Il Museo dell'Emigrazione della Bürsch avrebbe 90 anni [Eco di Biella, 21 gennaio 2019]

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Data cronica
21 gennaio 2019
Mario Rosazza Bertina (Rosazza, 7 luglio 1883 - Chiavazza, 29 gennaio 1950), storico, letterato e poeta. Un suo profilo biografico, scritto con profonda commozione da Cornelio Cucco, si trova sulla "Rivista Biellese" del marzo-aprile 1950
Mario Rosazza Bertina (Rosazza, 7 luglio 1883 - Chiavazza, 29 gennaio 1950), storico, letterato e poeta. Un suo profilo biografico, scritto con profonda commozione da Cornelio Cucco, si trova sulla "Rivista Biellese" del marzo-aprile 1950

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Il Museo dell'Emigrazione della Bürsch avrebbe 90 anni
 
Per un breve periodo a San Giovanni fu attivo un museo etnografico valligiano
 
Mario Rosazza concretizzò un'iniziativa che doveva coinvolgere tutta la valle
 
Intanto è nato il Centro di Documentazione dell'Alta Valle del Cervo - La Bürsch
 
"Il grande amore che ogni valligiano dell’Alta Valle del Cervo nutre per il proprio villaggio, e che nei migliori è immensa forza operante e punto d’onore, che si traducono in nostalgica volontà di ritorno, dopo tutte le peregrinazioni nel vasto mondo, e in costruzioni di case sempre più belle e confortevoli, questo amore, io sono certo che ormai possa e debba conseguire la sua celebrazione in un istituto novello, che lo consacri e Io alimenti sempre di più". Sono parole di Mario Rosazza pubblicate sul bisettimanale fascista cittadino, "Il Popolo Biellese", giovedì 12 luglio 1928. Annunciavano, con il lessico dell'epoca che tradisce un certo entusiasmo littorio, ma anche la giusta convinzione in una buona idea, la nascita del Museo dell'Emigrazione della Bürsch. Di quella esperienza non è rimasto nulla, ma vale la pena di rievocarla. Dopodomani sarà ufficialmente annunciata un'altra buona idea tutta valligiana, il Centro di Documentazione dell'Alta Valle del Cervo - La Bürsch. I tempi, per fortuna, sono cambiati. L'entusiasmo è lo stesso, anzi forse maggiore, ma senza più dover essere littorio. E a distanza di quasi cento anni è immutata la convinzione che l'Alta Valle Cervo abbia un passato, un presente e un futuro che meritano di essere ricordati, vissuti e progettati. Un gruppo di valìt (autoctoni e d'adozione) del giorno d'oggi ha inteso costruire un piccolo ma attivo "polo culturale" che, tra i tanti altri, tratterà, ovviamente, anche il tema dell'emigrazione della gente della vallata. Gente che ha avuto la forza di partire, ma che non ha mai perso il desiderio di tornare. Naturalmente non ci sono nessi né ideali né ideologici né di altra natura con l'iniziativa del 1928, ma sono condivisi il territorio e le radici antropologiche che vi affondano da secoli. Ed è ancora saldo il legame tra il paesaggio e i discendenti di quegli uomini e di quelle le donne che per generazioni hanno strappato di che vivere a quei boschi e a quelle rocce. La Bürsch è la Bürsch. E' stata ed è tuttora, almeno in parte, quel che era ai tempi di Mario Rosazza, che poi erano anche quelli di Massimo Sella e di Remo Valz Blin, ma lo sarà ancora domani? Il Rosazza, il Sella e il Valz Blin avevano già ben chiaro che il mondo cambia e può cambiare anche un angolo di mondo come l'Alta Valle del Cervo. Soprattutto possono mutare le persone e nel loro mutare spesso dimenticano. L'intento del 1928 di celebrare il destino errante dei valìt è contiguo, parallelo e concorde a quello del nuovo Centro di Documentazione di custodire i segni delle vicende individuali e comunitarie di una stanzialità montanara per molti versi unica. Mario Rosazza non era il padre di quella proposta e lo scrisse in modo da non prendere meriti non suoi. "Poiché è dovere d’onestà di dare a ciascuno il suo, dirò subito che l’idea di istituire nell’Alta valle il Museo dell’Emigrazione non è mia, ma che mi fu suggerita da un degno convalligiano, il Sig. Battista Savoia da Campiglia, il quale a sua volta la ebbe da un sacerdote che ora assiste degnamente ì lavoratori italiani all’estero, e che, nato nella valle, sempre ne serba nel cuore il nostalgico affetto: Don Giuseppe Maccalli". La sede doveva trovar posto in un paio di stanze del Santuario di San Giovanni d'Andorno. Anche il Centro di Documentazione non poteva che fondarsi nello stesso luogo. Quello dedicato al Battista non è solo il fulcro della fede valligiana, è anche il baricentro perfetto per una nuova realtà d'impegno che deve essere al centro di tutto, equidistante da tutti. Come sarebbe nato il museo del 1928? Il suo propugnatore era certo del buon esito del progetto. Non si illudeva, ma aveva fiducia nei suoi conterranei. "So bene che ci saranno gli scettici, i dubitosi, i negatori, e che si farà un gran chiacchierare; ma basteranno in sul principio pochi volenterosi in ogni villaggio perchè la cosa riesca, e bene, sin dal principio". Tutte le famiglie potevano contare uno o più emigranti: "scalpellini, muratori, assistenti, commercianti, impresari, in altre regioni d’Italia, in tutto il vasto mondo. Ogni famiglia deve adunque possedere un oggetto, un ricordo de’ luoghi dove fu il suo membro scomparso; qualche fotografia dei lavori compiuti. I viventi debbono aver cura di provvedersi di alcuno di tali oggetti e di tali fotografie, e le loro famiglie dal paese, dovranno avvertirli di procurarsi tali cose, che serviranno per il primo fondo del Museo. Parrebbe a prima vista tutto ciò una cosa da nulla, e gli sciocchi ed i saputelli potranno sorriderne; invece, la cosa, anche subito, diverrebbe importantissima, seria, e, ripeto, unica in Italia". Il nucleo primigenio del museo si doveva presentare più come un mausoleo commemorativo, ma il ragionamento non era affatto campato in aria. In più, il pregio della raccolta si sarebbe basato sul portato etnografico di un'oggettistica esotica o forestiera. Il tutto avrebbe assunto un aspetto un po' carnevalesco, ma il risultato sarebbe stato avvincente. "Tutto è buono per il Museo: l’idoletto cinese, la zucchetta del màte argentino; una pepita d’oro dell’Alaska, e un burnus algerino; e tutti dovranno sentire l’ambizione di recare qualche oggetto, pensando che là sarà conservato con religione, col nome del donatore e del luogo d’origine". Adesso che Internet ha annullato le distanze non pare granché, ma allora la prospettiva di poter vedere in valle quella collezione non era cosa da nulla. "Ognuno dovrà esser fiero di mostrare, coll’immagine fotografica, ii ponte costrutto in Indocina, la stazione in Brasile, il viadotto in Eritrea, il palazzo a Buenos Aires, l’azienda altrove". La visione "globalista" di Mario Rosazza non collima in questo senso con quella del Centro di Documentazione. Quel che conta ora è la Bürsch. Saranno ben accette le testimonianze delle sorti girovaghe dei valìt sulle vie del mondo, ma adesso è d'uopo recuperare, mettere in salvo e in valore, comunicare e condividere ciò che è il cuore della vallata. Esattamente come previsto dal Rosazza per il "suo" museo, anche per il Centro di Documentazione vale il principio della consegna, della donazione, del lascito di qualsivoglia traccia (carta, foto, libro, opera d'arte ecc.). Chi vorrà potrà conferire, sicuro della custodia e del rispetto, della catalogazione e della valorizzazione. Ma l'avventura che inizierà dopodomani offre anche l'opzione del prestito momentaneo, della cessione temporanea per l'acquisizione digitale, per la riproduzione fotografica. Il tempo di passare il documento sullo scanner, di fotografare il "pezzo" e i legittimi proprietari non si separeranno oltre dalle proprie cose. Mario Rosazza non era uno sprovveduto ed era più che consapevole del fatto che al museo sarebbe servito del denaro per nascere e crescere. Ecco la soluzione al problema. "Pure, se anche non molti, ci vorranno dei soldi, e determinati in una somma inalienabile, aumentabile con elargizioni, ma di non enorme entità. Tale somma ci sarebbe, e pronta e disponibile, se la buona volontà dei valligiani vorrà destinarla a tal scopo. Io, come sempre, parto franco e chiaro, e affermo, pensando al futuro, che essi farebbero bene ad accettare la mia proposta. Eccola: esiste una Società Cooperativa in liquidazione chiamata «Trasporti Valle Cervo»; la ripartizione dei decimi azionari, che sarà non poco complicata è complessa, come ebbe a dirmi il liquidatore Ragioniere Edoardo Moro, porterà poche lire ad ognuno degli azionisti. Ora, poiché la Società bene o male (più bene che male, è certo) compì la sua funzione, e non ha più ragione di essere, e poiché non diede mai, se non indirettamente, alcun utile agli azionisti, e poiché le poche lire della ripartizione dei residui non sono certo tante da modificare in alcun modo in meglio l'abbienza degli azionisti; questo capitaletto formiamolo, con ogni cautela, a beneficio della nostra Valle, e costituisca esso il fondo primordiale e principale del Museo dell’Emigrazione. Durante questa estate verrà tenuta l'ultima assemblea della Trasporti Valle Cervo; ed io, ed altri con me, proporremmo nettamente ad essa che la somma di L. 8500 (su per giù) venga destinata alto scopo per cui m’accinsi a scrivere questo articolo". Il 20 agosto 1928 lo stesso Mario Rosazza tornò sull'argomento dalle colonne della stessa testata. "L’idea della istituzione del Museo della Emigrazione dell’Alta Vallo del Cervo, da collocarsi nell’Ospizio di s. Giovanni d’Andorno, va a gonfie vele. La popolazione ne intuì subito l'importanza e desidera collaborare alla sua attuazione con entusiasmo; le alte gerarchie provinciali del Partito e politiche hanno, appena informate, aderito, dimostrando di partecipare all’attuazione del Museo con tutto il peso della loro autorità. Tanto più che la Medaglia d'Oro Fulvio Tomassucci, Segretario Federale del Partito, nel banchetto di ferragosto, tenuto a Campiglia, l'unica cosa a cui accennò, propugnandola fortemente, fu la creazione del Museo. Ed ebbe poi a disporre che di esso dovesse, a suo nome, interessarsi direttamente il Cav. Geom. Giovanni Cavalli. Siamo certi che il Commissario Prefettizio del Santuario Cav. Ricchieri, per quanto lo riguarda, disporrà per la concessione dei locali occorrenti". Due giorni dopo si tenne una riunione formale con la partecipazione di molti sostenitori. "Mercoledì, 22 corrente, giusta la convocazione fatta nel numero di lunedì 19 del Popolo Biellese, convennero nel Santuario di San Giovanni d’Andorno, accolti dal Rev.do Rettore Don Miniggio nella Sala dell’Amministrazione, i signori Geom. Cav. Giovanni Cavalli, delegato dalla M. O. Fulvio Tomassucci, Segretario Federale del P. N. F.; il nostro collaboratore Mario Rosazza; li Comm. Ing. Alfredo Pugno, Podestà di Rosazza; il Geom. Edy Norza-Ratin, Podestà di Quittengo; Ugo M. Valz, pel Podestà e per il Segretario politico di Piedicavallo; Neggia Emilio, Vice-Commissario di Campiglia Cervo; Magnani Pier Vittorio, Vice-Commissario di S. Paolo Cervo; Augusto Rosazza, Segretario politico di Rosazza; Bianco Mario, Segretario politico di Campiglia; Jacazio Savio, Segretario politico di San Paolo; Mosca Pietro, membro di Direttorio di Campiglia; Moretti Severo, membro del Direttorio di Campiglia; D. Miraggio, Rettore; Battista Savoia (primo ideatore del Museo); Boggio Geom. Alvaro, di Quittengo; Rag. Archimede Rosazza; Umberto Savoia, di Campiglia". Tutti disposti a dar manforte, a reggere il peso, a nominare rappresentanti seri e partecipi. Un mese più tardi, il ferro era ancora caldo e Mario Rosazza non smetteva di batterlo. "Fra non molto spero di dare buone notizie intorno al Museo, il quale ormai sta a cuore alle persone... di cuore, e che amino veramente la loro natia vallata, in modo degno dei poveri, ma forti avi nostri: le supreme gerarchie politiche appoggiano e aiutano e vigilano la sua costituzione e sulle difficoltà frapposte da uomini e da cose, poiché uno dei suoi scopi, quello dal sottoscritto indicato ed illustrato, e cioè la corrispondenza coi valligiani oltremonte e oltremare, rientra precisamente nel complesso della politica nazionale". In valle, tuttavia, non tutti erano allineati e coperti, non tutti si erano messi in azione. Ai primi di novembre, malgrado il costituendo museo avesse già compiuto alcuni importanti passi formali (era stato dato "incarico al Comm. Prof. Camillo Sormano, persona che per ogni riguardo, sia in competenza, sia in fervore poteva essere in grado di curare la costituzione del Museo, di presiedere al Comitato formato a tal uopo nei cinque Comuni; e il Prof. C. Sormano sarà coadiuvato dal sig. Mario Rosazza, scrittore e storiografo locale che dell’idea del Museo si era fatto primo banditore"), restava, per l'appunto, costituendo. Mancavano i fondi. Gli uomini di partito, invece, non mancavano ai banchetti, ma li lasciavano dando solo pacche sulle spalle. E a livello locale non molti si erano davvero persuasi che fosse il caso di rinunciare a un piccolo dividendo per allestire quelle bacheche da riempire con idoletti cinesi e fotografie di viadotti eritrei. Il fatto è che se la Bürsch è la Bürsch, allora il mondo è il mondo. A cucire i due lembi di un tessuto che l'orografia e la storia hanno lacerato più che altrove sono stati gli emigranti con la loro "doppia vita", ma come scrisse Massimo Sella, nella Bürsch non si parlava di viaggi. A casa si chiudeva fuori il resto, a casa si tornava valìt fino a quando non prevaleva di nuovo l'istinto di muoversi. Ma a quel punto il discorso si invertiva e la Bürsch diventava un ricordo, un sogno, mentre la vita dura assorbiva le energie e i pensieri, fino a quando non era il momento di rimettersi in cammino verso casa. Senza i valìt non esiste alcun vincolo: gli idoletti cinesi non significavano niente e le fotografie dei viadotti eritrei erano tutte molto sfocate. Il 12 novembre 1928 il Museo dell'Emigrazione dell'Alta Valle Cervo era di fatto in funzione (tanto che fu visitato dopo la commemorazione dei caduti al Parco della Rimembranza), ma sebbene le sale fossero più o meno colme di bei manufatti provenienti da terre lontane, non c'era avvenire ad attendere la creatura di Mario Rosazza. Nella primavera del 1929 il museo della Bürsch già non faceva più notizia, e di lì a poco sparì (chissà che fine hanno fatto gli oggetti che conteneva?). Riflettere oggi su quella breve vicenda aiuta a immaginare un percorso diverso per il neonato Centro di Documentazione, che non vuole musealizzare alcunché né porsi come cornice statica di globalismi autoriferiti o di folklori impropri. Il tempo trascorso e il web permettono un approccio differente: la Bürsch si (ri)conosce, si racconta e si apre al mondo accogliendo tutti coloro che vorranno scoprirla, sul portale del Centro di Documentazione, con una futuribile app sullo smartphone, a spasso tra le sue borgate e i suoi rifugi, all'ombra delle sue chiese e dei suoi faggi. O in tutti i modi insieme. Quando l'agonia celere del museo di Mario Rosazza era già quasi alla fine, un altro museo stava per vedere la luce in via Pietro Micca a Biella. Se non altro fu d'ispirazione... "E’ indubitato - si legge su "Il Popolo Biellese" dell'11 marzo 1929 - che la notizia della creazione di un Museo Civico sarà accolta da tutta la cittadinanza con viva simpatia e che alla bella iniziativa darà tutto il suo entusiastico appoggio. Al Santuario di San Giovanni di Andorno i forti, tenaci e laboriosi abitanti dell’alta Valle del Cervo hanno creato - auspici pochi uomini di buona volontà - il Museo dell’Emigrazione; e noi ci auguriamo che i cittadini di Biella non debbano rimanere in coda, in fatto di realizzazioni, ai cittadini dell’alta Valle del Cervo i quali ci hanno dimostrato, ancora una volta, che realmente volere è potere".

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