La "Dante" a Biella. Italianità e nazionalismo tra Otto e Novecento [Danilo Craveia, 18 agosto 2023]

Tipologia Oggetto
Data topica San Giovanni d'Andorno
Note
Salone delle feste
Data cronica
18 agosto 2023
La "Dante" a Biella. Italianità e nazionalismo tra Otto e Novecento [Danilo Craveia, 18 agosto 2023]
La "Dante" a Biella. Italianità e nazionalismo tra Otto e Novecento [Danilo Craveia, 18 agosto 2023]

Tipologia

conferenza

Identificazione del soggetto

La conferenza di Danilo Craveia si è tenuta a conclusione della mostra "Omaggio a Dante nella Bürsch. Immagini, editoria, filatelia", curata da Giorgio Piccino.

Motivazione titolo

Nel nome del grande poeta della "Divina Commedia", la Società "Dante Alighieri", voluta da intellettuali del calibro di Giosuè Carducci, doveva diffondere e consolidare la cultura italiana in Italia e nel mondo. Alla fine dell'Ottocento l'identità nazionale era ancora in via di formazione e il riferimento a Dante Alighieri puntava a esaltare una tradizione culturale che vedeva l'Italia seconda a nessuno in Europa e oltre. Ma la "Dante", anche a Biella, non ebbe solo quel ruolo, diventando anche un baluardo del nascente nazionalismo nostrano in un contesto internazionale non sempre favorevole all'italianità. I biellesi di allora vissero quindi anche una parentesi socio-politica interessante che, in occasione della mostra dantesca allestita a San Giovanni d'Andorno, merita di essere (ri)scoperta.

Indicazioni sul soggetto

TESTO DELLA CONFERENZA:


 

Questa breve riflessione nasce, ovviamente, dalla mostra curata da Giorgio Piccino. Una mostra che non riguarda tanto Dante in sé e per sé o l’editoria dantesca, quanto piuttosto l’immagine di Dante e, più ancora, l’uso che è stato fatto di tale immagine. Quello di Dante è diventato un volto noto, direi anzi che la sua faccia è abbastanza pop da essere riconosciuta da tutti. Questa celebrità si è amplificata grazie ai mezzi di comunicazione e, oggi, Dante è senza dubbio un’icona. Tutti lo riconoscono, anche senza sapere chi è…

Naturalmente non si tratta di un discorso etico: non voglio dare un giudizio sul fatto che Dante sia finito in una réclame per l’olio d’oliva o per le macchine per scrivere, se sia lecito o meno stamparlo su un francobollo o altrove. È successo, succede e succederà ancora, quindi va benissimo così. Questa mostra rappresenta una testimonianza di un fenomeno non solo culturale, ma anche di costume e di comunicazione, quindi va osservata con attenzione.

Anzi, se questo impiego non editoriale di Dante serve a far conoscere e riconoscere Dante, ben venga.

Anche in passato la figura di Dante è stata utilizzata in contesti molto diversi da quelli strettamente letterari o intellettuali e il mio intervento riguarda uno di questi aspetti. Un aspetto relativo alla “manipolazione” che Dante ha subito.

Nella seconda metà dell’Ottocento, Dante è diventato un potente ambasciatore dell’italianità all’estero per la sua rilevanza linguistica e per il suo valore culturale universale.

Ma nello stesso tempo, Dante è stato eletto a simbolo del nazionalismo italiano. D’altro canto, non tutti, per non dire nessuno, potevano e possono vantarsi di avere un Dante nella propria cultura nazionale.

Ma prima di affrontare il tema principale – legato al Biellese – occorre fare una premessa generale sullo sviluppo della “notorietà” di Dante.

Dante vive e scrive tra il XIII e il XIV secolo. Muore nel 1321. Compone la Divina Commedia all’inizio del Trecento, in un’epoca in cui non esisteva ancora la stampa e i manoscritti avevano una diffusione comunque limitata. Dante era conosciuto, senza dubbio, ma la diffusione dei suoi scritti era vincolata al numero di copie manoscritte che si potevano realizzare.

La prima versione a stampa della Divina Commedia (prendiamo a esempio la sua opera più nota) risale al 1472 (quella di Johannes Numeister a Foligno). Questo significa che tra l’originale firmato da Dante e l’editio princeps erano trascorsi più di centocinquant’anni. Più o meno è come se noi oggi stampassimo per la prima volta il manoscritto di Manzoni dei Promessi sposi

La Divina Commedia stampata ha un grande successo e, nel complesso, tutte le opere di Dante, nel Cinquecento, conoscono una notevole diffusione. Ci sono degli studi interessanti sulla “fortuna” dantesca nel XVI secolo disponibili su Internet che vi invito a consultare.

Dopo quella lunga fiammata, chiamiamola così, gli scritti di Dante mantengono un livello di notorietà importante. In Europa tutti conoscono la Divina Commedia e il resto delle opere di Dante (tanto quelle in volgare quanto quelle in latino). Ci sono anche traduzioni in varie lingue e molti eruditi stranieri (specialmente i tedeschi) “sanno” Dante meglio di quelli italiani.

È l’epoca in cui molti artisti leggono e interpretano Dante, specialmente in campo pittorico.

Arriviamo all’Ottocento e si verifica una situazione inedita. Gli italiani cominciano a sentirsi italiani… Con Napoleone e, soprattutto, dopo Napoleone, si comincia a parlare di Italia nel senso di unità nazionale. La penisola italiana ha tutte le carte in regola per non essere più un insieme di regni e staterelli, ma per diventare una realtà coesa e unica. E non era solo una questione geografica (anzi di “espressione geografica”, come voleva Metternich), ma anche linguistica e culturale tout court.

La lingua italiana, veicolo principale della cultura italiana e della italianità, sorge come legante ideale. Ed era stato proprio Dante a “fare l’Italia” unendo Impero e Papato in una monarchia universale sotto la bandiera della lingua. I mattoni del nazionalismo italiano sono cementati tra di loro dalla lingua e così si poteva pensare di costruire l’ltalia (certo, c’erano tante visioni diverse su come costruire l’Italia, ma gli elementi di base erano gli stessi). Questo movimento culturale è parte fondamentale del Risorgimento che si innesca già negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento e che si concretizza tra gli anni Cinquanta e Settanta. L’Unità d’Italia data al 1861 e la presa di Roma nel 1870, tanto per dare qualche riferimento convenzionale.

Durante questo processo politico e militare, Dante vive una ulteriore sorprendente giovinezza. Lo si stampa e lo si studia di nuovo e di più. E non più solo tra gli accademici e le classi colte. Dante deve entrare nel cuore e nella mente del popolo perché è lì che deve portare il suo messaggio di italianità. Se è vero che, fatta l’Italia bisognava fare gli italiani, ebbene Dante poteva dare un significativo contributo. Questo “prodotto” che si chiamava Italia andava pubblicizzato e “venduto” prima di tutto alla gente che viveva in Italia perché la coscienza nazionale era ancora parecchio nebulosa. Diffondere Dante e le sue opere voleva dire far vedere a tutti che esisteva un patrimonio culturale comune e condiviso, remoto nel tempo, quindi autentico e profondo.

Anche qui, in Alta Valle Cervo, ci sono tracce di quel processo.

Nella biblioteca del Santuario di San Giovanni d’Andorno non si sono conservate edizioni dantesche, ma in quella della Parrocchia di Campiglia Cervo si trovano alcuni volumi relativi a Dante. Cito le Bellezze della Commedia di Dante Alighieri, rese in forma di dialoghi dal filippino veronese padre Antonio Cesari, pubblicati tra il 1824 e il 1826 (purtroppo c’è solo il primo volume, quello del 1824 relativo all’Inferno), cito La Commedia di Dante Allighieri illustrata da Ugo Foscolo, stampata a Torino nel 1852 (anche in questo caso c’è solo il primo volume), e cito Le opere minori di Dante Alighieri, edite a Firenze da Barbera (che era un biellese) nel 1861. Queste date indicano un periodo specifico, quello del Risorgimento, che corrisponde anche al risorgere dell’interesse per Dante e per le sue potenzialità nazionalistiche.

Anche se, paradosso della Storia, il Dante più conosciuto fu “inventato”, proprio durante il Risorgimento, da un francese, un certo Gustave Dorè che, tra il 1861 e il 1868, pubblicò presso Hachette di Parigi, le sue famosissime incisioni della Divina Commedia. Gli italiani non opposero resistenza…

Infatti, bisognerà attendere fino al 1921 per vedere un’interpretazione italiana (monumentale) della Divina Commedia, ovvero quella illustrata da Amos Nattini che, però, ebbe scarsa diffusione perché prodotta in solo mille esemplari e in un formato impraticabile (ognuno dei tre volumi pesa 27 chilogrammi). Nattini ci ha messo vent’anni a realizzare le cento tavole a colori e si tratta di illustrazioni straordinarie, ma sono solo per pochissimi. Nel Biellese ne arrivarono due, una per Oreste Rivetti e l’altra per Ermenegildo Zegna. Per chi acquistava i tre tomi rilegati in cuoio c’era anche il mobile-leggio per contenerli… Quella di Nattini è stata un’iniziativa motivata dal sesto centenario dantesco e sostenuta da D’Annunzio, quindi il tema nazionalista è in qualche misura presente, ma quella Divina Commedia, per le sue caratteristiche specifiche, rimarrà al di fuori dalle “grandi manovre” del nazionalismo italiano.

Stiamo per arrivare all’argomento principale. Concludo la premessa segnalando che, una volta unita l’Italia, il regno appena nato cercò di imporre la sua presenza nel mondo. All’inizio degli anni Ottanta iniziò la nostra avventura coloniale nel Corno d’Africa. Anche se fu un inizio non proprio esaltante, il Regno d’Italia si avviava a diventare un nuovo competitor per le altre potenze europee. E anche se da buoni provinciali tendiamo sempre a sminuire la forza del nostro paese, all’epoca un’Italia forte o potenzialmente forte, creava se non timore, almeno qualche problema.

In quel clima prende corpo un’iniziativa speciale, ossia la Società Dante Alighieri.

La Società Dante Alighieri è tuttora attiva ed è “un'istituzione culturale italiana che ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo. Fa parte degli Istituti di cultura nazionali dell'Unione europea”.

La Società Dante Alighieri è stata “ideata e proposta a Macerata nel 1888 dall'irredentista triestino Giacomo Venezian, allora docente di diritto in quell'università e poi volontario nella prima guerra mondiale caduto sul Carso”. Fu fondata ufficialmente nel 1889 “da un gruppo d'intellettuali guidati da Giosuè Carducci, che diramarono un «Manifesto agli italiani». Venne eretta in fondazione con Regio Decreto del 18 luglio 1893”.

L'articolo 1 dello Statuto sociale, stabilisce che lo scopo del sodalizio è quello di "tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all'estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l'amore e il culto per la civiltà italiana".

A titolo di curiosità in riferimento alla mostra qui allestita segnalo che, nel 1921, la società fu promotrice dell'emissione di una serie di francobolli commemorativi del VI Centenario della Morte di Dante Alighieri.

Tutto questo per dire che tra il 1888 e il 1889 Dante viene reclutato come emblema, come nume tutelare, come santo patrono dell’italianità e del sempre più robusto nazionalismo italiano.

Ora, non c’è nulla di male nel nazionalismo. Dobbiamo essere fieri e orgogliosi di essere italiani. Ma fieri e orgogliosi non significa inconsapevoli e stupidi. Se conosciamo i nostri difetti e i nostri limiti, possiamo celebrare i nostri meriti, no? Con misura. Nazionalismo non significa colonialismo culturale, non significa sciovinismo, non significa suprematismo. Questo valeva allora, vale oggi e, per quanto mi compete, varrà in futuro.

In quel periodo storico, però, l’affermazione dell’italianità (specialmente tra i tantissimi emigrati italiani in ogni angolo del globo), la ri-nascita di un sentimento di consapevolezza del valore della cultura italiana, il consolidamento della convinzione di successo rispetto allo sviluppo del nostro paese generò non pochi attriti. L’esordio della Società Dante Alighieri, la “esportazione” di Dante come marchio di qualità corrispose con la nascita di un atteggiamento apertamente anti-italiano. In Francia (il “massacro” – otto morti – di Aigues-Mortes nel 1893), in Brasile (1896) e, all’inizio del Novecento, in Austria. Si registrarono episodi di violenza, di “caccia agli italiani” e, ovviamente, quei fatti rafforzarono ulteriormente il senso di appartenenza all’italianità.

Questo il quadro.

Che cosa avvenne a Biella?

L’eco della costituzione della Società Dante Alighieri in Roma nel 1889 arrivò nitida anche nel Biellese. Tant’è che martedì 12 agosto 1890, presso lo Stabilimento idroterapico di Andorno, ebbe luogo in onore della Dante Alighieri un concerto vocale. Era passato solo un anno e da queste parti la Dante Alighieri si meritava già un concerto celebrativo.

Sei anni più tardi, durante la campagna elettorale della primavera del 1895, “il Biellese”, cioè il giornale cattolico, pubblicò questo articoletto: “l'avv. Guelpa si fa promotore qui nel Biellese della Società Dante Alighieri per la diffusione della lingua italiana. Che belle cose eh! Quanto spirito viene nelle elezioni! — Oh, si tornasse davvero alla lingua... e allo spirito del cattolico Dante, e non si vedessero questi nuovi Pilati stendere le mani sacrileghe sul rappresentante di Cristo!”. Ai cattolici la Dante Alighieri non piaceva affatto perché era un’esperienza assolutamente laica. E anche a livello locale ci tenevano a sottolineare che Dante era cattolico e non poteva essere strumentalizzato da chi cattolico non era. Addirittura, il vicepresidente della Dante Alighieri era un ebreo, un ebreo che parlava male l’italiano… Si trattava di Ernesto Nathan, gran maestro della Massoneria, che fu poi sindaco di Roma tra il 1907 e il 1913.

Si intravvede già, anche sui giornali locali biellesi, la “guerra” sull’immagine di Dante.

Comunque, la notizia circa l’intenzione dell’avvocato Luigi Guelpa di fondare a Biella una sezione della Dante Alighieri era vera. Correva il 1895 e, con l’appoggio del sindaco di Biella, Corradino Sella, l’idea divenne quasi un fatto. Anche grazie al supporto di Ruggero Bonghi, che era stato Ministro della Pubblica Istruzione e che in quel 1895 era ancora in carica quale primo presidente della Dante Alighieri.

Certo, Luigi Guelpa aveva finalità elettorali (anche se in quel 1895 fu sconfitto da Federico Garlanda), ma tra lui e la Dante Alighieri esisteva sicuramente una certa affinità di pensiero. Luigi Guelpa (se volete vedere il suo volto andate ai giardini di Biella, lungo via La Marmora verso la Camera del Lavoro c’è un cippo col suo busto in bronzo) era un mazziniano. Il che vuol dire risorgimentale fino al midollo, anticlericale e antimonarchico, con alcuni tratti in comune coi socialisti, ma contrario all’Internazionale, cioè nazionalista. Si potrebbe definirlo un “socialista nazionalista”… e non è un gioco di parole, perché dal socialismo nazionalista si svilupperanno poi gli ideali del nazionalsocialismo (cioè il nazismo) e del fascismo.

Quello dei mazziniani di quel periodo è un profilo ideologico e politico molto interessante da approfondire, anche e soprattutto per l’atteggiamento (interventista) in occasione della Grande Guerra (richiamo, per esempio, la figura di Giuseppe Ubertini da Mezzana Mortigliengo, un vero eroe mazziniano).

Luigi Guelpa non era né fascista né nazista, sia chiaro, anche perché morì nel 1911. Lo ripeto, Luigi Guelpa non ebbe niente a che fare col Fascismo e col Nazismo, e fu uno strenuo difensore degli interessi dei lavoratori e del popolo contro il potere dell’autorità costituita. Fu uomo colto, studioso del Risorgimento e divulgatore di buon livello. E le sue idee sociali e nazionaliste trovarono nella Dante Alighieri un’ottima corrispondenza, tanto che ritenne opportuno stabilire a Biella una sede della società.

Tuttavia, ci vollero altri nove anni per costituire effettivamente detta sede. Sempre l’avvocato Guelpa e sempre Corradino Sella furono i promotori. La sezione biellese era sul punto di nascere nell’autunno del 1902, ma qualcosa ancora non funzionò come doveva... Nel frattempo, in Austria, e più precisamente a Innsbruck, si preparava una clamorosa manifestazione di anti-italianità.

Nel maggio del 1903, nella città tirolese, si verificarono scontri di carattere nazionalista ma di stampo austriaco, provocati da studenti pangermanisti, che si opponevano all’apertura di una facoltà italiana presso l’Università di Innsbruck. Visto dall’Italia si trattava di un atto gravemente lesivo della cultura italiana (e dell’Italia in senso lato), anche e soprattutto perché si stava compiendo in terra asburgica. E quel tipo di atteggiamento provocatorio da parte austriaca, considerando anche il mai sopito, anzi sempre crescente sentimento nazionale e, nello specifico, irredentista, non poteva non suscitare forti reazioni in tutta Italia, Biella inclusa. Domenica 7 giugno 1903 gli studenti biellesi scesero in strada per dimostrare il loro sostegno ai connazionali vessati in Tirolo.

Un professore del Ginnasio, il prof. Regis, e il prof. Personali della Scuola Professionale guidarono gli studenti biellesi che si riunirono in comitato e si diedero da fare per una sottoscrizione a favore della Dante Alighieri che la testata liberale “La Tribuna Biellese” definì “la nobilissima società, presieduta dal senatore Pasquale Villari che ha per scopo di proteggere l’italianità nella lingua e nelle tradizioni, oltre i confini d’Italia”. Sempre secondo “La Tribuna Biellese”, i giovani austriaci erano, pur nell’errore e nella malafede, ben finanziati, ben motivati e ben organizzati. Da loro bisognava prendere esempio e batterli sullo stesso terreno. Quello del nazionalismo. “Quattrini e uomini ci vogliono, intelletti e volontà operose. Noi abbiamo la Società Dante Alighieri, istituita per la difesa e la propagazione della lingua e della cultura italiana fuori del regno; abbiamo quest’Associazione che dovrebbe essere il nucleo e l’esercito della santa guerra presente. Ma poco essa può fare, perchè non è così numerosa e ricca come dovrebbe. Finora gli italiani si son mostrati tardi a comprenderne gli intendimenti, incuranti nel darle la vigoria necessaria a lottare con le potenti Associazioni straniere avverse all’italianità”.

Il contesto stava mutando. A parte il fatto di gettare benzina sul fuoco alla ricerca di un casus belli a tutti i costi, il nome di Dante diventava quello di un testimonial per una causa non più solo culturale, ma ideologica e politica dagli esiti incerti e pericolosi. Nel nome di Dante di cercava di finanziare la resistenza irredentista contro l’Austria. La questione dell’Università di Innsbruck era evidentemente un pretesto per dirottare la situazione verso una qualche collisione.

Nei giorni seguenti, gli austriaci continuarono con le loro azioni intimidatorie e a Biella si tornò sull’argomento con ancora maggior vigore. Sempre da “La Tribuna Biellese”: “Bisogna che la Dante Alighieri associ nel nome del sommo poeta che ‘aspetta a Trento’, come disse il Carducci, [cioè si doveva affermare l’italianità anche nelle terre irredente, n.d.a.] tutti quelli che i fatti di Innsbruck e il contegno del Governo austriaco han commossi di sdegno”. Prima di Oberdan, Sauro e Battisti che verranno con la Prima Guerra Mondiale, il giovane sangue italico doveva avere in Dante Alighieri il simbolo per cui essere versato. Purtroppo, sarebbe stata solo una questione di tempo (dodici anni dopo sarebbe scoppiata la Grande Guerra)… La “Tribuna Biellese” era schierata in prima linea su quel fronte, tanto da offrire gratis i propri mezzi tipografici per far sì che lo spirito biellese conquistasse tutta l’Italia a quella “crociata”. Qualche giorno dopo, il citato senatore Pasquale Villari ricevette da Biella 307 lire di contributo alla causa. Sembrava potesse finire così, ma a Innsbruck la situazione era tutt’altro che stabilizzata. Nell’autunno si registrarono nuovi episodi di intolleranza anti-italiana e in Italia si riaccese l’ira e la riprovazione verso le autorità di Vienna. La solita “Tribuna Biellese”, il 29 novembre, dedicò più colonne alla questione tirolese e ai suoi effetti sulla gioventù nostrana. Nel resto del Regno d’Italia, specialmente nelle città universitarie, si era dato sfogo alla rabbia, ma senza costrutto. “Biella - e lo diciamo con orgoglio - ha dato invece in queste occasioni delle prove indubbie di serietà e di educazione encomiabili. Quando per la prima volta, nel maggio di quest’anno, l’odioso bastone si levava minaccioso contro i nostri studenti ad Innsbruck e per tutta l’Italia passava un fremito di sdegno contro questa barbarie moderna, i nostri studenti biellesi hanno risposto non con chiassose quanto inutili dimostrazioni alla provocazione straniera, ma col fatto, nobilmente e virilmente, hanno dimostrato di conoscere la strada vera che conduca ad una meta positiva, istituendo la Sezione Biellese della Dante Alighieri”. L’idea si era manifestata durante un comizio tenutosi nel giugno 1903 nella palestra della Società Ginnastica “Pietro Micca” e in quei mesi l’entusiasmo non si era affievolito.

Domenica 20 marzo 1904, in un clima un po’ meno rovente (anche se gli scontri a Innsbruck non erano cessati), si inaugurava ufficialmente la sezione biellese del sodalizio carducciano. La cerimonia si svolse al Teatro Sociale, con una conferenza del professor Antonio Fradeletto (che dopo la Grande Guerra sarà Ministro delle Terre Liberate nel Governo Orlando). Presenziò anche Pericle Lanza, presidente della Società Dante Alighieri. Quindi non fu la ragionata propaganda mazziniana dell’avv. Guelpa a imporsi, bensì l’emotività prodotta dai fatti di Innsbruck.

I dieci anni successivi furono più tranquilli. La Dante Alighieri a Biella organizza conferenze e promuove attività culturali senza più insistere sul nazionalismo militante o politico.

Lo scoppio della Grande Guerra chiamò a raccolta anche le forze biellesi della Dante Alighieri. Come prevedibile che fosse, la sezione biellese si attivò per raccogliere fondi nel contesto del comitato locale di resistenza, ma senza iniziative eclatanti.

Un nuovo vigore arrivò con la ricorrenza del centenario dantesco del 1921. Sei secoli dalla morte del sommo poeta spinsero i soci biellesi a dare un segno della propria esistenza. Nel settembre del 1921, la Dante Alighieri di Biella decise di “promuovere una Grande Sottoscrizione Popolare a piccole offerte per raccogliere la somma necessaria ad una targa da apporsi alla tomba di Dante a Ravenna e ad una lapide da murarsi a Biella. Siamo convinti che tutti quanti i Biellesi senza distinzione di partiti sentiranno il dovere di contribuire alla riuscita del nostro progetto”. Morto da dieci anni Luigi Guelpa, il suo testimone era stato raccolto dal professore del liceo cittadino Ruggero Battistella. L’iniziativa non ebbe il successo sperato e non se ne fece nulla.

Il clima era pessimo per esaltare l’unità nazionale e l’italianità: l’Italia, uscita a pezzi dalla guerra, era drammaticamente divisa tra bianchi e rossi, tra reazione e rivoluzione… Con i neri ormai alle porte.

La situazione si ristabilì con l’affermazione del Fascismo e, nel 1923, la Dante Alighieri tornò sul giornale del PNF, “Il Popolo Biellese”, annunciando che “ricorrendo il ventennio della fondazione della Sezione Biellese della «Dante» il Consiglio Direttivo della Sezione che -- è bene si sappia — coi suoi 80 soci perpetui (8 iscritti in questo ultimo-mese) e 400 ordinari è fra le primissime d’Italia e che ha trovato solo ora una degna sede nei -locali delle scuole Tecniche [scuole di San Francesco, n.d.a.], ha deliberato di stampare in unione col solerte sottocomitato studentesco - forte esso pure di 350 soci - un opuscolo di propaganda in cui venga rispecchiata l’opera svolta nel ventennio. Ha deliberato inoltre di indire alcune conferenze sulla nostra emigrazione e sulle nostre Colonie invitando egregi oratorie, primo fra tutti S. E. il Generale Enrico Caviglia che ci auguriamo voglia onorare della sua presenza la nostra città. Possiamo pertanto sin d’ora preannunziare una conferenza di Orazio Pedrazzi”.

La stessa sezione della Dante Alighieri biellese prometteva di organizzare conferenze similari non solo a Biella, ma anche in altre aree del territorio per stimolare la partecipazione di tutti i biellesi e non solo di quelli residenti in città.

Sui due conferenzieri annunciati possiamo dire che Orazio Pedrazzi era un dannunziano di ferro, diplomatico di carriera, politico e giornalista. Sicuramente uno che la realtà degli italiani all’estero la conosceva bene.

Per Enrico Caviglia, invece, dobbiamo dire che dannunziano non era. Militare, Ministro della Guerra, fu il generale che aveva ordinato il bombardamento di Fiume mentre era occupato dai legionari di D’Annunzio. Per essere un ospite tanto atteso dalla Dante Alighieri di Biella è d’uopo rievocare un simpatico episodio che ha a che fare proprio con la lingua italiana… Nell’ultimatum che il generale Caviglia inviò a D’Annunzio chiuso nel palazzo del Governo di Fiume scrisse che, allo scadere di quarantotto ore si imponeva la resa senza condizioni e “chiunque il quale” non si fosse arreso ne avrebbe pagato le conseguenze. D’Annunzio rispose che era sentitamente dispiaciuto, ma che la sua cultura gli impediva di arrendersi a uno che aveva scritto “chiunque il quale…”.

L’avvento del Fascismo coincise, però, con la perdita di forza da parte della Dante Alighieri di Biella. Fu il citato professor Battistella, nel 1933, a rievocare le glorie della sezione biellese. Un breve articolo apparso sulla “Illustrazione Biellese” del 20 marzo 1933 tracciava la storia del trentennio di vita del comitato locale. L’autore del pezzo saltò a piè pari tutta la vicenda di Innsbruck e accennò a mala pena a Guelpa e Sella (che per ovvie ragioni non erano stati fascisti). Fu invece prodigo di buone parole per le azioni di supporto durante la Grande Guerra, specialmente quelle organizzate in ambito studentesco, e sottolineò i buoni rapporti tra la Dante Alighieri locale e il PNF locale. Battistella segnalò la benevolenza del Duce per la Società Nazionale Dante Alighieri (Mussolini l’aveva paragonata idealmente al leone di Traù, simbolo di italianità in Dalmazia, distrutto dal nazionalismo croato nel 1932). Il professor Battistella ricordò anche la pubblicazione dei “Pensieri di Quintino Sella” in occasione del centenario selliano del 1927, voluta dalla Dante Alighieri biellese, così come era stata voluta, nello stesso anno, dalla Dante Alighieri biellese la donazione di cinquecento libri per allestire la biblioteca di bordo del cacciatorpediniere della Regia Marina intitolato a Quintino Sella, entrato in servizio nel 1926 (la nave fu affondata nel 1943, con tutta la sua biblioteca).

Dal 1933 si perdono le tracce della Dante Alighieri biellese.

Come detto all’inizio, la Società Dante Alighieri è tuttora attiva in tutto il mondo, ma l’ultima guerra l’ha fatta scomparire da Biella.

Valeva la pena di dedicarle queste parole, essendo una testimonianza di biellesità che quasi nessuno conosce. La mostra di Giorgio Piccino ha offerto l’opportunità per questa lettura locale dell’immensa realtà cultura costituita da Dante Alighieri.

E a proposito della Società Dante Alighieri, considerando le misere condizioni in cui versa l’italiano da queste parti, forse non sarebbe una cattiva idea quella di riattivare, senza pulsioni nazionalistiche, un presidio d’italianità a Biella o nel Biellese. Grazie.

Persona