Tre valìt a New York, poi a Chicago e a San Francisco [Eco di Biella, 22 luglio 2024]

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Data cronica
22 Luglio 2024
Uno dei paquebot a propulsione mista utilizzati nei viaggi transatlantici degli anni Settanta dell’Ottocento. Il “Voltaire”, ammesso che sia realmente esistito un transatlantico con questo nome, doveva assomigliare a questa imbarcazione.
Uno dei paquebot a propulsione mista utilizzati nei viaggi transatlantici degli anni Settanta dell’Ottocento. Il “Voltaire”, ammesso che sia realmente esistito un transatlantico con questo nome, doveva assomigliare a questa imbarcazione.

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articolo di giornale

Contenuto

Tre valìt a New York, poi a Chicago e a San Francisco

 

La New York degli emigrati prima che nascesse Ellis Island.

 

Le vicende da romanzo di tre forgnenghesi senza paura.

 

La California dei cinesi, una scazzottata e un ritorno dolceamaro.

 

Ieri a San Giovanni d’Andorno si è inaugurata la mostra “Radici di carta. L’emigrazione dei valìt negli archivi della Valle Cervo” curata dal Centro di Documentazione dell’Alta Valle Cervo – La Bürsch. I giacimenti archivistici della vallata, pubblici e privati, comunali e parrocchiali, hanno molto da offrire dal punto di vista della ricerca storica che, già prima d’ora, è stata affrontata da chi conosceva profondamente la Bürsch, a partire da Remo Valz Blin, cui è succeduto il figlio Gianni. Ma l’attenzione per il complesso e sfaccettato fenomeno migratorio dell’Alta Valle Cervo ha, è il caso di dirlo, radici ancora più profonde. Il 21 gennaio 2019, su queste pagine, si rievocava il “Museo dell’emigrazione” che, nel 1928-1929 fu aperto proprio a San Giovanni d’Andorno per volontà di quell’erudito che fu il rosazzese Mario Rosazza Bertina (Rosazza, 7 luglio 1883 - Chiavazza, 29 gennaio 1950). Ebbe vita breve, più che altro per disinteresse degli stessi valìt, ma oggi i tempi sono di nuovo maturi per riprovarci, tanto più che oggi l’Alta Valle Cervo sta sperimentando un inedito quanto prezioso processo immigratorio che va vissuto con la consapevolezza della propria identità.

 

Dunque, da un manoscritto, affermerebbe il Manzoni… La scorsa settimana si sfogliava il piccolo tomo di Lorenzo Feaud Da Biella a S. Francisco di California ossia storia di tre valligiani andornini in America. Alla fine del libro si legge: “Ecco quel che lessi in quel manoscritto regalatomi dal buon prete, e credetti bene di farlo pubblicare. La storia che in esso venne narrata, se non in tutto, almeno nell'essenziale, è vera. Molti valligiani coi quali io aveva fatto conoscenza mi narrarono i patimenti sofferti all'estero, i disinganni amari, le disgrazie, cose orribili che avrebbero fatto smarrir d'animo altri che non avessero il carattere fermo che hanno essi. Io non pretendo a merito letterario, ma se questo racconto in cui in tre individui è riassunta direi quasi la storia di tutti questi alpigiani, e son descritti i loro semplici costumi, può giovare ad eccitare nell'operaio mio fratello la volontà d'imitarli nella costanza, nel coraggio, nell'economia e nell'attività, io mi dichiaro soddisfatto del poco di bene che posso recargli, e ne do merito a Dio. Torino, 20 aprile 1882”. Come promesso lunedì scorso, ecco svelata l’origine di quelle ottanta paginette. Ma al di là di questa precisazione e di questa dichiarazione d’intenti, che cosa tramanda il lungo racconto pubblicato da Lorenzo Feraud? Tre valìt, Giovanni, Giuseppe e Antonio, che era già stato in Algeria, Francia e Spagna, decidono di partire per l’America. Abitano a “Forg…” (cioè Forgnengo) e lasciano a casa chi una famiglia, chi una fidanzata promessa sposa. L’anno del viaggio dovrebbe essere il 1872. Non è esplicitata dall’autore, ma la data è approssimabile attraverso alcuni indizi lasciati qua e là nel testo. Viaggiano da Torino a Le Havre da cui si imbarcano sul “Voltaire” alla volta di New York. Si legge nel libro una delle varie riflessioni sull’esperienza vissuta da Antonio, Giovanni e Giuseppe: “La loro meta era l'America, là solo essi si ripromettevano di chiamarsi felici, di stare senza disagio. Pel Biellese e più per il valligiano andornino è seconda patria il paese dove trova lavoro da potere non solo vivacchiare come si direbbe, ma fare risparmi per la vecchiaia e pei figli. Non lo spaventa né il clima tropicale o rigido, né l'aria pestilenziale delle paludi. Così a tutto apparecchiato, saldo nella fede dei suoi padri, valica i mari, affronta i pericoli, nulla lo spaventa; lo spronano e la felicità che vuole procacciare a quelli che lascia a casa, e l'onore del paese natio. Quando ricco od almeno agiato, dopo anni ed anni di stenti e di fatiche seppe crearsi uno stato che molti invidiano, ma pochi son capaci di crearsi, allora ritorna a' suoi monti, malaticcio, affranto, e se non può godere molto delle ricchezze acquistate, nondimeno muore contento di avere procacciata la felicità della propria famiglia, di aver fatto il suo dovere, e più ancora perché le sue ossa riposeranno sotto le medesime zolle che ricoprono i suoi padri, all'ombra della medesima croce. Che uomini! Dio buono, ne avesse almeno assai la nostra cara patria!”. Entrarono negli USA, ma non passarono per Ellis Island, perché allora non esisteva ancora, bensì per il Castle Garden Immigration Depot di Manhattan. I forgnenghesi erano muratori e scalpellini, ma per loro, nell’immediato, non c’era lavoro. Si dovettero adattare a fare i camerieri. Nelle ore libere visitavano la città, stupendosi della sua grandezza, dell’emancipazione delle donne e della presenza autorevole e rassicurante dei police-man. Una estesa digressione antropologia e sociologica dell’autore porta a una svolta della narrazione. “Tonio” decide di tentare la sorte altrove e lascia i due conterranei per raggiungere Chicago. La loro separazione durerà a lungo. Nel frattempo, Giovanni e Giuseppe riescono a trovare impiego nell’edilizia e guadagnano bene, risparmiando oculatamente per poter tornare a casa, se non da ricchi, almeno da benestanti. Purtroppo per loro, un gruppo di italiani che avevano abitudini ben diverse (attaccabrighe, beoni e perdigiorno), li deruba di tutti i risparmi: duemila dollari spariti! Un duro colpo anche per i loro cari rimasti al villaggio. Saputo del furto, la madre di Giovanni si ammalò e morì. La vita era grama anche per chi restava, specie per le donne. Ecco il bozzetto di Lorenzo Feraud dedicato alle valëtte: “immaginatevi di andare su pel monte, là dove più pericolosa è la salita, e sotto s'apre a perpendicolo un precipizio, vero baratro che può ingoiarvi per sempre e lassù, dove appena i camosci posano lo snello loro piede, andare a strappare un pugno d'erba, che spesso si paga colla vita; e quando ne hanno un buon carico sulle spalle, scendere giù per luoghi non segnati da sentieri, appoggiandosi ad un semplice bastoncello con pericolo di capitombolare nei burroni ad ogni momento”. Passando il tempo, i due valìt si rimettono in sesto e ricostituiscono un discreto gruzzoletto. Lo depositano oculatamente in una banca, ma quella banca fallisce e a quel punto la disgrazia appare irreversibile. Ma ecco che i miti valligiani stabiliscono di rischiare il tutto per tutto. Pistola in pugno si presentano a casa del direttore della banca e lo minacciano di morte se non li avesse risarciti. Cosa che avviene, ma è un gesto del quale Giovanni e Giuseppe non vanno affatto fieri. La trama si infittisce quando Cecilia, una stiratrice che vive nella loro stessa locanda, si invaghisce di Giuseppe. Quest’ultimo, però, tiene fede alla parola data a Luisa, che lo attendeva a “P” (ovvero a Piaro). Nuovo colpo di scena: le elezioni presidenziali del 1876. Il repubblicano Hayes sfida (e vince) il democratico Tilden. La città è paralizzata dai comizi, i cantieri sono fermi, la tensione che si percepisce sulle strade non piace ai due protagonisti. Una lettera di Antonio li fa decidere. A Chicago si viveva bene e ancora meglio si doveva stare in California. Se si fossero ritrovati avrebbero attraversato il continente insieme fino al Pacifico. Si riabbracciano dopo quattro anni. Le pagine di Lorenzo Feraud corrono veloci, ma il tempo corre di più. I tre valìt sono negli USA ormai da un lustro, ma non è ancora l’ora del ritorno. Quindi un altro viaggio, che allontana ancora da casa, questa volta in treno. La California e, nello specifico, San Francisco si dimostrano sorprendenti. Per certi versi ancora “selvaggio West” eppure già così cosmopolite. Gli emigranti campigliesi non si capacitano di quanti cinesi si trovano da quelle parti. Ed è proprio con quegli altri emigranti provenienti dal Celeste Impero che iniziano a lavorare. Costruiscono e manutengono le enormi fogne della città. Un lavoro certo non pulito, ma gratificato da buoni guadagni. La gente di “Frisco” è rozza e strana. In un saloon c’è chi fa lo spiritoso con Antonio, Giovanni e Giuseppe, dando loro degli “italiani-suonatori d’organetto-con la scimmia”, ma chi li apostrofa così non sa con chi ha a che fare. Una scazzottata da film e… Tutti amici. Gente rozza e strana che capisce solo la lingua dei pugni. Da quel momento, massimo rispetto per i tre valìt. Ma quell’episodio fa loro capire che l’America aveva dato quello che aveva da dare. Non era più il posto giusto, bisognava rifare il sentiero all’inverso e rientrare. Purtroppo, Giovanni si ammala e ha giusto il fiato di farsi assicurare che i suoi soldi sarebbero arrivati alla sua vedova. Intanto, nella Bürsch, Luisa non ha avuto la stessa costanza di Giuseppe. Accetta la proposta di matrimonio di Lodovico e tutto è pronto per le nozze quando in paese si sparge la voce che chi era partito stava tornando. Il giorno della cerimonia, ovviamente, Giuseppe e Antonio si presentano a Campiglia Cervo, provati dal viaggio, ma soddisfatti per i risultati raggiunti. Tutta la vallata teme chissà quale scandalo, ma il fidanzato tradito si dimostra superiore al tradimento e alla traditrice. Troverà di meglio. Antonio, invece, potrà godersi l’ultima grande fatica della sua vita con la moglie e i figli. E la moglie e di figli del povero Giovanni avranno la loro parte fino all’ultimo centesimo. Storia dolceamara, ma quanto mai veritiera. Cose, quelle genuinamente scritte da Lorenzo Feraud (o da quel prete senza nome che gli aveva passato il manoscritto), che succedevano davvero ai valìt che emigravano e che, quando potevano, riuscivano a ritrovare la strada di casa. Ci voleva un mestiere per partire, come ha scritto Patrizia Audenino e occorreva sapere la strada per arrivare laggiù, ovunque fosse, ma ci voleva anche la forza e il modo per tornare.

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