Tempi, luoghi e genti negli antichi catasti della Bürsch

Due libri “delle mutazioni” per alberi e immobili del XVI secolo

L’Alta Valle d’Andorno “nascosta” da un coriaceo corsivo paleografico

C’erano i Morandi, i Valzio e gli Zin, gli Austani e gli Avondini

Gliondini è una parola strana, quasi marinara, che suona un po’ estranea alla Bürsch. Le onde in realtà non c’entrano. Allora ecco due ipotesi etimologiche di quel toponimo peculiare. La prima ha a che fare con: “glauda”, “glaunda”, “glanda”. La “o” è la pronuncia francofona di “au” e questa idea porta verso “ghianda”, cioè un luogo dove potevano trovarsi piante di quercia o affini. In effetti, nei dintorni di Gliondini non mancano alberi di quella specie. Ma questa è la più debole delle due ipotesi. La seconda è quella più convincente. Il “Gli” di Gliondini o la “I” di “Iondini” sono la preposizione articolata “agli”, mentre “ondini”, ossia “auondini” o “avondini”, richiama il cognome “Avandino” o “Avondino”, un tempo diffuso della Bürsch. La radice “avond” è la chiave: in tedesco “Avond” sta per “sera” o “notte” (nel tedesco antico e medio, “avont”). In inglese: “evening”. I walser dicono “abend” (sia in titsch, sia in töitschu). Loro, forse, battezzarono quel posto che, rispetto a Campiglia Cervo, sta a “sera” o a “notte”. D’altro canto, quello è uno dei punti più bui e freddi della Bürsch, anzi della “banda veja”, il versante a sera. Gli “Avondino” erano coloro che abitavano quegli alpeggi lassù, ad “Avond”, a “I-aundin”.

Vari Auandino o Avandino nel catasto degli immobili: Antonio di Simone, i suoi nipoti (figli del defunto fratello Lorenzo), Giovanni loro fratello e gli eredi di Pietro di Comino.
Vari Auandino o Avandino nel catasto degli immobili: Antonio di Simone, i suoi nipoti (figli del defunto fratello Lorenzo), Giovanni loro fratello e gli eredi di Pietro di Comino.

Tra le carte dell’Archivio Storico della Città di Biella depositate presso l’Archivio di Stato di Biella si trovano due documenti particolari, per quanto non prodotti dalla Comunità di Biella, bensì da quella di Andorno. Due manoscritti antichi, di poche decine di pagine, ma assai densi di notizie e di alcuni stimolanti “problemi”. Il primo “problema” riguarda la loro definizione, il secondo la loro datazione, il terzo la lettura della scrittura, niente affatto agevole, il quarto l’inquadramento storico, ossia il contesto entro cui furono vergati. Vergati, questo lo si può affermare con buona approssimazione, nello stesso periodo anche se, forse, non dalla stessa mano (peraltro, quasi identici tra di loro; stessa coperta di cartone grezzo, stessa carta, stessa misura). Il resto delle “problematiche”, che in realtà sono altrettanti spunti di riflessione sulla storia della Valle Cervo, riguardano gli individui citati, il loro casato, la toponomastica, l’uso del suolo ecc. E un’ultima domanda cui dare risposta: come e perché quei due piccoli registri stilati ad Andorno sono finiti in mezzo alle venerande scartoffie della Città di Biella? L’Archivio Storico del Comune di Andorno è tuttora “al suo posto”, ovvero ad Andorno. Quindi?

Ci furono, in passato, delle campagne di raccolta o dei conferimenti spontanei da parte di comunità diverse a quell’embrione di “archivio del Biellese” (fine Ottocento – anni Trenta del Novecento), prima, e alla Sezione di Biella dell’Archivio di Stato di Biella (istituita nel 1967), poi. Il flusso d’ingresso deve aver causato qualche criticità, come si suol dire, specialmente più di un secolo fa, quando la disciplina archivistica cedeva il passo all’entusiasmo archivistico che permeava alcuni di coloro che operavano sulle carte. Senza contare, a loro discolpa, che spesso gli archivi si erano mescolati in altro modo e con largo anticipo rispetto agli interventi di Quintino Sella, Pietro Vayra, Mario Ferrerati, Luigi Borello ecc. Così, tra i catasti della Città di Biella, si incontrano filze di Torrazzo, fascicoli di Caresana e Pezzana, registri di Cossato… E, oltre a un paio di altri documenti andornesi, i due catasti in oggetto. Ecco, diamo loro una definizione. Il primo (busta 306, fascicolo 7074) è intitolato “Arborum”, cioè “degli alberi”, e lo si può considerare come un “libro delle mutazioni”, cioè un registro sul quale si annotavano le variazioni di proprietà. In questo caso non immobili o terreni, bensì alberi. Il che lo rende un “pezzo” pregiato, perché niente affatto usuale. Accatastare le piante d’alto fusto è un’operazione che può apparire inutile, oggi, ma che segnala quanto gli alberi, all’epoca, fossero importanti, capaci di generare reddito e non da abbattere alla leggera. Si compravano e si vendevano “in piedi” con i terreni su cui erano cresciuti (tanto che negli strumenti notarili si scriveva: tale cede a talaltro un “prato con soprastanti”, dove i soprastanti erano, per l’appunto, gli alberi). Così, quando un terreno passava di mano, lo facevano anche le piante. Ecco allora la necessità di registrarne il “movimento” catastale. Il secondo (stessa busta, fascicolo 7075), appare privo di titolo originale, ma è, senza dubbio, un “libro delle mutazioni” vero e proprio, classico. Un lungo elenco di proprietari e, nel caso, la variazione del loro “registro” (espresso in denari e soldi), cioè della loro porzione (proporzionale, non reale) di imposte da pagare. Quindi, catasti. Datazione? La scrittura, di primo acchito, è quella del XVI secolo, magari della seconda metà del XVI secolo. Ma si può essere un po’ più precisi? Con i soli due registri, no. Anche se una data (1593) appuntata su una delle ultime pagine può dare un orientamento cronologico. Accanto al millesimo si legge una (un po’ maldestra) citazione dal De providentia di Seneca: “Nil infelicius eo cui numquam aliquid evenit adversi” (nessuno è più infelice di colui al quale non è capitato nulla di avverso). Ma tanta saggezza non offre il bandolo della matassa. Lo porge, invece, uno dei registrati, tale "Auandinus Iohannis Petri de Fornionibus" (alias dei Fornione, cioè di “Forniengo”, presente su entrambi i quadernoni). Auandinus o Ondino non è un nome tanto frequente, anzi, nella storia documentale della Valle Cervo sembra che compaia una volta soltanto. E in un Ondino figlio di Giovanni Pietro Forgnone ci si imbatte anche in tre documenti dell’Archivio Storico dell’Oratorio dei SS. Fabiano e Sebastiano di Forgnengo.

Verdissima la Bürsch dal cimitero di Oriomosso.
Verdissima la Bürsch dal cimitero di Oriomosso.

Nel primo, datato 1578, è vivente, mentre nel successivo, del 1581, è indicato come defunto. È la stessa persona. I due “libri delle mutazioni” risalgono al 1580, anno più, anno meno. La datazione, abbastanza precisa, permette di fare, a questo punto, qualche riflessione circa il contesto storico. La Comunità di Andorno, che comprendeva tutta la Valle del Cervo da Pavignano a Piedicavallo, esclusi Tollegno e Miagliano, aveva ottenuto da meno di vent’anni la sua effettiva autonomia da Biella. Solo nel 1561, infatti, il vasto territorio fu libero dal ben poco gradito dominio cittadino. Andorno e la sua vallata, che divennero il Marchesato d’Andorno nel 1621, nel 1580 erano un’entità amministrativa ancora in buona parte da organizzare e, di sicuro, le caratteristiche della regione non collaboravano. Una catastazione, anzi una revisione della catastazione era quanto mai opportuna, anche se con un procedimento provvisorio e spannometrico (solo tra il 1594-1598, per opera di Bernardino Draghetto di Pinerolo, la grande comunità andornese avrà un degno catasto). Serviva uno strumento di controllo fiscale che fornisse ad Andorno il gettito necessario a non implodere, dopo aver lottato tanto per l’indipendenza. Il tutto scritto alla loro maniera, la maniera di un notaio o di un segretario anonimo che cercava di mettere in ordine un disordine grande quanto una valle. Una valle fatta di boschi, di prati, di rocce, di terre che cambiavano rapidamente di proprietà, per compravendita o per eredità. Ma quelle note tutte uguali e tutte diverse, precedute dallo “0” per i nullatenenti, dal semplice registro per gli invariati e da “mutatis” per quelli che avevano acquistato o ceduto, raccontano, a quattro secoli e mezzo di distanza, un’unica storia e disegnano un paesaggio che, per certi versi, è ancora quello della vallata. L’Alta Valle Cervo, la Bürsch, soprattutto, ha ancora quei tratti. “Simon Iohannis de Valzio pro suis arboribus tenet denarios duos”. Antonio di Giuseppe Zin “tenet a la Goz pro suo et successores Nicoli Zin” un registro di due denari. Pietro di Giulio Zedda aveva un campo coltivato “ad Grisaciam” o “ad Gesaciam” (alla Chiesaccia?) e un altro “ad Fontanas”, uno “ad Campeliam” acquistato da Bartolomeo Morandi, ancora uno “ad Sellam” e poteva contare su un reddito derivante da un affitto (?) percepito da Giulio Gaya. Infine, un ultimo terreno “in Vayario deducto vendito”, cioè venduto, a Giovannino de Gilardis. La somma algebrica ammontava a cinque denari e mezzo. Giacomo di Guglielmino Austano possedeva prati “in Candellario” e “ad Miglachum” confinanti con i beni comuni. Gli fu intimato di mantenere un passaggio pubblico di sei piedi di larghezza. Il cognome di quel valèt suona già sentito, no? “Austano”, come a dire uno che viene da Aosta, col passare del tempo e per via della sonorità francofona è stato ridotto a Ostano. Qualcuno, nella Bürsch, si chiama ancora così. E con lo stesso principio fonetico si attraversa il Cervo e si risale un po’ la sponda del torrente. Si arriva a Gliondini e si medita su questo strano toponimo che tuttora si scrive in vari modi. 

Il 29 febbraio 2020: di là dal fiume e tra gli alberi, Gliondini.
Il 29 febbraio 2020: di là dal fiume e tra gli alberi, Gliondini.

Ma i due antichi catasti di cui sopra svelano l’arcano. Loro e il già citato Auandinus od Ondino. Quel nome era, allora, anche un cognome. Oggi Avandino risulta essere solo una frazione di Vigliano Biellese, ma nel 1580 c’erano in Alta Valle Cervo ancora alcune famiglie di quel casato, riportato anche nella versione Auondino o Avondino. Antonio di Simone Avondino e suo fratello Giovanni, per esempio, o gli eredi del fu Pietro di Comino Avondino. L’alpeggio dove risiedevano quelle persone era registrato come “de Auondinis” o “Glauondinis”. Se, come per Austano-Ostano, “au” è diventato “o”, il mistero non è più tale. Forse il fatto di essere stati “mischiati” con altri documenti ha salvato i due registri della Comunità di Andorno. Chi bazzica gli archivi sa che, a volte, il bene non corrisponde al meglio. Sarebbe stato meglio non mescolare le carte, ma chissà come poteva andare. E non avremmo mai saputo degli Ostano o di Gliondini. Ma da che cosa deriva la parola Gliondini? Un paio di ipotesi in cima alla pagina.

“Auandinus” di Giovanni Pietro de Fornionibus nel catasto degli alberi. Nella riga sottostante si legge che la nota relativa agli eredi di Giovanni Pietro de Allaria si trova nella “decena de Glauondinis”.
“Auandinus” di Giovanni Pietro de Fornionibus nel catasto degli alberi. Nella riga sottostante si legge che la nota relativa agli eredi di Giovanni Pietro de Allaria si trova nella “decena de Glauondinis”.