Appunti sull'Archivio Storico di San Giovanni d'Andorno

Tipologia Documento
Data cronica
giugno 2012
L'archivio di San Giovanni d'Andorno
[foto Danilo Craveia, 21 luglio 2012]
L'archivio di San Giovanni d'Andorno [foto Danilo Craveia, 21 luglio 2012]

Contenuto

di Danilo Craveia
La Voce di San Giovanni, Bollettino di San Giovanni, giugno 2012

 

Spesso si tende a dimenticare che le “officine” delle discipline storiografiche, ossia gli archivi, hanno una storia propria. Le vicende degli archivi si intersecano con quelle delle realtà che li hanno prodotti, ma le antiche carte mostrano anche di avere un loro destino “indipendente”. Una storia nella storia che a San Giovanni d’Andorno ha lasciato alcune tracce interessanti. Essendo ormai prossima la conclusione delle operazioni di riordino dell’Archivio Storico del santuario (l’inventario è già stato ultimato, si tratta di completare l’etichettatura e l’ordinamento fisico dei 1437 fascicoli, suddivisi in 8 categorie, 32 serie e 46 sottoserie), ecco qualche appunto su come quei documenti si siano “mossi” nei tempi passati.

La necessità di avere gli incartamenti in ordine si è fatta sentite in tutte le epoche, ma si trattava quasi sempre di un bisogno che si avvertiva come effetto provocato (e ritardato) da un qualche evento specifico, spesso di qualche importanza per l’amministrazione dell’ente. E’ un fatto che si sottovaluta sempre, ma periodicamente, per una ragione o per l’altra, si deve tornare in archivio a cercare risposte che sarebbero più facili da trovare se tutto fosse in ordine o quasi. Il Santuario di San Giovanni d’Andorno non fa eccezione. Sulle filze più antiche si riscontrano le segnature archivistiche di inventari e di riordinamenti ormai dimenticati e superati da nuove inventariazioni. Forse già nel Settecento qualcuno si prese la briga di assegnare una semplice sequenza numerica ai plichi e ai registri, ma per poter notare le “impronte digitali” di un archivista o di qualcuno che si sia applicato per sistemare l’archivio è necessario addentrarsi nel XIX secolo. Gli strascichi della burrasca napoleonica si fecero sentire per anni e dopo l’intervento di mons. Bollati, vescovo di Biella, del 1825 atto a stabilire e a regolare un consiglio di amministrazione a cinque membri (composto dai sindaci delle quattro comunità della Bürsch e presieduto dal parroco di Campiglia Cervo), si arrivò al 1846 quando per San Giovanni d’Andorno si registrò la fine di un lungo contenzioso amministrativo che servì a determinare le prerogative del governo del santuario. Non è un caso che il 22 gennaio 1847 don Domenico Cerruti, parroco di Campiglia Cervo e presidente di San Giovanni d’Andorno, compì una “ricognizione delle scritture e titoli esistenti nell'archivio del Santuario di S. Giovanni Battista di questa valle”. Lo spoglio dei documenti, durante il quale don Cerruti ebbe modo di segnalare quelli mancanti, era in realtà l’aggiornamento di quello effettuato il 28 settembre 1841.

Nel 1869 la laicizzazione del Regno d’Italia aveva risalito la vallata e San Giovanni d’Andorno si trovò a dover ridefinire la sua stessa natura rivalutando la propria origine di “opera pia” per far soccombere le istanze di coloro che lo volevano ab antiquo un ente ecclesiastico. Passò la linea dello “Ospizio” o della “Opera Pia Laicale” con cui enfatizzare il ruolo centrale delle scuole pubbliche volute dal benefattore Accati nel XVIII secolo. Le tensioni e le incertezze di quel periodo fruttarono per l’archivio una nuova campagna di catalogazione. Su alcune delle “camicie” (le cartelline, in gergo professionale) originali si incontrano le segnature di quella riorganizzazione sotto forma di un numero seguito da un “/1870”. Tutto qui.

Passarono dodici anni e la questione si ripropose, ma in termini più estesi. Si trattava di compilare un inventario di tutti i beni mobili presenti nell’ospizio. Un obbiettivo non agevole che si assunse Giovanni Peraldo, uno degli amministratori. Il corposo documento reca la data 15 giugno 1882 e riguarda tutto il complesso, cimitero incluso. Il Peraldo si occupò anche della biblioteca e, naturalmente, dell’archivio. La tecnica non è molto dissimile da quella adottata nel 1870. In effetti i codici numerici cambiano, ma le segnature sono identiche: “…/1882”. Confrontando la grafia si potrebbe addirittura ipotizzare che quelle iscrizioni siano della stessa mano, quella del volenteroso Peraldo.

Nel 1892, precisamente il 7 febbraio, ecco un altro tentativo, ovvero un "Elenco dei documenti, carte e titoli relativi ai singoli elementi che compongono il patrimonio dell'Opera Pia" che appare come una sorta di inventario sintetico dei documenti relativi alla situazione e alla condizione giuridica dei beni di San Giovanni d’Andorno. In verità è davvero un banale elenco che non muta in alcun modo lo stato delle cose.

Lo stesso accade nel 1908, il 9 agosto. Si produce un "Inventario delle carte esistenti nell'archivio dell'Ospizio e Scuole di San Giovanni". Ma anche questo inventario non è altro che una lista codificata. L’archivio avrebbe avuto bisogno di un vigoroso repulisti perché i documenti continuavano a essere prodotti e via via le pratiche si davano per concluse e riposte le une sulle altre, senza criterio. Non poteva più bastare una semplice elencazione. La situazione divenne insostenibile poco dopo la metà degli anni Trenta. Anche in quel caso fu un cambiamento nel sistema di governo di San Giovanni d’Andorno a riverberarsi sulla gestione della documentazione antica e meno antica. Come spesso avvenuto durante il Fascismo in altri contesti analoghi, l’Amministrazione fu commissariata. Il geom. Oreste Peraldo, già presidente del Consiglio di Amministrazione, una volta sciolto l’organo collegiale, fu investito dell’autorità di commissario prefettizio. Immediatamente dopo l’archivio guadagnò il centro dell’attenzione e fu strutturata una bozza di titolario in base alla quale ripartire logicamente e cronologicamente i documenti che, tra l’altro, dovevano essere più numerosi di quelli rimasti oggi. Ma imbastire una titolazione (categorie, serie, sottoserie ecc.) non comporta automaticamente l’avvio delle attività sul campo, anche perché per un lavoro del genere era fondamentale la presenza di un operatore competente. Una prova interna fu fatta comunque e, considerando la documentazione sino al 1935, si elaborò un "Elenco delle carte e dei documenti che sono state conservate nell'archivio di deposito dell'Opera Pia San Giovanni Battista della Valle d'Andorno in Campiglia Cervo". Ma il risultato non si dimostrò all’altezza delle aspettative.

All’inizio di questo ultimo cantiere archivistico, condotto da chi scrive, una porzione importante dei documenti conservati a San Giovanni d’Andorno appariva già organizzata e classificata con precisione accettabile. Se non altro quella suddivisione e le indicazioni riportate sui dorsi dei faldoni consentivano di reperire i fascicoli con una discreta approssimazione. Di primo acchito si poteva presumere che fosse il prodotto di un’operazione archivistica novecentesca, ma non era possibile precisare il chi, il quando e il come. Gli archivi però custodiscono anche le testimonianze della loro stessa storia e così si è potuto rinvenire la traccia del più importante intervento archivistico del passato di San Giovanni d’Andorno: quello dell’archivista Attilio Pozzetti che il Prefetto di Vercelli segnalò all’Amministrazione desiderosa di affidare l’incarico a qualcuno del mestiere. Il 15 marzo 1939 fu approvato dai consiglieri il “Progetto di classificazione degli atti d’archivio” redatto dal segretario Tommaso Rossi e poco più di due mesi dopo, esattamente il 20 maggio, il commissario Peraldo scrisse alla Prefettura che erano state stabilite le norme "che rendano possibile una costante ed uniforme classificazione degli atti d'archivio" e, di conseguenza, che il Consiglio di Amministrazione aveva determinato di "provvedere al riordinamento dell'archivio di deposito in modo da render facile la conservazione e la ricerca degli atti" stanziando ben 2.000 lire per pagare il lavoro di un esperto. Il Prefetto rispose in data 26 maggio segnalando Attilio Pozzetti al quale si ordinava di recarsi quassù per avviare le attività. Il 7 agosto 1939 l'incaricato aveva già terminato il suo compito e con una sua lettera richiedeva la liquidazione di quanto a lui dovuto.

Da allora di certo qualcuno avrà provato a riportare ordine nell’inevitabile confusione che un’entità come quella di San Giovanni d’Andorno crea nel suo vivere quotidiano, quando i problemi grandi o piccoli sono altri e dove l’archiviazione non può mai essere una priorità. Col riordino ormai conclusosi, come accade anche altrove, si scrive non la parola fine, bensì solo un altro capitolo di una storia che si spera essere ancora lunghissima. Forse tra qualche secolo qualcun altro potrà valutare i segni archivistici di questo nostro tempo.


 

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