Anacleto Maciotta, da San Paolo Cervo a San Paolo del Brasile
di Danilo Craveia [Eco di Biella, 25 luglio 2022]
Nell’estate del 1901, mentre Anacleto Maciotta era rinchiuso in manicomio, suo fratello Federico era in Valle Cervo per tenere due conferenze, una a Rosazza e una a Campiglia Cervo. Tema degli incontri: una gigantesca miniera di ferro nel Minas Gerais di cui era proprietario e per lo sfruttamento della quale cercava appoggi finanziari per costituire una società anonima. Trovò un discreto interesse. Le parole dell’imprenditore vallecervino furono anche stampate, a Biella in quello stesso 1901, da Trentano & Ovazza con il titolo: L'industria del ferro in Brasile. Proposta di Costituzione di una società anonima per l'acquisto e lo sfruttamento di una ricchissima miniera in ferro. Otto paginette praticamente introvabili. Dopo la prima conferenza del 30 giugno al “Circolo Sociale” di Rosazza, il geometra Maciotta fu ospite delle Scuole Tecniche di Campiglia Cervo, il 14 luglio. Anche nel secondo incontro lo “speculatore minerario” mise in chiaro che per attivare la società e per coltivare la miniera in modo redditizio era necessario un capitale iniziale di almeno dieci milioni di franchi. Con quella cifra si sarebbe potuto ottenere tanto ferro da coprire il fabbisogno dell’intero Brasile. Non resta che mettersi sulle tracce di Federico Maciotta per scoprire se la sua idea fu concretizzata oppure no.
La fotografia dei soldati biellesi del 68° Fanteria di linea pubblicata la scorsa settimana ci ha fatto conoscere, tra gli altri, un vallecervino di San Paolo, Anacleto Maciotta. Dall’immagine datata 21 luglio 1891 abbiamo ricavato un dettaglio ingrandito per offrire un’idea, pur sbiadita e vaga, delle sue fattezze. Perché tutto questo interesse proprio per lui? Perché la storia del valët è piuttosto particolare e drammatica, e si svilupperà in un contesto ben diverso e lontano dall’ambito militare che ce lo ha fatto scoprire. Cleto (e non Anacleto) Callisto Perfetto Maciotta, figlio di Cipriano e di Maria Biglia Roc era nato a San Paolo Cervo l’11 novembre 1868. Privo di grado, il giovane si congedò dal Regio Esercito. Non è chiaro quando Anacleto Maciotta abbia rinunciato a una non esaltante carriera in divisa, ma deve essere successo non molto tempo dopo essere stato ritratto in Sicilia. Questo lo si può dedurre dal fatto che già il 1° gennaio 1891, in quel di Genova, aveva costituito con i suoi due fratelli, Federico (all’anagrafe Federico Alfonso Desiderio, classe 1862) e Ottavio (cioè Mario Romeo Ottavio, del 1869), una società “con capitale illimitato” avente “per iscopo di adire agli appalti sia pubblici che privati per qualsiasi genere di costruzione e per imprese qualsiasi”. Federico avrebbe assunto la direzione dei lavori. Il suo ruolo gli avrebbe garantito il 10% in più dei guadagni netti, e ai due fratelli andava bene così. Non è noto quali furono i cantieri in cui la società “Fratelli Maciotta e C.” fu attiva, ma è evidente che il loro sodalizio ricalcava le orme di tanti altri stretti tra valìt prima e dopo di quello dei Maciotta, senza contare che il padre era un “assistente alle imprese”. Perciò la loro sembra essere stata una sorta di scelta obbligata. La società avrebbe avuto durata di tredici mesi, ragion per cui è verosimile ritenere che vi fosse un appalto specifico assai prossimo o, comunque, all’orizzonte, ma quell’atto costitutivo non ci porta oltre. Non sappiamo come andarono le cose, ma nel 1895 Federico, Anacleto e Ottavio sbarcarono a San Paolo, ma non più quello sulla riva del Cervo, bensì quello brasiliano sulle sponde dell’Atlantico. La ditta prese la residenza in rua Conselheiro Furtado, non lontano dalla cattedrale. Il più anziano dei fratelli trovò un buon impiego pubblico, ma l’intento suo e dei due altri soci era quello di avere un’impresa propria e indipendente.
Nel 1896, Ottavio, indicato come agrimensore, brevettò un “freno per prevenire lo scontro dei treni, denominato elettro-automatico”. Quindi neppure lui stava con le mani in mano. Solo di Anacleto non si sa nulla per quel periodo. Due anni dopo il loro arrivo a San Paolo, cioè nel 1897, modificarono lo statuto sociale per conferire alla società la possibilità di edificare e di gestire un mulino. Di certo avevano già stabilito come e dove. In effetti, avevano acquistato un ampio appezzamento di terreno a Ribeirão Pires, trenta chilometri a sud-ovest di San Paolo, lungo la linea ferroviaria della The São Paulo Railway & Co. Secondo lo studio di Marcílio de Castro Duarte, “Uma família. Um moinho e uma citade. Notas sobre o Moinho de Trigo Fratelli Maciotta em Ribeirão Pires” del 2016, il 9 ottobre 1900 la ragione sociale si era spostata a Ribeirão Pires, in rua 15 de Novembro, attivando il “Molino di Semole Fratelli Maciotta e C.”, più comunemente chiamato “Moinho de Ribeirão Pires”. La bontà della strategia non è in discussione. Il progetto dello stabilimento (edificato a partire dal 1898), il cui solo corpo centrale misura in pianta 450 metri quadrati, fu firmato dallo stesso Federico Maciotta, che è indicato nelle carte brasiliane come “engenheiro civil”. L’edificio di mattoni è tuttora in piedi e per i più si tratta della “Fábrica de Sal” (perché dal 1946 fu quella la sua destinazione d’uso), ma la memoria dell’importanza dell’iniziativa commerciale e industriale dei fratelli Maciotta è ancora molto nitida nella comunità di Ribeirão Pires, anche perché il fabbricato del 1898 costituisce uno dei più rilevanti “monumenti” della città ed è tuttora in corso una vivace discussione su come riqualificarne le eleganti vestigia. Il mulino Maciotta fu dotato già in origine dei sistemi di lavorazione più moderni e redditizi (la tecnologia della macinazione a cilindri di Wegmann e Mechwart), creando un certo indotto e posti di lavoro per un centro periferico non particolarmente florido. Vista così sembra una bella storia di emigrati che, con fatica e intelligenza, si sono saputi guadagnare il successo. In realtà, la vicenda del mulino dei fratelli Maciotta è stata breve e tutt’altro che felice. Nel 1904 un quarto socio, forse il vero e unico mugnaio dell’azienda, ovvero Giovanni Ugliengo, aveva di fatto lasciato la società per avviare una sua impresa sempre nel settore molitorio a breve distanza dal “moinho” Maciotta. Di lui si può leggere sul numero di questo giornale uscito il 17 dicembre 2018.
Nel 1906 il fallimento della ditta Maciotta o, almeno, quello che ne era rimasto, è ormai un fatto compiuto. Nel 1910, Federico Maciotta cedette in locazione il mulino alla Egidio Pinotti Gamba & Compagnia. Poco dopo fu José Mortari a subentrare, ma come proprietario. Nel 1914 lo stesso Federico Maciotta si era già rimesso abilmente su piazza come progettista di “estradas de ferro e de rodagem, túneis, pontes metálicas, cimento armado, abastecimentos de água, esgotos e mais melhoramentos municipais, irrigações, forças hidráulicas, levantamentos taqueométricos, medições de precisão”, anche se non era un ingegnere, ma solo un geometra. Ma che cosa era accaduto all’inizio del Novecento e, soprattutto, che ne era stato di Ottavio e di Anacleto? Nel 1915 fu formalizzato lo scioglimento della società originaria, ma a firmare non furono i due fratelli minori di Federico Maciotta, bensì le loro vedove… Dobbiamo allora tornare all’anno 1900, anzi per la precisione al caldo dicembre carioca di quel 1900 quando Anacleto, semplicemente impazzì. In un giorno imprecisato, prima di Natale, mentre Federico e Ottavio erano tornati a San Paolo Cervo, e mentre anche la moglie di Anacleto era rientrata nella Bürsch con un figlio piccolo, il trentaduenne si era sistemato presso la pensione della famiglia Albertazzi, altri valìt che avevano attraversato l’oceano in cerca di fortuna. Qualche tempo prima alcuni concittadini avevano veduto Anacleto rincorrere il treno urlando frasi sconnesse, ma avevano attribuito l’episodio al bere, vizio che il vallecervino aveva, pur nascondendolo assai bene.
Fu così che una mattina di dicembre del 1900, in attesa di fare colazione, Anacleto pugnalò alla schiena un suo conoscente, che voleva fare una partita a carte con lui. Poi si avventò su una inserviente della pensione, che se la cavò nascondendosi. Fu quindi il turno di una bimbetta di due anni, figlia dell’albergatore Albertazzi. Il fendente la colpì vicino al cuore, ma l’intervento della madre, che aveva deviato il colpo, salvò la piccola. Uscito in strada ormai in preda alla follia omicida tentò di accoltellare un passante, che evitò la lama per un soffio. Nel frattempo, tutta la via era in subbuglio e i passanti si scansavano all’arrivo del Maciotta. Finalmente giunse sul posto il delegato di polizia che intimò ad Anacleto di fermarsi. Ma il pazzo non aveva alcuna intenzione di farlo e puntò al poliziotto, che fu costretto a sparare. Tuttavia, la sua pistola non gli fu di alcun aiuto, perché per tre volte fece cilecca. Al che anche lo sbirro si diede alla fuga, ma inciampò e cadde. In un attimo il biellese gli fu addosso, ma mentre stava vibrando la coltellata, un coraggioso cittadino gli assestò una bastonata in testa tramortendolo. Anacleto Maciotta fu internato in un manicomio dove alternò lunghi silenzi da ebete a scatti di furia durante i quali dava sfogo alle sue allucinazioni di aggressori mascherati e di condanne a morte già firmate per lui, per sua moglie Fanny Crema e per il loro bambino. Cercò di suicidarsi, ma non riuscì. Gli aggrediti non divennero vittime: per fortuna nessuno, per quanto gravi fossero state le ferite riportate, perse la vita. Fu allora rimpatriato, chissà in quale stato fisico e mentale. Secondo il registro dei morti della Parrocchia di Campiglia Cervo, morì il 14 aprile 1902 a San Paolo Cervo, nel suo letto e munito di tutti i sacramenti. Un mese più tardi la vedova accettò ufficialmente l’eredità del defunto marito, che fu pietosamente dimenticato. Di Ottavio, invece, nulla è emerso. Contrariamente al fratello che diede di matto e che fu obliato, una via lo ricorda ai concittadini di Ribeirão Pires.