Breve storia della biellese “strada del marmo”
di Danilo Craveia [Eco di Biella, 30 maggio 2022]
Il tracciato della “strada del marmo” avrebbe probabilmente seguito, a tornanti, il vallone del torrente Chiobbia fin sotto gli alpeggi denominati Finestre, dai mille metri di Montesinaro fino ai millesettecento e oltre delle due “alpi” ai piedi della punta della Cascinaccia. Il sentiero che le carte indicano come E70 si inerpica fino ai quasi duemila metri della Bocchetta del Croso, l’antico Craus o Creux. Da lì si scende di trecento metri fino al corso del torrente Sorba in corrispondenza dell’Alpe Toso. L’Alpe Massucco (oggi si chiama così) è ancora più in basso, ma la cava, o quel che ne resta, è ben più in alto, di nuovo sotto i duemila, sotto l’Alpe dell’Artorto. Un bel giro, senza dubbio! In un breve ma utile studio di Gianni Molino, che citava ricerche precedenti, è evidenziato come il problema della strada sia ben più remoto del 1857. Tanto da aver impedito al marmo del Mazzucco di avere una certa gloria: “L’interessamento della Fabbriceria del Duomo di Milano […] avveniva attorno al 1700. Il progetto non giunse tuttavia a buon fine «per la mancanza di strade d’accesso, alla costruzione delle quali, dal Massucco a Varallo e Novara, necessitava l’ingente somma di quattro milioni di lire di Milano»”. Peccato, no?
“Da Rassa, fiancheggiando sempre il Sorba, si arriva all’Alpe Mazzucco, sopra il quale, a destra, esiste una cava di marmo bianco saccarino, che al presente si sta coltivando per opera di una società biellese. Questa società costruisce una strada per trasportare il marmo nelle valli di Andorno e di Biella, lungo il passo detto del Craus, al quale si perviene impiegando circa un'ora e mezzo dall'Alpe Mazzucco”. Da queste poche righe, tratte dalla “Guida per viaggi alpini nella Valsesia” redatta dal geometra Carlo Montanaro e pubblicata sul “Bullettino trimestrale del Club Alpino Italiano” dell’aprile del 1867, si apprendono tre cose interessanti. La prima: l’esistenza di una cava di marmo in Val Sorba (in realtà non si tratta di una novità: il fatto è piuttosto noto). La tipologia della pietra, il marmo “saccarino” o “saccaroide”, è descritta nel sito cosmicnoise.it: “Ha color bianco candido, talvolta lievemente perlaceo, qualche volta carnicino o ceruleo. Ha struttura cristallina granulare, simile a quella dello zucchero. I granuli sono egualmente sviluppati in tutte le direzioni e sono sensibilmente uniformi in grandezza”. Il marmo bianco valsesiano è simile a quello di Carrara e a quello greco di Nasso e di Paro. Insomma, assai pregiato in ambito statuario. In effetti l’impiego della pietra del Mazzucco è documentata fin dal Cinquecento (vedasi l’acquasantiera del lapicida H.W. di San Giovanni d’Andorno descritta da Casimiro Debiaggi nel bollettino DocBi del 1998). La seconda: che una società biellese la stava coltivando nel 1867. La terza, quella su cui si va a concentrare l’attenzione in questa pagina, riguarda il fatto che una strada era in cantiere per salire al valico spesso indicato anche come Creux, ma che tutti conosciamo come Croso. Nell’estate di quello stesso 1867 il marmo biellese/valsesiano ebbe modo di farsi ammirare all’Esposizione Universale di Parigi. Sulla “Gazzetta Biellese” del 29 agosto si legge: “Fra gli oggetti mineralogici si sono osservate alcune mostre di marmo bianco statuario (carbonato di calce) delle cave del Mazzucco, presentate dal sig. Architetto G. Maggia e figli di Biella, premiato con onorevole menzione. Queste cave esistono nelle montagne che dividono il Biellese dalla Valsesia, nel versante detto il Creux, e gli intelligenti dicono, che il marmo è pari, se non superiore, al canavese, ma la difficoltà consiste nel trasporto, non essendovi strade carreggiabili nè per l’uno nè per l’altro Circondario. Se si potesse disporre di qualche somma di considerazione per costrurre una strada, le arti vi guadagnerebbero assai ed il reddito del lavorio aumenterebbe”. All’epoca la strada era ancora lontana dall’essere realizzata e tanto meno percorribile, ma dal breve resoconto si può intuire che la società concessionaria della cava di marmo era quella costituita dall’architetto Gaspare Maggia con i due figli, l’architetto Carlo e l’ingegnere Salvatore.
Quello del Mazzucco era un azzardo. Che il marmo fosse più che apprezzabile non era in discussione, ma l’assenza di una agevole via di accesso… Dieci anni prima, nel 1857, lo stesso architetto Maggia senior aveva verificato l’ipotesi di una carreggiabile che collegasse la Valle Cervo alla Valsesia, un’ipotesi molto concreta. La cava del Mazzucco rischiava di essere la “scusa buona” per costruire la strada per il Creux, che avrebbe avuto origine a Montesinaro. Fin dall’autunno del 1855 il medesimo architetto Maggia, di fronte al Consiglio della Provincia di Biella (di cui era membro), affermò che “merita special riguardo la strada della Valle d’Andorno, per il commercio che vi si pratica, reso ornai, per le cave di pietra esistenti lunghesso quella valle nazionale; per cui non sarà lungo il tempo che dovrà venire annoverata tra le principali”. L’attività estrattiva alla Balma, come in altre località della Bürsch, motivava l’apertura di una via in grado di sviluppare e velocizzare i lavori di cava, ma nel 1857 si voleva andare oltre, ossia arrivare in Val Sorba. I cavatori avrebbero pagato un canone annuo alla Provincia di Biella affinchè quest’ultima investisse nella realizzazione del tracciato stradale, “dimostrando come, indipendentemente dalla cava, la strada avrebbe servito a procurare uno sbocco a due importanti vallate, di Andorno nel Biellese, e di Val Grande nella Valsesia, che mancano affatto fra loro di comunicazioni, rannodando la strada di Val d’Andorno con quella provinciale della Valsesia impropriamente denominata d'Aosta”. Così “L’Eco del Mucrone” del 1° ottobre 1857, che proseguiva specificando che la società per la coltivazione della cava si era da poco costituita e che aveva firmato “il contratto di locazione del suolo per 99 anni al prezzo annuo di 400 franchi”. Ben prima che, alla fine del 1864, all’ingegner Tommaso Gavosto e ai geometri Gioacchino Amosso e Agostino Barbera (e a Quintino Sella) venisse in mente di aprire una galleria sotto la Mologna, con un investimento di soldi pubblici e non per soli meriti di un’iniziativa privata, il Biellese avrebbe avuto il suo primo sbocco viario attraverso le montagne. Ma proprio la strada per la cava del Mazzucco risultò essere più un problema che una soluzione. Stando a “L’Eco del Mucrone” del 26 novembre 1857, la lentezza con cui il sodalizio biellese stava affrontando la questione stradale, uno dei soci, tale ingegner Farinelli, era uscito dalla società e ne aveva costituita un’altra, valsesiana, allo scopo di coltivare la stessa cava, ma raggiungendola con una pista ricavata dalla Valle del Cervo, ma dalla vallata del Sorba, cioè in direzione del Sesia. “Queste due distinte società, piuttosto che giovar al buon andamento dell’impresa, crediamo che si pregiudichino a vicenda. Pare che il punto principale di divergenza fra esse consista nella direzione a darsi alla strada, che si deve costruire per la coltivazione della cava, ma ci sembra, che non possa esser difficile lo intendersi. La società Biellese, che non ha idee grette di voler la strada pel versante di questa Provincia, per il piacere di veder massi di marmo attraversare questa Città, ma mira invece a facilitare nello stesso tempo colla formazione di detta strada le comunicazioni del Biellese colla Valsesia, certa come è, che falla la strada dalla parte del Biellese necessariamente sarà continuata sino a Piode, aderirà volentieri, ne siam persuasi, a quei temperamenti conciliativi che valgano a far conseguire il duplice scopo, della coltivazione della cava, e della comunicazione fra le due provincie da tal parte, per mezzo di una commoda via”. Le valutazioni (partigiane…) del bisettimanale nostrano erano improntate al buon senso e, più ancora, al pragmatismo. “L’interesse del Biellese dovrebbe pur esser quello della Valsesia; poiché, come dicemmo altra volta, la strada che percorre la Val grande in Valsesia impropriamente chiamata strada provinciale d’Aosta, non può sperare altro sbocco che col mezzo di una strada pel Creux; e la Valsesia più d’ogni altra provincia ha d’uopo di aprirsi sbocchi per accrescere e facilitale il suo limitato commercio. Col buon volere e colla moderazione, noi portiamo fiducia che la fusione si opererà, e lo desideriamo vivamente nell’interesse della società Valsesiana, poiché questa senza la fusione difficilmente potrà agire con quella attività e prontezza che son necessarie, onde più oltre non siano ritardati gli esperimenti”.
Certo, uno sguardo dall’alto evidenziava l’importanza di quella strada e non soltanto per il Biellese. “Ed invero lo stesso ingegnere Farinelli calcolò, che pei soli esperimenti fossero necessarie almeno 12 mila lire, divise in 300 azioni. Sinora non se ne raccolsero che cento cinquanta circa; con la metà della somma è dunque impossibile che si possano intraprendere convenientemente gli esperimenti: sarebbero denari gettati al vento”. Naturalmente, non si arrivò alla conciliazione e il marmo del Creux è rimasto quasi tutto lassù. Come abbiamo scoperto, dieci anni dopo solo la società biellese era ancora in esercizio, ma avrà vita breve. Nel settembre del 1897, in occasione di un’escursione dell’on. Carlo Rizzetti partita da Montesinaro alla volta della cava del Mazzucco, il tema della strada tornò d’attualità, perché la bontà del marmo non era cambiata in trent’anni, ma nemmeno la sua irraggiungibilità. Malgrado i migliori auspici, più nessuno si assunse il rischio imprenditoriale della cava né quello infrastrutturale della strada. Il Biellese e la Valsesia non hanno trovato il modo di congiungersi davvero (la strada della Boscarola è un tratturo quasi impraticabile) e, forse, è andata bene così.