Giovanni Edelmann, il “dimenticato” del Rifugio Rivetti [Eco di Biella, 23 giugno 2025]

Tipologia Documento
Data cronica
23 giugno 2025
Giovanni Edelmann nel ritratto pubblicato in prima pagina sulla “Gazzetta di Biella” del 4 gennaio 1912.
Giovanni Edelmann nel ritratto pubblicato in prima pagina sulla “Gazzetta di Biella” del 4 gennaio 1912.

Tipologia

articolo di giornale

Contenuto

Giovanni Edelmann, il “dimenticato” del Rifugio Rivetti

 

L’elvetico Edelmann, compagno di sventura, non merita l’oblio.

 

Rappresentante tessile, nato a San Gallo, era un alpinista esperto.

 

A Biella dal 1907, nel 1911 era già un protagonista nel nostrano CAI.

 

L’idea di costruire il rifugio della “Grande Mologna” era già quasi un progetto quando, il 24 dicembre 1911, Alfredo Rivetti e Giovanni Edelmann morirono sotto una valanga. Fin dal 1908, in seno al CAI di Biella, si discuteva di quella iniziativa e, a mezzo stampa (vedi “La Tribuna Biellese” dell’11 gennaio 1912), si arrivò a dire che, se quel rifugio fosse già stato costruito, i due vi avrebbero trovato riparo e non sarebbero stati sepolti dalla neve. La loro morte diede vita alla realizzazione di quel progetto che, in origine, prevedeva l’edificazione del rifugio al colle e non nella posizione attuale. In ogni caso, il bivacco avrebbe dovuto assumere la denominazione di “Capanna Edelmann e Alfredo Rivetti” (vedi ancora “La Tribuna Biellese” dell’11 gennaio 1912). L’inaugurazione del rifugio, avvenuta poi nel 1921 (nel decennio intercorso ci fu, tra l’altro, la Grande Guerra), fece inspiegabilmente obliare Giovanni Edelmann, tant’è che la struttura è intitolata da sempre e tuttora al solo Alfredo Rivetti. Forse il cognome “crucco” non era più gradito dopo il conflitto appena concluso? O, forse, i Rivetti non vollero “mischiare” il ricordo del loro morto con quello di un forestiero ben meno rilevante nel contesto socio-economico di riferimento? Eppure, il tragico destino li aveva accomunati… Viene a questo punto spontaneo chiedersi chi fosse quel Giovanni Edelmann. Le informazioni a suo riguardo non sono molte, ma sufficienti per tracciare un profilo biografico minimo, utile a riconsegnarlo al ricordo che gli compete. Giovanni Edelmann, di natali elvetici, era già nel Biellese nell’estate del 1907. Il 2 luglio di quell’anno, infatti, aveva costituito una società in nome collettivo con Maurizio Sella (anche per conto della ditta Francesco Sella di Cossato) ed Evasio Porrino. Scopo del sodalizio era “la rappresentanza di case estere per lo smercio di oggetti di lana, cotoni e simili, con sede Biella, succursale a Cossato”. La società non durò molto. Fu sciolta il 20 gennaio 1908. Il 14 marzo 1910, però, Giovanni Edelmann si impegnò in un’altra impresa, la “G. Edelmann” s.a.s. con un unico socio, il ragionier Alcide Gilardi Magnan. La ditta aveva per finalità le “rappresentanze commerciali di lane e cotoni ed altri articoli inerenti alla fabbricazione di pannilana". Il Gilardi Magnan, valèt residente a Chiavazza, era un giovane ragioniere (classe 1888) all’epoca molto attivo nell’ambito della associazione culturale “Dante Alighieri” che divenne poi maggiore del Regio Esercito e morirà nel 1953. Giovanni Edelmann, figlio di Gioacchino (Johann figlio di Joachim, per citare i nomi alla tedesca) era nato a San Gallo. Quando la valanga lo travolse aveva trentadue anni (o trentatré, a seconda delle fonti). Nove in più del compagno di sventura Alfredo Rivetti. I giornali ne esaltarono la figura di esperto alpinista e, quasi, di eroe romantico delle ascensioni montane. Le cime dei monti gli erano familiari fin dalla più tenera età. Aveva “il vero fisico, la vera tempra dell’alpinista, che i colleghi ammiravano. Aveva affrontati i pericoli più terribili: fino a pochi giorni fa lo si sarebbe detto invincibile. Nei monti italiani aveva fatto assai in compagnia dei Piacenza e, da ultimo, del povero Alfredo Rivetti. Col Cervino tutti i maggiori colossi alpini erano stati da lui calcati”. In poco tempo aveva saputo cattivarsi l’amicizia e la stima dell’elitaria congrega del CAI, assumendo all’interno del club ruoli organizzativi e di responsabilità. In particolare, a Giovanni Edelmann, insieme ad altri soci di fidata esperienza, si doveva occupare delle gite sociali (cioè scalate di una certa difficoltà), come quella sul gruppo del Rosa (Monte Gastore-Gornergrat-Zermatt) indetta per il 16 luglio 1910 con partenza dall’Hotel Miravalle (Busca e Thedy) di Gressoney-la-Trinité. Un mese dopo, Giovanni Edelmann con Alfredo Rivetti, due guide e un portatore conquistarono la vetta della Grivola (che sfiora i quattromila metri). “Nella faticosa impresa gli alpinisti passarono proprio in quel luogo che fu fatale, poco più d’una settimana fa, ai poveri giovani figli del generale Segato”. Figli di Luigi Segato, pezzo grosso delle gerarchie militari di allora, Enrico e Girolamo, trentotto anni in due, erano caduti dalla cima della montagna valdostana. Edelmann e Rivetti se la cavarono senza un graffio. Dal tono dell’articolo che ne esaltava l’impresa si evince come l’alpinismo fosse un campo di prova tra i più apprezzati in un contesto antropologico che premiava, come mai prima, l’ardimento e l’estremismo nelle sfide alla natura. Nelle riunioni del CAI (come quella di Campiglia Cervo, presso l’Albergo Jacazio, del 5 giugno 1910), le gesta di giovani dell’alta e buona borghesia industriale, così indomiti eppure così savi da saper affrontare e vincere i duelli delle cime, erano portate a esempio da emulare e costituivano il maggior lustro per il club. Il 24 giugno 1911, Giovanni Edelmann ebbe un incidente stradale nel cuore di Biella. L’automobile, nuova, dello svizzero, urtò con violenza contro quella del servizio postale di Pollone, tra il viale Regina Margherita e via Vittorio Emanuele II (gli odierni viale Matteotti e via della Repubblica). Forse, la futura vittima della Mologna andava veloce alla guida…, chissà? Lo si può pensare adrenalinico e impavido, amante del pericolo anche al volante? Non si può dire e, così, si corre il rischio di farne un personaggio ancora di più di quel che probabilmente fu in realtà. Basta immaginarne la “bella figura, alto, dall’occhio sicuro e dal cuore intrepido”. Certo che considerando il prosaico mestiere del rappresentante, con l’ufficio in via XX Settembre, ne offusca un po’ i contorni del prode conquistatore di vette. Per quanto, leggenda vuole che il vecchio Joachim Edelmann, messo al corrente della disgrazia, abbia telegrafato un “impossibile, mio figlio è troppo prudente”. Ma Giovanni Edelmann, da alpinista, aveva già visto la morte in faccia più di una volta e la prudenza è vera solo per chi non tenta e per chi scampa, per il resto è soltanto la sorte ad avere l’ultima parola. E di prudenti son piene le fosse, o gli abissi blu dei ghiacciai, le basi delle pareti e le cenge divenuti ultimi rifugi. Alla metà di dicembre del 1908, un gruppo di alpinisti composto dai vari Bozzalla, Piacenza, Poma lo stesso Edelmann e Achille Penna, attaccò il Mucrone in una invernale impegnativa ma non complicata. Il commerciante Penna (che morirà trentaduenne di tifo nel 1916) scivolò in un canalone sopra il lago e si fermò solo dopo duecento metri. Temendo il peggio, i compagni di scalata lo raggiunsero e lo portarono in salvo con qualche frattura. Nel complesso, poco male, ma quell’evento insegnava e insegna ancora oggi come le nostre montagne non siano meno “serie” di altre, magari più elevate. Purtroppo, la valanga di Natale del 1911 non fu né la prima né l’ultima sciagura delle Alpi del Biellese. A maggior ragione si deve ascoltare la voce di monito anche di Giovanni Edelmann e non farla tacere al suono di quella di Alfredo Rivetti. Chi assistette al recupero delle spoglie scrisse che “furono sepolti dalla neve a un metro di distanza l'uno dall’altro. Rimossa la salma di Alfredo Rivetti, a 1 metro e 60 centimetri sotto la neve fu rinvenuto Giovanni Edelmann. Anch’egli aveva la faccia composta e tranquilla. La morte dovette essere per entrambi, quasi istantanea, senza sofferenze. L'Edelmann aveva uno sky in un piede. L'Alfredo Rivetti già se li era levati. Quando camminavano dovettero aver caldo perchè erano colla giacca sbottonata, col petto scoperto”. Non potevano essere più “insieme” e insieme vanno ricordati. Lo fecero subito, sui giornali, anche due poeti che composero versi semplici, ma sinceri che li rimpiangono uniti. Uno giace a Oropa, nella monumentale tomba dei Rivetti, l’altro a Piedicavallo in più discreto avello (una colonna mozza, miglior simbolo di una vita spezzata). Nelle rime si parlano, seppure divisi nelle sepolture in due vallate diverse, ma per sempre fratelli, amanti audaci della neve traditrice.

altro