I bei libri bagnati di don Giuseppe Magnani del 1785

Il sacerdote di Campiglia Cervo donò a San Giovanni d’Andorno una decina di preziosi tomi


Le piogge dell’autunno scorso ne hanno danneggiati alcuni


Diritto canonico, la Passione di Mel Gibson e le candele per seppellire un bambino


Tanto per cominciare c’è una seconda edizione (1649) del Tractatus de Officio Sanctissimae Inquisitionis et modo procedendi in causis Fidei. Ci sono due opere del gesuita padre Tobias Lohner, stampate da Hertz nel 1694, a Colonia. E c’è quel “Magnanus”, “sacerdos” valligiano, generoso donatore tramandato ai posteri da ricorrenti note di possesso del 1785. Testimoni silenziosi di quattro secoli di storia della Bürsch che, purtroppo, non molti conoscono. Eppure, questo e molto altro si trova negli armadi della biblioteca di San Giovanni d’Andorno. Un piccolo tesoro che non ha bisogno di presentazione, ma che invita alla frequentazione e che vuole attenzione. Oggi più che mai. Le piogge dell’autunno scorso hanno ferito la Bürsch. Ferite evidenti, alcune guarite, altre ancora aperte, come quelle provocate dalla frana di San Giovanni d’Andorno. Altre che appaiono meno imponenti, ma non per questo meno gravi, e che necessitano di interventi radicali e urgenti. L’acqua si è infiltrata nel tetto della rettoria del santuario dell’Alta Valle Cervo e ha danneggiato non pochi libri dell’antica e preziosa biblioteca. Naturalmente deve essere riattata la copertura, ma devono essere recuperati anche quei volumi. Una campagna rivolta alla sensibilità dei valligiani e di tutti i biellesi è già iniziata, grazie anche all’ANA della Sezione di Biella e del Raggruppamento Valle Cervo, e queste colonne si uniscono alle voci che chiedono di salvare la biblioteca, contenitore e contenuto di una parte rilevante della memoria e dell’identità della vallata. Il danno ha consentito di mettere in luce sia quei volumi che hanno maggiormente subito l’insulto dell’acqua, sia la figura di un prete valèt sino ad ora sconosciuto anche a coloro che meglio “sanno” la Bürsch. 

Tractatus de officio Sanctissimae Inquisitionis, con l'ex libris del priore don Gaia.
Tractatus de officio Sanctissimae Inquisitionis, con l'ex libris del priore don Gaia.

Dei quattro libri più malconci, tre riportano questa notazione manoscritta: “Ex libris Fabbricae Sancti Iohannis Baptistae Vallis Andurni. Dono dedit Dominus Sacerdos Ioseph Magnanus a Campilia 1785”. Il quarto, il più antico, fu “prius” tra i libri del priore Gaia, poi arrivò al santuario. Si tratta del già citato Tractatus sulla Santa Inquisizione. Opera del giureconsulto cremonese Cesare Carena (1597-1659), ebbe due edizioni prima di quella del 1649, bagnata dalla pioggia in Alta Valle Cervo. L’autore, che firmò quella nuova versione a Milano il 3 luglio 1648 (che però uscì dai torchi dell’imprimeur lionese Laurent Anisson, “seigneur d’Hauteroche”), si occupò della giurisprudenza e delle procedure del famigerato tribunale ecclesiastico includendo anche gli allora recenti “casi” di eresia giudicati a Granada, in Spagna. Gli studi giuridici del Carena ebbero un’eco piuttosto lunga, visto che Freud, nella sua Interpretazione dei sogni chiamò in causa l’avvocato barocco per i suoi riferimenti alle eresie che si manifestavano in sogno. Per quanto riguarda il possessore del volume prima che entrasse a far parte della biblioteca di San Giovanni d’Andorno si può dire poco. Di don Gaia, parroci di Campiglia Cervo e rettori di San Giovanni d’Andorno, ce ne furono due, uno dopo l’altro, il che rende difficile stabilire di chi fosse il libro. Giovanni Pietro Gaia di Quittengo (1659-1732), resse la parrocchia dal 1707 fino alla morte. Gli successe Giuseppe Antonio Gaia di Ronco (1696-1734), che morì dopo solo due anni di priorato. Se si dovesse scommettere, sarebbe più logico puntare sul primo, ma non è detto che durata in servizio e appartenenza più stretta al territorio siano le vere prerogative per una donazione di questo tipo. Certo, invece, il profilo del detto “Magnanus”. Giuseppe Antonio Magnani era nato nel 1740. Aveva studiato “da prete” ed era diventato dapprima cappellano, poi viceparroco di Campiglia Cervo ai tempi di don Francesco Francesio di San Germano Vercellese (1735-1768), di don Gaspare Serra di Pettinengo (1769-1776) e, infine, di don Barnaba Tempia di Biella (1776-1807). Fu quest’ultimo a seppellirlo il 12 gennaio 1785. Era morto il giorno prima. Aveva solo quarantacinque anni. Fu sepolto “ante fores huius paroeciae ad portam destriorem versus”. Se l’interpretazione è corretta, le sue spoglie giacciono vicine a quelle dello stesso don Tempia, presso la porta a destra, verso le scuole. Ben poco si sa della sua vita. Alcuni documenti conservati nell’Archivio Parrocchiale di Campiglia Cervo ne attestano appena la presenza. Segno di un esistere umile, di impegno e di servizio, forse temperato da buone letture, quelle stesse che studiò ai tempi del seminario. 

“Ex libris Fabbricae Sancti Iohannis Baptistae Vallis Andurni. Dono dedit Dominus Sacerdos Ioseph Magnanus a Campilia 1785”
“Ex libris Fabbricae Sancti Iohannis Baptistae Vallis Andurni. Dono dedit Dominus Sacerdos Ioseph Magnanus a Campilia 1785”

Un solo fascicolo richiama ai vivi l’esistenza di don Magnani, ossia la lite che lo vide protagonista, insieme a don Giovanni Battista Lampo, contro Bartolomeo Peraldo di San Paolo Cervo nell’ottobre del 1769. Don Magnani e don Lampo all’epoca erano i cappellani della chiesa parrocchiale, retta da don Serra. La vertenza era di quelle più tristi. Il 29 settembre 1769 era deceduto Giovanni Battista, figlio “ancor minore d’anni sette” del suddetto Peraldo. Il giorno seguente era stato sepolto nel cimitero della parrocchia, ossia attorno alla chiesa di Campiglia Cervo. Era consuetudine, ab immemorabili, e norma di diritto ecclesiastico che i due cappellani intervenuti alla funzione funebre per un bambino ricevessero una candela ciascuno in forma di emolumento, per il valore di sette soldi e mezzo per ognuno dei due ceri dovuti. A distanza di un paio di settimane il debito non era ancora stato rimesso. Anzi, i due cappellani erano stati informati del fatto che il Peraldo non era affatto intenzionato a pagare, tanto che, pur essendo infermo, aveva dato procura affinchè la questione fosse portata di fronte al giudice di San Paolo Cervo. Rappresentato da Benigno Ostano, il padre del bimbo defunto sosteneva che quella della candela non era un’usanza, bensì una tassa. E come tale, non lecita a imporsi da un ente ecclesiastico, a mente delle Regie Costituzioni. Più che indignati, i cappellani erano sorpresi da tale iniziativa. L’uso era invalso da sempre e non c’era ragione per tale novità. Ma di lì a poco emerse che il povero Peraldo era stato indotto a litigare da altri due preti valligiani, tali don Giovanni Francesco Magnani e don Giovanni Battista Billia, che si erano offerti di pagar le spese processuali in ogni caso, purchè volesse “contestare tal remissione di candele”. Chissà perché i due sacerdoti vollero usare quell’uomo, peraltro malato e appena privato di un figlio, per attaccare indirettamente i due cappellani campigliesi? Ma il Peraldo, guarito e ragguagliato, capì di essere stato manipolato e il 24 novembre 1769 ritirò le accuse e la causa finì con la consueta consegna delle candele. Questa è l’unica traccia significativa lasciata da don Magnani, sicuramente suo malgrado.

Il fascicolo della lite del 1769.
Il fascicolo della lite del 1769.

Non è dato a sapersi se fu un intellettuale o solo un amante dei libri, ma è certo che la sua personale biblioteca non deve essere stata irrilevante. Così come è interessante la sua idea di donare i suoi volumi, o parte di essi, non alla Parrocchia di Campiglia Cervo, ma al Santuario di San Giovanni d’Andorno. In attesa di ulteriori verifiche, è opportuno segnalare che, oltre ai tre che l’infiltrazione ha seriamente lesionato, don Magnani destinò alla biblioteca del santuario anche altri volumi. Il fatto che la data della donazione coincida con quella della morte fa pensare o a un testamento (per ora non reperito) o a un regalo fatto quando ormai gli era chiaro che non sarebbe vissuto a lungo. Complessivamente si tratta di undici tomi. Due compongono la Raccolta delle cose più principali spettanti alla fede, alla speranza, e alla carità sì verso Dio, che verso noi, ed i nostri prossimi, fatta da un padre della Congregazione dell'oratorio di S. Filippo Neri di Mondovì. Un’unica edizione, quella della Stamperia Reale di Torino del 1741. L’autore è il Venerabile Giovanni Battista Trona (1682-1750), prete dell’Oratorio di Mondovì, “il padre de’ poveri in tempi calamitosissimi, il sollevatore degli oppressi”. Un esempio, quasi contemporaneo, da seguire per un sacerdote di una comunità povera come era la Bürsch di allora. 

la Raccolta delle cose più principali spettanti alla fede, alla speranza, e alla carità sì verso Dio... del 1741
la Raccolta delle cose più principali spettanti alla fede, alla speranza, e alla carità sì verso Dio... del 1741

Di tutt’altro tenore è il volume dal titolo Examen ecclesiasticum, in quo universæ materiæ morales, omnesque ferè Casus Conscientiæ excogitabiles, solidè ac perspicuè resolvuntur (in tre libri). Lettura non tra le più avvincenti, ma ambiziosa nei fini. L’autore, il teologo palermitano Felice Potestà (1649-1702), si era fatto carico di esplicitare la funzione dell’“esame ecclesiastico” del Sant’Uffizio in tutte le materie morali e in tutti i casi di coscienza “escogitabili” e come tali affrontati e risolti. Ma il libro riserva anche una seconda parte ai vari tipi di eresia, alla censura, ai libri proibiti ed all'Inquisizione, nonché una terza alla valutazione degli ordinandi, dei predicatori e dei missionari. Un classico del genere. Alla prima edizione, quella veneziana di Paolo Baglioni del 1706, seguirono altre ventisei, fino al 1768. Don Magnani se ne procurò una del medesimo Baglioni, del 1735.

L'Examen ecclesiasticum del 1735
L'Examen ecclesiasticum del 1735

Non più dottrinale-giuridica, ma di nuovo improntata alla storia della devozione e degli exempla è l’opera dedicata alla Mistica Città di Dio, miracolo della sua onnipotenza, et abbisso della grazia. Istoria divina, e vita della Vergine Madre di Dio, Regina, e Signora nostra Maria SS.ma riparatrice della colpa d'Eva, e mezzana dela grazia. L’edizione vallecervina è quella del milanese Marco Antonio Pandolfo Malatesta del 1709. L’opera fu stampata in otto libri raccolti in quattro tomi. A San Giovanni d’Andorno ne restano due, il primo e il terzo. Non è chiaro se la donazione di don Magnani fosse già parziale o se lui possedesse tutti e quattro i volumi, due dei quali andarono perduti dopo il 1785. Tutte quelle pagine sono frutto delle visioni mistiche di una suora spagnola, María Coronel y Arana, meglio nota come Maria di Ágreda che ebbe modo di “vedere” molti episodi della vita di Maria e di Gesù. In particolare, la sua esperienza si concentrò sulla Passione e la sua descrizione dell’evento risulta vivida, anzi cruenta, con dettagli “inediti” del supplizio e della morte di Cristo, inclusa la susseguente sua discesa agli Inferi. Fu la stessa badessa del monastero dell’Immacolata Concezione di Ágreda, nella Provincia di Burgos, a scrivere ciò che aveva visto. La sua testimonianza ha segnato generazioni di credenti e non. Non ultimo Mel Gibson, che si è ispirato a Suor Maria del Gesù di Ágreda per le scene più crude della sua “Passione di Cristo”. Nessuno di questi primi cinque volumi è stato bagnato dalla pioggia penetrata nello stabile addossato alla chiesa del santuario. I due seguenti, invece, purtroppo sì.

-	L’antiporta della “Mistica Città di Dio”. I tre cartigli recano citazioni dal Libro dei Salmi.
- L’antiporta della “Mistica Città di Dio”. I tre cartigli recano citazioni dal Libro dei Salmi.

Sono le due fatiche del gesuita austriaco Tobias Lohner (1619-1697), che dedicò tutta la sua vita all’insegnamento dei classici, della filosofia e della teologia speculativa e morale. Scrittore fecondissimo, diede alle stampe anche dei “manuali” che avevano lo scopo di aiutare i retori cattolici impegnati nel catechismo e nella predicazione.

Entrambi stampati a Colonia nel 1694 da Johan Jakob Hertz (che l’anno seguente risulta attivo a Venezia), si tratta della terza edizione della Instructissima bibliotheca manualis concionatoria. In qua de virtutibus, vitiis, sacramentis, novissimis, aliisque similibus materiis in ecclesiatica cathedra tractari solitis e della seconda edizione del Auctarium amplissimum bibliothecæ manualis concionatoriæ novis titulis adauctum, cioè di un’aggiunta alla prima opera. Sono due meraviglie. Nella Bibliotheca manualis (la prima edizione è del 1681) il Lohner ordinò per temi e per categorie funzionali e morali (qualità, dignità, utilità, felicità, vocazione ecc.) tutto ciò che serviva per “concionare”, cioè per discutere e convincere, o per predicare. Chi praticava l’arte oratoria in ambito ecclesiastico (ma non solo) non poteva far a meno di consultare questo gioiello. Basta sfogliarlo per rendersi conto della profondità del sapere dell’autore, ma anche del suo senso pratico. Idem per il suo ampliamento, con comodi indici dei nomi e prospetti tematici, che uscì per la prima volta a dieci anni dalla Bibliotheca manualis

I danni già evidenti sul frontespizio della Instructissima bibliotheca manualis concionatoria.
I danni già evidenti sul frontespizio della Instructissima bibliotheca manualis concionatoria.
La marca tipografica del “Auctarium”: i due angeli reggono il “Libro della Vita”, cui tutti gli altri volumi tendono…
La marca tipografica del “Auctarium”: i due angeli reggono il “Libro della Vita”, cui tutti gli altri volumi tendono…

La terza opera donata da don Magnani che necessita di un urgente restauro è il De immunitate et iurisdictione ecclesiastica. Per fortuna, solo il secondo volume è finito a mollo, mentre il primo si è salvato. Il titolo suggerisce un libro di carattere giuridico. Opera del frate teatino Tommaso Del Bene (1592-1673), nativo di Maruggio presso Taranto, fu stampata in prima edizione nel 1670 nella tipografia lionese Arnaud et Borde.

La marca tipografica del “De Immunitate” dalla quale si apprende che “Con il tempo la virtù fa germogliare i semi della fortuna”, o dei talenti ricevuti per natura.
La marca tipografica del “De Immunitate” dalla quale si apprende che “Con il tempo la virtù fa germogliare i semi della fortuna”, o dei talenti ricevuti per natura.

Gli stessi editori fecero gemere i torchi per la terza, quella del 1674, che dal Rodano raggiunse il Cervo e poi la balma del Precursore “patrono” della Bürsch. Resta un’ultima opera. Risparmiata dall’acqua. È il De iustitia et iure del giurista napoletano Tommaso d’Afflitto (circa 1570 – 1645). Teatino come il citato Del Bene, padre d’Afflitto si formò a Firenze e a Roma, ma non dimenticò le sue radici partenopee. La più parte delle sue opere fu stampata postuma, presso la tipografia dei Padri dei Santi Apostoli. Anche in questo caso, i due volumi trattano di vari aspetti del diritto canonico. Pubblicati quattordici anni dopo la morte del giureconsulto (unica edizione), contengono “Sententiae, oracula SS. Canonum, legum, pontificum, imperatorum, iurisperitorumque Responsa ac Decisiones morales, legales, et canonicae authorum pondere exhibentur” e sono meno noiosi di quel che sembrano. E iniziano con domandine tutto fuorchè banali, del tipo: “Utrum ius sit obiectivum iustitiae”, cioè “se sia il diritto l’oggetto della giustizia”. Ecco, questo è il contributo di don Giuseppe Magnani alla storia e alla cultura dell’Alta Valle Cervo. Dal 1785 questi volumi sono a disposizione della gente della Bürsch. E oggi più che mai, da quando il catalogo della biblioteca di San Giovanni d’Andorno è disponibile on line, sulla piattaforma del Polo Bibliotecario Biellese, come su quella del Sistema Bibliotecario Nazionale. Ma ora alcuni “pezzi” di questo importante patrimonio sono in pericolo e occorre salvarli. Raccontano una vicenda personale, ma anche collettiva. I libri che sono stati cari e utili a un uomo possono diventare cari e utili ad altri uomini. Senza che il tempo possa mutare questa possibilità. Il tempo può far cambiare gli uomini e i loro interessi, mentre le pagine come quelle donate da don Magnani, restano le stesse, in attesa. Con le loro parole immutabili. Uno dei miracoli che solo i libri possono fare. Ma gli uomini devono far parte di quel miracolo, garantendo la sopravvivenza dei libri. Ma non è solo un vezzo da eruditi o sfoggio di beneficienza colta, bensì un invito alla riappropriazione. “Quærere debemus potius utilitatem in Scripturis, quam subtilitatem sermonis”. Lo scrisse padre Lohner nella sua praefatio al benevolo lettore, citando la De Imitatione Christi del De Kempis). Non la sottigliezza del discorso, ma l’esempio da seguire (per chi deve imitare Cristo) si deve cercare nelle Scritture. Quindi non preservare soltanto la forma delle belle edizioni pregiate, ma più ancora la sostanza della loro storia che è anche quella dei valligiani con cui vissero, dei valìt che se le passarono di generazione in generazione. Don Magnani, con tutta probabilità, non fu l’unico a comportarsi così. Dunque, c’è ancora spazio per ricerche e scoperte. Ma l’acqua è nemica della carta e delle parole, perciò prima di tornare al latinorum, è più pressante sistemare le lose e i faldali del tetto di San Giovanni d’Andorno.

Il frontespizio del "De iustitia et iure", primo volume.
Il frontespizio del "De iustitia et iure", primo volume.

di Danilo Craveia [Eco di Biella, 26 aprile 2021]