Montesinaro contro Parigi per un mulino [Eco di Biella, 9 giugno 2012]

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9 giugno 2012
Montesinaro (foto Danilo Craveia, giugno 2012)
Montesinaro (foto Danilo Craveia, giugno 2012)

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Montesinaro contro Parigi per il mulino Valz Gris

Quarantotto ore dopo Jean-Baptiste Nompère de Champagny, duca del Cadore, avrebbe lasciato l’incarico che ricopriva da tre anni per assumere quello altrettanto delicato e gravoso di Ministro degli Affari Esteri. Ma quel giorno, il 6 agosto 1807, era ancora il Ministro dell’Interno di Napoleone e, malgrado il trasloco imminente, fece il suo dovere firmando una lettera indirizzata al barone Carlo Giulio, Prefetto del Dipartimento della Sesia. Poche righe che inaspettatamente collegano uno dei più noti sodali e commis di Bonaparte (lo accompagnò nel duomo di Milano per ricevere la corona di Re d’Italia nel 1805) e uno sconosciuto valët della Bürsch, due pagine che connettono Parigi con Montesinaro. L’8 maggio Giovanni Battista, anzi Jean Baptiste, Valz Gris aveva scritto al suo omonimo Ministre de l’Intérieur per ricorrere contro un decreto del Préfet datato 7 gennaio 1807. Il carteggio fu tenuto in francese, come si faceva tra fraterni, uguali e liberi sudditi dell’Empire e il fascicolo si trova nell’Archivio di Stato di Vercelli. Il Valz Gris era un piccolo possidente del villaggio dell’Alta Valle Cervo e aveva pensato di sfruttare l’acqua del rio Chiobbia, “qui se forme par les differents ecoulements de la montagne Moncambio et Mont Bue” così si espresse lo stesso Valz Gris nella sua missiva per Parigi), per dar moto a un mulino. Lo scopo dichiarato era quello di “procurer un considerable avantage” ai disagiati abitanti di Montesinaro. Di fronte al parere negativo espresso dalle autorità locali (il prefetto Giulio gli aveva imposto di abbattere l’edificio) e con la convinzione di essere nel giusto si era rivolto caparbiamente e senza timori reverenziali direttamente a chi muoveva i lunghissimi fili della pubblica amministrazione dell’Impero. Il mulino avrebbe consentito ai più di 500 residenti di Montesinaro (oggi sono il 10%) di “moudre leur bleds”, di macinare il loro grano, nella frazione senza dover essere obbligati a percorrere quella mezza lega (un paio di chilometri) “des chemins desastreux, impraticables et perilleux” su pendii boscosi e scoscesi che li separava dalle macine di Piedicavallo. E fu proprio il “maire” di Piedicavallo a mettere il bastone tra le ruote al Valz Gris opponendosi all’iniziativa temendo una consistente diminuzione delle entrate comunali derivanti dalla macinazione. Fu il sindaco di Piedicavallo a convincere il prefetto a decretare il divieto d’uso e la demolizione del mulino di Montesinaro. Il decreto prefettizio del 7 gennaio 1807 suscitò la reazione di Giovanni Battista Valz Gris che dimostrò di essere un osso duro e, di certo con l’aiuto di un giureconsulto che volle rimanere nell’ombra, di sapersi destreggiare molto bene nella complicata normativa vigente in materia di edificazione e di messa in funzione dei mulini.
Se il problema stava nella possibilità che il mulino oggetto della contesa potesse diventare un magazzino in cui incettare granaglie e farina, il ricorrente smentiva la Prefettura e rassicurava il Ministero: in 24 metri quadrati totali c’era poco da immagazzinare. Rischio di contrabbando? Il “requérent” era un brav’uomo che godeva ottima reputazione e poi contrabbandare con chi e verso dove? Se in discussione c’erano poi i diritti di sfruttamento delle risorse idriche l’asserzione si poteva considerare priva di fondamento: il mulino di Piedicavallo era mosso da un altro corso d’acqua e l’irrigazione dei poveri campi e dei prati non avrebbe subito né diminuzioni né variazioni (per altro accettabili a fronte dell’utilità generale del mulino stesso). Il dispositivo del barone Giulio fu fatto a pezzi a colpi di buon senso, di conoscenza del territorio (che il prefetto forse non aveva) e di onestà. Il Valz Gris non aveva costruito il suo mulino per la gloria. Ci voleva guadagnare come un qualunque imprenditore da che Berta filava e non lo nascose affatto al Nompère de Champagny. Però, dato il giusto tornaconto al proprietario, il mulino restava una specie di “opera sociale” per quanti avrebbero potuto usufruirne in modo comodo e conveniente.
Cosa rispose il ministro? “Je vous invite, Monsieur, à répondre au mon nom au Sieur Valz-Gris, que je ne peux qu’approuver la décision contre la quelle il reclame…”. La burocrazia che parla da lontano usa un linguaggio freddo e universale e una risposta di seme picche non ha quasi mai bisogno di traduzione. Riassumendo: Signor Prefetto del Dipartimento della Sesia, comunichi a mio nome al valët che il suo ricorso è stato respinto, che questo mulino non s’ha da fare perché le acque pubbliche sono pubbliche e non si possono derivare privatamente cagionando danni e disservizi a terzi anche se i vantaggi potrebbero essere notevoli, anche se tutti sembrano essere d’accordo e anche se il ricorrente pare in buona fede. Gli ricordi anche che, per sgravio di ulteriori grane e di nostre responsabilità, spetta al “maire” di Piedicavallo la prima e l’ultima parola, quindi se la veda con lui. E poi la motivazione più importante, l’unica non espressa: un Prefetto dell’Impero ha sempre ragione.

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