Il (nostro) Cervo il più bel torrente del mondo [Eco di Biella, 3 agosto 2020]

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3 agosto 2020
Le cascate dell’Hirschbach nella Kerbtal: un altro “ruscello Cervo” tedesco. Questo si trova nella Foresta Nera.
Le cascate dell’Hirschbach nella Kerbtal: un altro “ruscello Cervo” tedesco. Questo si trova nella Foresta Nera.

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Il (nostro) Cervo, il più bel torrente del mondo

 

L’antico “Sarvus” che diventa Cervo, ma i cervi non c’entrano

 

Il Sarv, come l’Arve, il Saar, l’Aar, l’Isar, l’Isère ecc.

 

Altri torrenti Cervo nel mondo, dalla Sassonia al Paraguay


Il Cervo è unico. Un bellissimo torrente. Un torrente che per il Biellese e i biellesi rappresenta molto di più di un semplice corso d’acqua. Il Cervo è l’antico “flumen Sarvus”, il cui nome, come è facile intuire, non ha niente a che fare con il nobile animale che bramisce. Ai tempi del “Sarvus” era un fiume e il Cervo, dopo Biella, forse lo è ancora. Prima, invece, è un vero torrente, con le sue balze, le sue bizze e le sue büre, anche se ha sempre meno acqua. Se andiamo avanti così, in un non lontano futuro, il Cervo si presenterà sempre più come una fiumara calabra o uno uadi berbero. Una peculiare volgarizzazione (ma non così tanto, perché già nel Seicento lo si chiamava Cervo nella ancora claudicante lingua italiana parlata e scritta da quei nostri antenati che pensavano in dialetto, masticavano un po’ di francese e scrivevano un po’ come capitava…) ha fatto sì che un idronimo di origine celtica e/o indeuropea sia diventato uno zoonimo tanto romantico e suggestivo. Il Sarvus medievale si evolve pian piano. Nel Cinquecento si metteva in rima il Sarvo che bagnava Biella, ma già Carlo Antonio Coda nel suo “Ristretto” del 1657 lo chiamava Cervo (con l’Elevo, scritto così, l’Aurema, cioè l’Oremo, e l’Oroppa). Quindi non è da ieri che il Cervo è il Cervo, ma se provate a pronunciarlo alla francese… ecco che rispunta quella “s” che rimanda ai tempi andati e a quel dialetto francofono che non scompare mai del tutto (e che ha origini profondissime). Dal punto di vista evocativo e simbolico non ci abbiamo perso. Il cervo è un animale superbo e il Cervo lo è altrettanto. Altero e selvaggio, si placa solo nella piana, ma al Bardone e al ponte della Maddalena è ancora quello di Passobreve e del Concresio, con la Lüria che fa paura. Non da un cervo, ma dal Sarvo, per rimodulazione fonetica, e glottologica, è nato il Cervo. Tuttavia, questa cessione impropria e spontanea di significante e di significato ha cambiato la percezione storica e simbolica del Cervo riconducendo l’idronimo a un contesto zoologico del tutto privo di nessi. L’icona del cervo che si abbevera alla fonte (che qui da noi gli offre l’acqua e che riceve il suo nome), è una bella immagine. La favola di Esopo, ripresa poi da Fedro, con la sua morale attualissima parte dalla stessa scena, che doveva essere frequentissima, tanto nella classicità greco-latina, quanto in queste nostre terre, come ovunque. E anche il Cristianesimo ha fatto proprio il cervo come simbolo di chi, assetato, anela alla sorgente, ovviamente non dell’acqua “fisica”, ma di quella spirituale della Salvezza (Salmo 41: «Come la cerva assetata anela ai rivi delle acque, così l’anima mia anela a te, o Dio»). Ogni cervo ha un suo torrente. Qui il Cervo è il torrente ed è lui a dissetare. Se vogliamo metterla sul piano dell’etimologia il Cervo, ossia il Sar o Sarv (o Ser o Serf o in altre svariate dizioni che cambiano a ogni lama a seconda di chi ci si specchia dentro), richiama quella radice remotissima “AR” che nella nomastica indoeuropea e poi celtica sta per “acqua”. I celti, forse, non avevano molta fantasia. Stanziati da queste parti non necessitavano di tante ulteriori indicazioni. Quello che per noi è il Cervo per loro era l’acqua, la più grande e importante della zona. Non ci potevano essere confusioni o fraintendimenti. Il discorso si complicava se ci si allontanava un po’, perché esistevano altre popolazioni stanziali con altre “acque” come il nostro Cervo. E anche loro chiamavano quei loro torrenti con nomi che includono la radice “AR” Di situazioni analoghe se ne contano a centinaia. Nei dizionari geografici d’inizio Ottocento del danese Malte Conrad Bruun o nelle “Ipotesi sulle radici preindoeuropee dei toponimi alpini” di Paul-Louis Rousset (pubblicato in Italia da Priuli & Verlucca nel 1991) si possono trovare tanti “fratelli” o “cugini” del nostro Cervo. Tutti con quell’AR (o ER) dentro il nome. Dall’Arve, all’Aar e all’Ahr, dall’Aranda all’Arno, dal Isère all’Isar, dal Sarre/Saar all’Isarco. Nel citato, assai curioso, libro del Rousset (pagine 162-163) si possono trovare elencati – e non sono tutti – i diversi Sar o Sarv d’Europa e non solo. Questo nome, il nostro, che unisce all’AR dell’acqua anche quella “s”, suona anche meglio. È più poesia che linguistica, ma che forza in quella consonante iniziale, a mezza via tra l’onomatopea, l’atto dello scorrere dell’acqua e il disegno sinuoso dell’alveo. Il gioco dell’etimologia degli idronimi (come quello della toponomastica in genere) è davvero appassionante e permette di scoprire una porzione del senso di ciò che abbiamo davanti al naso ogni giorno. Ma c’è un altro gioco che vi propongo in questo caldo inizio d’agosto. Un gioco rinfrescante come un tuffo nel Cervo all’Asmara o a Rosazza. Capito il meccanismo dei nomi con l’AR, provate a cercare i “veri” omonimi del torrente Cervo nel mondo. Internet permette navigazioni anche fluviali sorprendenti. L’idea mi è venuta bazzicando la Valsesia, quando ho scoperto che a Cervatto scorre un torrentello che si chiama Cervo, affluente del Mastallone di Varallo. Il Cervo valsesiano percorre una sua Valle Cervo e anche il pittoresco paesino deve il nome al suo corso d’acqua di riferimento (c’è anche un bar Cervo, nel caso il refrigerio da pediluvio torrentizio non bastasse…). Valido il principio del non c’è il due senza il tre, se esiste un secondo torrente (o fiume o ruscello) Cervo, allora deve essercene almeno un altro. Gambe in spalla, allora, perché per mettere i piedi a mollo nel terzo Cervo bisogna arrivare in Dordogna, sud-ovest della Francia, tra l’Atlantico e il Massiccio Centrale. Il Cerf (in occitano Cern) è un ruisseau tributario dell’Isle. Nasce a Atur e dopo nemmeno quindici chilometri versa le sue assai scarse acque (è quasi sempre asciutto) al suddetto Isle. Niente di speciale, quindi, ma il viaggio vale la pena per chi ama le prelibatezze gastronomiche del Périgord (pressoché tutte fuori portata per animalisti e vegani). Ma anche Oltralpe non si sono fatti mancare l’occasione di un bis. Lasciamo il gourmand Périgord e puntiamo a nord, verso il Loiret. Siamo nella valle della Loira, non molto a sud di Parigi, tra i comuni di Chevillon-sur-Huillard, Lombreuil, Oussoy-en-Gâtinais, Thimory e Vimory. Lì, per ben 4,7 chilometri, scorre il ruisseau au Cerf (ma c’è anche la versione al plurale, cioè aux Cerfs). Il nostro Cervo, al confronto, è il Rio delle Amazzoni, ma il posto, per chi ama la placida campagna francese, è notevole. Già che ci siamo, con la Manica a un tiro di schioppo, facciamo un salto in Gran Bretagna. Google, alla domanda “Deer river” risponde indicandoci il Devonshire, ossia la penisola della Cornovaglia che si allunga verso l’Atlantico. Il “Deer river” attraversa la graziosa cittadina di Holsworthy, celebre per il suo mercato del bestiame. Il Cervo del Devon nasce dagli stagni di Youldon e dopo pochi lenti e tortuosi chilometri si getta nel Tamar, all’ombra di alcuni frondosi roveri, appena oltre un piccolo ponticello. Anche in questo caso, nessun confronto con l’esemplare nostrano. Sulla terra della perfida Albione non si trova (almeno non via web) un altro Deer River ma esiste un Deer Brook (o Deerbrook, che sta per ruscello Cervo) in Galles, e precisamente a Greenmeadow in quel di Cwnbran. E segnalo il Deerness River nella Contea di Durham, lassù, al confine con la Scozia. Il nome è interessante. Al di là del fatto che assomiglia a Lochness, quel Deerness potremmo tradurlo con Cervità o Cervezza, insomma quel fiumiciattolo (lungo una quindicina di chilometri) ha nel nome un riferimento al cervo, così come la Deerness River Valley che percorre. Sul suo breve corso, che termina nel Browney, sono sorte ferrovie e fabbriche che sfruttavano la sua forza per produrre il moto da trasmettere alle macchine. In questo il Deerness assomiglia un po’ al Cervo di Biella, ma basta un’occhiata per farci preferire quello che lambisce Miagliano e Tollegno. Dopo Francia e Regno Unito è il turno dell’Austria e della Germania. Nelle varie combinazioni ortografiche possibili la più assimilabile a ruscello o torrente Cervo è Hirschbach. In Austria si trovano due località con questo nome. La prima è un paesino del Distretto di Gmünd, al confine con la Repubblica Ceca. Il nucleo abitato è nato alla confluenza del minuscolo Hirschbach con l’altrettanto minuscolo Moosbach. A qualche decina di chilometri verso sud-ovest, cioè verso Linz, si incontra un altro Hirschbach. Quest’altro ruscello Cervo ha visto sorgere sulle sue sponde il villaggio di Hirschbach im Mühlkreis, dove lo specificativo toponomastico (Mühlkreis) racconta storie di ruote idrauliche e di mulini che il rigagnolo con tutta evidenza metteva in movimento. In Germania almeno sette luoghi portavano il nome Hirschbach. Sei di loro sono comuni o frazioni soppressi (come nel caso di Bad Bimbach della Bassa Baviera o di Glashütte in Sassonia, dove però i toponimi Hirschbach fanno sempre riferimento a un corso d’acqua con quella denominazione), ma uno è rimasto. Si tratta dell’ameno Hirschbach dell’Alto Palatinato, ossia nell’area settentrionale della Baviera. Milletrecento anime strette attorno alla chiesa di Sankt Wolfgang e il torrentello lungo cui si sviluppa tutto l’abitato. Il sito ufficiale della comunità dice che Hirschbach sia stato fondato da Carlo Magno quando andò a caccia di cervi nell'area dopo la sua vittoria sui Sassoni. Sicuramente, cercando meglio, di ruscelli o torrenti Cervo se ne conterebbero altri nell’Europa Centrale, quindi mettetevi in cerca. Nel frattempo scendiamo in Spagna dove c’è almeno un arroyo del ciervo, cioè un torrente (del) cervo. Nord-est di Siviglia. Un nastrino azzurro-verde tra i campi coltivati. Un canale, più che un ruscello, ma tant’è. Ma per questa panoramica non possiamo fermarci sulla soglia di casa. È ora di viaggiare sul serio. Allora andiamo in Russia. Per la precisione siamo diretti a Оленьи Ручьи, che si pronuncia Olenyi Ruchyi, dove la prima parola significa cervo, la seconda torrente. La località è quanto meno remota. Bisogna portarsi a Ekaterinburg, mille chilometri a est di Mosca (luogo celebre per l’eccidio della famiglia dell’ultimo zar nel 1918, dal quale scampò, forse, la principessa Anastasia), poi tornare un po’ indietro e quindi puntare leggermente a sud. Lì c’è un parco naturale attraversato dal fiume Serga. E il cervo che dà il nome al parco e al torrente? Un’incisione rupestre vecchia come il mondo. Una mezza delusione. Allora, una volta tanto, per avere riscontri più affidabili ci si deve rivolgere agli USA. Ma prima una deviazione in Sud America. Come detto, in spagnolo torrente e cervo si traducono con arroyo e ciervo. Le due parole insieme inserite in un sistema di geolocalizzazione satellitare ci conducono dapprima in Paraguay, nel Dipartimento di Misiones. In mezzo al nulla. All’altezza della città fluviale si Ayolas, venti chilometri a nord del corso del Paranà, che segna il confine con l’Argentina, un sito brullo e lontano da tutto si chiama Arroyo Ciervo Paso e l’unico segno visibile che sembra un ruscello è un solco nel terreno, una cicatrice lasciata dal transito incostante dell’acqua. Un po’ meno isolato è l’Arroyo del Ciervo del delta dello stesso Paranà, ovvero un ramo molto molto secondario (ridotto a canale di collegamento?) della grande foce che di apre a nord di Buenos Aires. Ed ora gli States, dove entriamo parlando ancora spagnolo. Risulta infatti un Arroyo Ciervo, cioè un torrente Cervo, tra Fresno e il Pacifico, esattamente a metà strada tra Los Angeles e San Francisco. Quel corso d’acqua si potrebbe definire (con molta generosità) un fosso che si snoda tra i filari di alberi di pesche e nettarine. Il Cervo alla Balma, in confronto, è il Danubio. E dalla California ci spostiamo in Minnesota per scoprire Deer River, a due passi da Deer Lake, nella regione del Grandi Laghi. Deer River è un insieme di case dove vivono meno di mille persone con il Canada a un’ora di automobile. Il river è immissario del lago con lo stesso nome e serpeggia tra una vegetazione da cartolina. Questo è un discreto competitor per il Cervo della Malpensà o di Bogna. E non è niente male nemmeno il Deer Brook di Keene Valley, nella Contea di Essex (Stato di New York), con le sue spumeggianti cascate meta di apprezzate escursioni. Così come non è da disprezzare l’omonimo ruscello del Maine (nell’Acadia National Park sull’isola di Mount Desert), che spesso appare fotografato sotto il ponte storico (1925) che porta lo stesso nome. Ma in questo caso è forse il ponte a essere più ammirato e ammirabile del rio sassoso che scavalca. Abbiamo ancora giusto il tempo per fare un salto in Canada, nell’Alberta, per osservare il Red Deer River. Il Cervo Rosso canadese (che ha per affluente il Little Red Deer River) è un fiume con tutti i crismi. È ben più lungo del Po e dalle Montagne Rocciose scende maestoso fino a buttarsi nello South Saskatchewan. Con questo gigante il nostro Cervo non può competere, ma se lo si esclude (è di una categoria superiore, è come far combattere un peso piuma con un Mike Tyson) quello biellese è, nel mondo intero, il più importante storicamente, il più consistente dal punto di vista fisico e geografico, il più vario per ambienti (nessun altro vanta una sorgente a più di duemila metri e un corso tanto lungo) e morfologia del paesaggio. Insomma, il nostro Cervo è il più bello.

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