Lapide tombale del sepolcro interno all'oratorio di Riabella

Tipologia Oggetto
Data cronica
27 febbraio 1790
[VUOTO]

Numerazione provvisoria

N. provvisorio
55

Descrizione fisica

Si riporta qui di seguito il testo integrale del breve saggio firmato da Marco Amosso apparso sul "Notiziario 2018" (n° 56) edito dalla Pro Loco di Riabella - Circolo Riablët [copia recuperata grazie a Maria Martinazzo]

DOM

D EUSEBIO PATRONO

INPMIA SE JACTI LAPIDIS

III KA MAR MDCCXC

BARNABAS TEMPIA P ET V F

MONIMENT POSUIT

 

Per tradurre il testo sopra riportato della lapide esposta all'esterno del transetto destro della chiesa di Sant'Eusebio a Riabella e conoscere il luogo ove originariamente era collocata bisogna ripercorrere la storia della frazione tra la fine del Settecento e l’inizio dell'Ottocento. La lapide reca la data del 27 febbraio 1790 e un nome: Barnaba Tempia. Questi fu parroco di Campiglia dal 1776 al 1807 con competenza sulla chiesa di Riabella, che sarebbe diventata parrocchia autonoma solo nel 1846. Scrisse alcuni libretti, oggi introvabili, di religione. Morì il 9 agosto 1807. Le sue spoglie riposano sotto il sagrato cubettato antistante la chiesa parrocchiale di Campiglia. Una pietra appena sbozzata a circa un metro dall'angolo destro della chiesa (guardando la facciata) indica ancora oggi il punto esatto; erroneamente riporta però il 7 agosto come data di morte. Riabella non aveva all'epoca un cimitero frazionale (il primo sarebbe stato benedetto in regione Brüscinere solo nel 1833; rivelatosi in seguito troppo angusto, nel 1857 sarebbe poi stato sostituito da quello attuale, a sua volta ampliato nella seconda metà del Novecento). Prima del 1833 i defunti a Riabella, per avere cristiana sepoltura, erano trasportati per una disagevole mulattiera - specie in inverno con neve e ghiaccio - fino a Campiglia. Il Tempia, attento alle esigenze dei fedeli, fece aprire un sepolcro comune nel pavimento della chiesa di Sant'Eusebio. La lapide era il “tombino” (o copertura superiore) della fossa comunitaria.

Ritengo che la lapide fosse posta all'interno della chiesa per la riportata dedicazione “DOM D Eusebio Patrono”, che non rende possibile la collocazione all'esterno, per il fatto che un cimitero non è mai dedicato a un santo e tanto meno a Dio. Per tutto il Settecento le inumazioni erano all'interno delle chiese o - in mancanza di spazio - nelle immediate pertinenze custodite: chiostro, pronao, vestibolo, ... che a Riabella però non esistono. Le sepolture avvenivano per lo più in forma semplice: il defunto, avvolto in un lenzuolo, veniva introdotto in chiesa su una barella e dopo la celebrazione religiosa era calato (senza cassa) nella fossa comune. Non esistevano i cimiteri come li intendiamo noi oggi. Solo i personaggi illustri avevano loculi individuali (sempre in chiesa). Nei primi decenni dell'Ottocento, sotto l'influsso della più avanzata legislazione napoleonica, si iniziò a tumulare i defunti singolarmente, con l'interramento fuori dai centri abitati. Ecco alcune prove che la lapide fosse adibita a chiusura della fossa comune:

- la parola “IACTI” (dal verbo iacio) significa “gettato, posato in terra”;

- la dimensione della lapide (54 x 56 cm) è la misura “standard” per le fosse mortuarie. Identico formato hanno per esempio le coperture delle fosse ancora visibili nel pavimento della chiesa di San Sebastiano a Biella e ugual misura ha la fossa ossea ancora oggi esistente nel cimitero di Riabella, parte vecchia, camminamento centrale.

- lo spessore della lapide (oltre 5 cm) rivela che non doveva rompersi se calpestata; - i due fori posti in posizione mediana, al lato destro e sinistro della lapide, indicano che questa veniva sollevata con una certa frequenza tramite corte aste metalliche, infilate una per foro, con capocchie a entrambe le estremità;

- i due angoli superiori smussati erano funzionali alla introduzione di una leva per dissigillare il tombino (senza sbeccare lo spigolo vivo) che, tra un funerale e l'altro, veniva appena incollato al pavimento, per evitare odori sgradevoli.

È possibile che la fossa sia stata interrata e la lapide rimossa tra il 1862 e il 1874, in occasione del rifacimento della chiesa. Custodita nei locali della parrocchia per oltre un secolo, una quindicina di anni fa la lapide fu murata dove si trova tuttora.

Incerta è la traduzione della prima parola del testo: “INPMIA SE”. Si tratta di una crasi (due o più parole, indicate con le sole iniziali, che formano una nuova unica parola) come suggerisce il trattino scolpito sopra la P e la M. Più interpretazioni sono possibili.

Quella che mi sembra consona è: “IN Pace Mortuis IAcentibus SEmpiterna”, cioé: “per i defunti che riposano nella pace eterna”. La trascrizione della lapide, senza le abbreviazioni, potrebbe dunque essere la seguente:

D[EO] O[PTIMO] M[AXIMO] / D[IVO] EUSEBIO PATRONO / IN P[ACE] M[ORTUIS] IA [CENTIBUS] SE[MPITERNA] JACTI LAPIDIS / III KA[LENDAS] MAR[TIAS] MDCCXC / BARNABAS TEMPIA P[RESBYTER]* ET V[ICARIUS] F[ORANEUS]** / MONIMENT[UM] POSUIT

E questa la traduzione:

A Dio Ottimo Massimo. Al Patrono sant'Eusebio. Il 27 febbraio 1790 Barnaba Tempia, sacerdote e vicario foraneo, fece costruire in pietra un sepolcro interrato per i defunti che riposano nella eterna pace.

 

* In alternativa prior o, meno probabile perché disusato, parochus.

** Delegato (vicarius) del Vescovo di Biella per le parti più remote (foraneus, cioé “che è fuori dalla città”) della Diocesi con le facoltà previste dall'art. 553 e ss. del codice di diritto canonico.

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