo stipendio del cappellano dell'oratorio di Forgneno affinchè "faccia la scuola a favore di detto Cantone di Forgnengo, ed anche a quelli delli altri cantoni di questa comunità. che vi vorranno concorrere tanto di maschi, che di femine, intendendo, che detta scuola con detto provento segua dal principio dell'anno, e sino a quel tempo, e mesi, che loro riuscirà di convenire col maestro, il quale, non essendo il capellano ordinario, cioè in caso, che questo non volesse accettare il detto pese di scuola portà venire dalli ministri e coll'intervento delli capi di famiglia della casa Allara nominato un maestro per detta scuola nella persona di quel soggetto tanto [religioso] che secolare...". Seguono altre disposizioni particolari circa la figura e l'incarico del maestro che, in ogni caso, avrebbe dovuto assicurare l'insegnamento della "Dottrina Cristiana", ossia il catechismo).
Ecco perché, all’inizio del Settecento, Giovanni Battista Accati pensò di istituire una scuola per la vallata nel santuario. Forse perché, a Campiglia Cervo, non c’era più o era ridotta ai minimi termini.
Le scuole dell’Alta Valle Cervo (incluse quelle di Passobreve di Sagliano Micca, di Locato di Andorno Micca e di Miagliano) sono state quasi tutte raccontate durante le serate del Bürsch Festival dell’agosto 2023. Mancano all’appello, perché non toccate dalla manifestazione, quelle San Paolo Cervo, quelle di Mortigliengo, quelle di Roreto di Quittengo (solo per le bambine, annesso all’asilo Martinazzi), quelle di Forgnengo, quelle di Piedicavallo, quelle di Gliondini, che funzionarono per pochi anni alla fine dell’Ottocento.
Quelle parrocchiali e poi comunali del capoluogo di Campiglia Cervo meritano una trattazione a parte. Attivate dal parroco, don Giovanni Battista Stupenengo, grazie alla generosità di Cristiano Antonio Vanni nel 1854, furono erette in ente morale nel 1866 e statalizzate nel 1932. Fino al 1861 furono ubicate nello stabile della casa canonica, poi insediate nell’edificio che le ospita tuttora, lo stesso edificio, sopraelevato di due piani, in cui furono attivate le scuole tecniche. Nel 1850 era stata pure aperta, sempre a Campiglia Cervo, la “scuola delle figlie”, destinata alle bambine. La prima maestra fu Caterina Bussetti.
Vale la pena, in conclusione, di citare due testimonianze interessanti.
La prima risale al settembre del 1925. In periodo era in corso di svolgimento la Mostra Didattica Circondariale organizzata a Biella. Le scuole della Bürsch non parteciparono, ma la loro assenza si fece notare. “Avremmo desiderato” scrisse un anonimo cronista su “La Tribuna Biellese”, “di vedere anche le scuole più umili, quelle di Graglia, di Quittengo, di Campiglia, di Camandona e di tanti altri luoghi, che lottano da anni nelle più gravi strettezze pur di continuare la loro funzione eminentemente benefica e civile. Comprendiamo le difficoltà ed anche il riserbo di esporre certe cose! Si doveva però capire che la Mostra Didattica non può solo avere scopi reclamistici, decorativi, coreografici, ma principalmente quello di far vedere al pubblico le vere condizioni delle sue scuole, perchè senta certe deficienze e provveda”. In poche righe ecco lo stato dell’arte.
La seconda riguarda quanto avvenuto a Campiglia Cervo il 30 settembre 1962.
Organizzato dall’UNCEM Unione Nazionali Comuni Enti Montani, un convegno dal titolo “Scuola in montagna” si svolse presso le Scuole Tecniche. I problemi della scolarità in condizioni problematiche furono affrontati e discussi da una importante rappresentanza istituzionale (tra cui il Ministro per il Mezzogiorno Giulio Pastore) e del mondo della scuola in un contesto che non poteva essere scelto meglio. Interessanti furono gli interventi dei relatori. Tra gli altri, quello dell’avvocato Gianni Oberto, vicepresidente dell’UNCEM, che “ha posto in risalto che come cento anni fu si era sentita a Campiglia la necessità di istituire una scuola professionale che soddisfacesse le esigenze delle popolazioni di allora, così oggi ci si deve preoccupare grandemente del problema della scuola in montagna, mentre il problema della scuola in generale è divenuto il fulcro dell’azione del Governo o mentre si sta verificando il pericoloso fenomeno dello spopolamento montano. Egli ha considerato il problema sotto il punto di vista umano degli insegnanti e degli alunni. I piccoli montanari devono essere posti nelle stesse condizioni dei loro colleghi di città, mentre agli insegnanti si devono dare le migliori agevolazioni. È il fattore umano che deve per prima cosa essere preso in considerazione, gli insegnanti vengono nelle sedi di montagna, freschi di diploma, in massima parte si fermano pochi mesi, non conoscono i problemi della montagna e questo impedisce loro di inserirsi come sarebbe auspicabile nella vita della comunità per aiutare la popolazione a risolvere i problemi extra scolastici, per farsi a seconda delle necessità, sacerdote, medico, geometra, levatrice, per aiutare il montanaro ad allargare la propria visione della vita. Il mondo cammina e se non adegueremo la nostra scuola ai tempi, saremo dei perduti” (da “il Biellese” del 2 ottobre 1962). Il provveditore agli studi della Provincia di Vercelli, Toselli Colonna, illustrò la situazione dei trasporti che era in via di miglioramento, almeno in Valsesia grazie agli interventi finanziari degli anni precedenti. Pur invitato, non partecipò al convegno l’on. Giuseppe Pella, allora Ministro della Pubblica Istruzione.
Note
- I saggi contenuti in questa sezione sono ordinati secondo la successione cronologica degli eventi del Bürsch Festival edizione 2023.
Link esterni