La Bürsch di Lorenzo Feraud: idillio ed emigrazione [Eco di Biella, 15 luglio 2024]

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15 Luglio 2024
Il frontespizio del volume di Lorenzo Feraud.
Il frontespizio del volume di Lorenzo Feraud.

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La Bürsch di Lorenzo Feraud: idillio ed emigrazione

 

Il destino dei valìt, dalla Valle Cervo al mondo nel 1882.

 

Uno strano scrittore illustra la vallata da escursionista flaneur.

 

L’emigrazione dura ma premiante di un popolo virtuoso.

 

Domenica prossima, 21 luglio, alle ore 18.00 sarà inaugurata a San Giovanni d’Andorno la mostra “Radici di carta. L’emigrazione dei valìt negli archivi della Valle Cervo” curata dal Centro di Documentazione dell’Alta Valle Cervo – La Bürsch. Si tratta di un percorso di ampio respiro, sviluppato per lo più con immagini, che affronta un tema esteso nel tempo e vasto quanto il mondo. L’allestimento riguarda le testimonianze relativa alla grande esperienza migratoria dei valligiani, ma non solo i picapere dell’Alta Valle Cervo. Oltre ai documenti di Campiglia Cervo, Piedicavallo e Rosazza, infatti, sono inclusi anche quelli di Andorno Micca, Miagliano, Sagliano Micca e Tavigliano (tutti comuni che parteciperanno al Bürsch Festival ormai imminente). Lo spazio espositivo del santuario, cinque luminose sale, è particolarmente adatto a una presentazione di questo tipo, immaginata per evidenziare, per ciascuna delle comunità esaminate, gli aspetti analoghi e quelli per ognuna peculiari, dagli eruditi andornesi del Cinque-Seicento agli anarchici di Sagliano Micca, dagli americani di Piedicavallo e dagli algerini di Tavigliano ai campigliesi che nacquero a Shanghai. La mostra sarà aperta fino al 20 settembre 2024 a ingresso libero.

 

L’epopea dell’emigrazione dei valìt merita di essere raccontata e tramandata come si deve. È stata studiata, e non poco, ma manca una valorizzazione dinamica e sistematica. Qualcosa si sta innescando in questo senso, ma al momento è soltanto un’idea progettuale. Meglio di niente, considerando che il “Museo dell’emigrazione” era già nato nel 1928 (vedi “Eco di Biella” del 21 gennaio 2019) e che in quest’ultimo secolo si sarebbe potuto fare molto, specialmente per non perdere memorie importanti. In ogni caso, qualsiasi forma andrà ad assumere la citata idea progettuale, non si potrà omettere un richiamo al racconto di Lorenzo Feraud pubblicato nel 1882 con il titolo di Da Biella a S. Francisco di California ossia storia di tre valligiani andornini in America. Parentesi e premessa: l’autore rappresenta un piccolo mistero. Non si hanno notizie sul suo conto e quel libro è l’unico che reca il suo nome. Lorenzo Feraud non era uno sprovveduto, il testo è opera di qualcuno che sa come si tiene una penna in mano e questo suggerisce che possa trattarsi di uno pseudonimo. Inoltre, la sua conoscenza della vallata pare non essere posticcia o di seconda mano. Difficile che possa essere un valët sotto mentite spoglie, perché, introducendo alcune pagine sugli abitanti della Valle Cervo l’autore afferma che “la vigilia della festa di S. Giovanni Battista del 1879 io mi trovava a zonzo per Biella che per la prima volta visitava” quindi, a dar credito a queste parole si potrebbe abbozzare il ritratto di un villeggiante. D’altro canto, dal breve romanzo e dalla accuratissima Guida della Valle Superiore d’Andorno, che lo precede con tanto di cartina topografica, si possono cogliere riferimenti a persone e situazioni reali con cui Lorenzo Feraud era in diretto contatto (per esempio il cav. Eugenio Mazzucchetti a proposito dell’impianto della linea telefonica tra Campiglia Cervo e San Giovanni d’Andorno). Per trattare dei valligiani, l’autore inscena (evento accaduto realmente o inventato?) una gita non programmata al santuario della Bürsch. Un prete che aveva premura di salire in valle non aveva trovato una carrozza disponibile e Lorenzo Feraud, che invece aveva in animo di salire a Oropa (ma il suo essere “a zonzo” da vero flaneur non gli imponeva vincoli nella destinazione), aveva deciso di cambiare la sua meta. Il tragitto, che durava tre ore, fa scoprire al viaggiatore tutta la valle, dal ponte della Maddalena alla Curavecchia di Tollegno, poi “eccoci in Andorno, terra rinomata per i suoi bagni idropatici, per le manifatture dei fratelli Poma nel vicino Miagliano dove sono impiegati più di tre mila operai. Miracolo d'industria e di attività”, quindi il monumento a Pietro Micca e la sua casa natale a Sagliano Micca, Passobreve e allora “«Siamo nella vallata più ricca d'Italia» mi disse il buon prete”. Una visita guidata in versione narrativa. Appena varcata la soglia della Bürsch, ecco un primo celebrativo cenno antropologico: “ogni casa che ella vede le può raccontare una sto ria di sofferenze, di dolori, di ostacoli con pazienza perseverante sormontati e vinti; e sovente, anzi il più delle volte, potrà dire che il vincitore soccombette ed altri ora fruisce della sua vittoria. Questi eroi del lavoro e dell'attività sparsi per tutto il mondo, si dànno ai lavori di costruzione di strade, ponti ecc..., e qualora non trovino mezzo d'impiegarsi nella loro professione, si dànno a qualunque altro lavoro, purchè campino. Economi al l'eccesso, non sciupano in bagordi i guadagni fatti, accumulano il più che possono i frutti dei loro sudori e li mandano alle loro famiglie, le quali si trovano così provviste del necessario e non hanno a lottare colla miseria. Sarebbe desiderabile che gli altri operai italiani li imitassero e così invece di dissipare nei giuochi e nel vino il loro salario, la sciando le loro famiglie prive del necessario, cercassero il mezzo di sparagnare su tutto. Purtroppo non è così”. Quanto erano virtuosi quei valìt! E il pistolotto dell’anonimo pievano si concluse così: “L'Andornino sempre vegeto e forte come il granito dei monti su cui nacque, non si ciba che di polenta e pane, raramente beve vino. Eppure resiste alle fatiche più orribili, affronta i climi più disparati e micidiali e coll'unico intento di guadagnare onestamente, di accrescere il suo peculio per procacciare una relativa agiatezza alla propria famiglia, abbandona i suoi più cari, e va a cercare il pane dove si trova, in America, in Africa, dovechessia purchè guadagni. Sia loro onore, e siano mostrati a dito come campioni di onestà, di amore alla famiglia ed alla patria!”. Nel frattempo, erano arrivati nel cuore della Bürsch e l’ignoto don indicò a Lorenzo Feraud tutte le borgate. Infine, lo raccomandò al rettore di San Giovanni d’Andorno. “Non un accattone venne per istrada a stenderci la mano, dappertutto osservai un benessere che mi consolò. Le case che incontrai per via, ben costrutte, piccole se si vuole ma linde, mostrano l'agiatezza dei felici abitanti. «Ecco risolto il gran problema sociale», disse il prete, «lavoro, economia e religione»”. C’era anche un po’ di anarchismo, socialismo e massoneria, ma Lorenzo Feraud tralasciò i dettagli. Descrisse, al contrario, l’aspetto degli abitanti dell’Alta Valle Cervo, “vestiti coi loro abiti più belli, alla cittadina e le donne coi loro costumi pittoreschi che le fanno sì vaghe”, risalivano verso il loro santuario in vista della festa. L’autore compì un giro fuori e dentro il santuario, dove trovò comodo alloggio prenotando un mese di soggiorno. Il giorno seguente raggiunse Rosazza e fu quella l’occasione per esaltare Federico (Rosazza Pistolet) il Grande e per riflettere sul valore della vera istruzione, che della Bürsch era un fiore all’occhiello. Lorenzo Feraud si espose con un pensiero suo personale in merito. “Checché se ne dica di me e di questo povero mio scritto, io son di parere esser migliore l'ignoranza ad una povera istruzione, perchè negli infarinati appunto che hanno perduta la fede e la speranza in una vita avvenire, che li avrebbe confortati a sopportare il loro stato, abbiamo i turbolenti, i socialisti, i canaglia”. E non poteva difettare, sempre in ottica sociologica sulla natura del valligiano tipo, un riferimento toponomastico: “Uno è solidario dell'altro e la parola Bürscia, barbaro vocabolo che lor viene, se non erro, corrotto dal tedesco in cui vuol dire borsa, significa per i Valit e la valle andornina e la reciproca loro solidarietà”. Tali ragionamenti misero sete al turista che prese posto al Caffè Gragliasca (già aperto allora!) per un rinfrancante bicchiere di cervogia. Altro incontro, altra visita guidata. Prima a Rosazza, poi a Piedicavallo e Montesinaro. Altri elogi, con nomi e cognomi dei “Cresi” della valle, così generosi filantropi e così attenti al decoro delle loro borgate. Campiglia Cervo, infine, definita la “Atene della vallata”. Solo meraviglie. E quanto amore tra la gente. “Mi piace questa fratellanza. La vallata andornina non sarà mai socialista, in essa si ama il la voro e la distanza tra l'operaio ed il ricco si rende meno grande per la famigliarità”. Lorenzo Feraud scarpinò su ogni sentiero della banda sulìa come di quella veja. A Gliondini, il villaggio dei “gelati”, vide, “in fondo al villaggio, vicino ad un torrentaccio che infrange le sue poche e limpide acque sui sassi del sottoposto burrone, uno scalpellino lavorava attorno ad una vasca di granito”. Dalle altre pagine si colgono altri percorsi in varie zone della Bürsch. A Oriomosso, “che mi piacque assai e più d'ogni altro villaggio della valle”, rievocò gli incontri avvenuti a Torino con gente del posto. Il camposanto di Riabella non gli fece una bella impressione: “un orribile cimitero da parer piuttosto il luogo dove si gettano i cani, che il camposanto di cristiani”. Dopo tanti giri, durante la sua amena permanenza Lorenzo Feraud ebbe modo, a San Giovanni d’Andorno, di incontrare di nuovo il prete che lo aveva introdotto nella Valle Cervo. Il sacerdote gli consegnò un quaderno. “Diedi un'occhiata al volume donatomi, l'apersi, era scritto in caratteri minutissimi e chiari. Ecco quello che vi lessi: «Da Biella a S. Francisco di California»”. Ecco dunque spiegata l’origine del racconto. Che si tratti dello svolgimento reale degli avvenimenti o di un artificio letterario, il romanzo di per sé non sarebbe opera di Lorenzo Feraud, ma di un sacerdote senza nome. Dunque, da un manoscritto, affermerebbe il Manzoni… Alla prossima settimana per scoprirlo.

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